Il posto di Bagnaia nella storia è tra i fenomeni

Per quello che mi riguarda segnatelo assolutamente alla categoria Fenomeni. Non ci sarebbe bisogno né di dirlo né di spiegarlo davanti ai numeri che ha messo insieme nella sua carriera, che non è di sicuro agli inizi. E’ a metà magari, augurando a Bagnaia una longevità sportiva anche un filo inferiore a quella di Valentino Rossi che l’ha preceduto sul cammino, l’ha agevolato nell’educazione e nella preparazione sportiva e infine gli ha mollato in mano una patata buonissima e bollentissima. Scotta di brutto. Alè e avanti. Prima delle riflessioni è opportuno cuccarsi la sfilza dei numerini parlanti. Allora, Bagnaia è a tre mondiali vinti. Un consiglio per inciso: basta dire che ne ha vinti due. Se a Rossi ne attribuiamo nove e a Marquez otto, quelli di Bagnaia sono tre, come quelli del grande Max Biaggi sono quattro. La precisazione è a beneficio di chi nei titoli e nei commenti giornalistici decide di prendere in considerazione solo la MotoGP escludendo il titolo della Moto2, quasi a volergli rendere più rognoso il cammino verso il consenso che merita. In quella zona lì della storia c’è gente come Capirossi e Cadalora , per dirne due grossi che nella top class ad esempio il mondiale non l’avevano vinto. Sta nel club degli italiani – e non solo quelli - di spessore enorme insomma. E’ uno che ti vince anche sette Gran Premi a stagione, che tra Sprint e Gp insieme al loro primo anno è stato davanti a tutti undici volte. Bagnaia è a 34 gran premi vinti in carriera, di cui 24 in MotoGP. Meglio di lui nell’era della MotoGP hanno fatto solo i quattro semidei Rossi , Marquez , Lorenzo e Casey Stoner . Pedrosa è dietro . Va da sé che sia il più vincente della storia dei piloti Ducati con una vittoria in rosso più di Stoner . Ha dalla sua 65 podi su duecento gare disputate e per essere uno che, per sua stessa ammissione, non ha l’esplosività in tasca, 20 pole position non sono esattamente paglia. Ora si può litigare, anche se sarebbe meglio evitarlo, dicendo che Stoner lo ha fatto in meno tempo, che è un sacrilegio paragonarli eccetera eccetera. Il che al momento è pure vero, come è vero che il primo ad esaltare Stoner più che sé stesso è stato Bagnaia medesimo nel giorno preciso in cui ha superato l’australiano. Perché quello che a Bagnaia non manca affatto è l’onestà totale riguardo alle cose oggettive o a quelle di cui è convinto. Comprese quelle più scomode, che magari in certi rari casi lo hanno reso impopolare. Poi magari, quando lo convinci, cambia idea, ma lì per lì va dritto a cannone con i propri ragionamenti. Ed è una dote sportiva. Forse la prima. La seconda è quella di imparare dagli errori, che tende a razionalizzare fino all’ultimo grammo di analisi oggettiva disponibile. E’ così che quel Pecco lì mette su scorza, cresce, si fa uomo, campione. Lo abbiamo detto un milione di volte del grande Sinner. Ecco, direi che Bagnaia è proprio di quella pasta lì e il suo Australian Open l’ha già vinto due volte. Per dire di come cresce, lo ricordo bene a Valencia nel 2022 quando si giocava il titolo all’ultimo round. La sera prima della gara, dalla quale non era nemmeno costretto a cavare il risultato del secolo, Bagnaia vagava in monopattino per il paddock con gli occhi pallati e la salivazione azzerata. Poi lo ricordo nella stessa circostanza l’anno scorso, quando la gara per il titolo si prospettava un bel po’ più più difficile, aggirarsi sicuro, sereno e roccioso come uno che in un anno ne ha messi su dieci di esperienza. Usciamo pure dall’equivoco per cui la MotoGP di adesso non sia al livello di quella passata. Sarebbe una mancanza di rispetto, ma grossa, nei confronti di chiunque corra e rischi, batta record a nastro, raggiunga i 367 chilometri orari e freni oltre. Per Martin, Acosta, Bastianini, Bezzecchi. Una mancanza grave pure per chi , come Marquez, le ere che si sono date il cambio le abbia vissute entrambe. In una ha vinto l’impossibile, in questa – a causa di un calvario medico devastante – non ancora. Ci arriverà? Sì, è un fenomeno che ha sputato sangue e non solo in senso metaforico, e ci arriverà. Per tornare all’integrità ha speso tempo prezioso quando un altro al suo posto si sarebbe arreso prima. Non ha perso in destrezza Marquez, non ha perso istinto , fame. E avrà pure l’opportunità tanto inseguita di una moto pari. A Bagnaia. E’ con lui che dovrà vedersela, non si scappa. E non sarà semplice, né per l’uno né per l’altro. Da questo punto di vista Ducati, trasformando Marquez da azzurro a rosso, per il 2025 ci ha messo sul tavolino da gioco carte straordinarie. Può uscirne una partita bellissima come può uscirne un disastro. Il livello per Bagnaia si alza ancora, come del resto è accaduto in ogni anno della sua carriera ricavandone crescita. Bagnaia avrebbe potuto opporsi alla mossa di Borgo Panigale facendo valere censo e ruolo, non l’ha fatto. Ha detto che con lui “i giochi psicologici non funzionano”. In sostanza ha raccontato a Marquez che con lui la destabilizzazione non attacca. Poi dovrà anche dimostrare che è vero, che è tutta un’altra storia. Sempre ammesso che Marquez abbia intenzione di arrivare, legittimamente, a destabilizzare. Probabile e ipotizzabile , ma non certo. In fin dei conti si tratta di leadership oppure, per renderla grezza, è in discussione il ruolo del capobranco. Se uno dei due vincerà il mondiale la coppia così composta avrà il potere di attenuare il peso globale del brand e del mezzo rispetto ai piloti che lo guideranno; il che è abbastanza una novità per la Ducati che ha speso decenni per poter dire che il mondiale si vince solo con una Desmosedici tra le mani. E vada come vada. Nel frattempo Pecco si è sposato, certificando un aspetto di sé che abbiamo sempre ritenuto fondamentale, anche quando ci prendevano in giro perché ritraevamo un pilota dolce e legato ai buoni sentimenti di una famiglia unita invece che un cavaliere ruvido e senza paura, come da cliché motociclistico. E’ pazzo di Domizia, che è pazza di lui. Sanno starsi accanto quando serve e anche quando non serve, ma poi serve sempre. Sua sorella Carola lavora con lui aiutandolo nella comunicazione. Mamma Stefania, papà Pietro e il fratellino Filippo ci sono quasi sempre. Vellutati e perbene, lontani da ogni polemica, distanti anni luce da qualsiasi implicazione sportiva. Ci sono per essere famiglia perché a Pecco serve quello e a loro idem. Perché lo hanno sempre fatto. Perché ognuno è utile all’altro. E chi funziona in quel modo lì è ben accetto. Poi ci sono Valentino, la vita dell’Academy, il Ranch. Personalità e luoghi che non insegnano necessariamente secondo un metodo didattico codificato, ma che integrano le loro strutture e i loro servizi con un modo di vivere in cui non c’è bisogno di spiegare. In quel modello privato che è l’Academy Pecco Bagnaia è soprannominato scherzosamente Hamilton. Uno distante dalla caciaroneria romagnola. Uno silenzioso e preciso, integrato ma non invadente. Un “Sir” nei modi e nel portamento, persino snob in apparenza, un’idealista. Ormai il più forte di tutti, ma senza la pretesa di fare il leader lì dentro. Ruolo che invece si è conquistato in Ducati da quando, passata l’era tecnica fondamentale di Dovizioso, si è caricato addosso ogni anno il peso delle scelte evolutive, anche quelle tecniche. Se la Desmosedici è questa moto qui molto lo si deve al team di Dall’Igna , ma molto lo si deve ai feedback di Bagnaia. Nessuno in Ducati può smentirlo. Si è impuntato, con ragione e molto rischio, quando un motore sulla carta migliore gli pareva peggiorativo. Sente, trasferisce, indirizza, sacrifica da una parte per ottenere dall’altra. Sbaglia, ma poi impara e restituisce. Ha avuto un ostacolo Bagnaia in questa sua ascesa. Arrivare dopo Valentino Rossi. Il 46 aveva il potere di lasciare un segno profondo in tutto quello che faceva. Vincere, tantissimo, perdere, essere divertente, incazzarsi, fare magate, accettare il tempo che passa, non accettarlo, capire che era passato il momento per ributtarsi con la stessa energia in un altro modo di fare il pilota. Non è questa la sede per descrivere il Rossi che comunque conoscete. Tolto lui, anche se non vinceva da un po’, è partito il senso di vedovanza diffusa. Un horror vacui per il quale alcuni si sono allontanati da lì per non soffrire, con il rischio concreto e diventato poi reale, di perdersi un’altra storia meravigliosa come quella che stiamo vivendo. Quella di Bagnaia e dei suoi avversari per l’appunto. Per la cronaca gli ascolti televisivi stanno benissimo, sta solo cambiando un po’ il pubbico. Il merchandising di Bagnaia riempie di rosso gli autodromi che a loro volta tornano ad essere pieni perché lo spettacolo è assolutamente di alto livello. E anche ai nostalgici che percepiscono carenza di sorpassi , vorremmo dire che erano anni che non se ne vedevano tanti come in questi 2023 e 2024. Anni nei quali il razionale e compassato Bagnaia, definito a tortissimo ragionierino della moto, ha vinto con tutti e in tutti i modi. Con l’intelligenza di chi sa risparmiare le gomme, con la fantasia di chi infila un buco che non c’è, con la partenza in apparenza dissennata e invece ragionatissima, con i sorpassi all’esterno, con i corpo a corpo duri, contatti compresi. Tutto fuorchè un ragioniere. E ha vinto con la Ducati, certo. Che è la miglior moto, certo. Chi, del resto, ha vinto nella storia con un catenaccio? E adesso vince con la 2024, certo. Che è un filo meglio della 2023. Certo. Ma che rispetto alla 2023 è un’evoluzione, piccola come accade ogni anno, più adatta a mostrare i suoi miglioramenti su certe piste e molto simile alla 2023 su altre. Il vero salto di qualità in questa stagione lo hanno fatto le gomme. Sfugge, ma se i record scendono è perché i piloti guidano alla grande e le gomme li sostengono in quella ricerca, che rimane folle, del limite a tutti i costi. Per le altre domande senza risposta resta questa metà di 2024 da seguire e il 2025, tostissimo già da ora, per fare un passo avanti nella storia. Chiunque ne divenga padrone.