I motori prima di tutto: la leggenda Pat Moss

Una ventina di anni fa ebbi la fortuna, in Australia, di incrociare per qualche minuto Stirling Moss, vincitore di 16 gare in Formula Uno, quattro volte secondo nella corsa al titolo mondiale nella seconda metà degli anni ’50 dello scorso Millennio e tre volte terzo, ma mai primo, eppure considerato unanimemente uno dei più grandi piloti della storia. Un re senza corona, come del resto ben chiaro dall’appellativo ‘King without a crown’ che, tuttavia, non vide intaccata neppure per un secondo la sua grandezza, al quale dobbiamo ancora oggi la definizione più brillante di cosa sia realmente un rettilineo: “un tratto noioso di strada che unisce due curve”. La mia fortuna fu anche quella di potergli rivolgere qualche domanda e – stringendogli la mano – strappargli un sorriso quando feci un breve riferimento alla sorella Patricia. Anche lei grande campionessa del motorsport. La celebre Patricia-Ann, detta Pat. Più comunemente Pat Moss, prima di diventare Pat Moss-Carlsson. Pilota di grandissimo successo, in grado di conquistare tre vittorie e sette podi in gare internazionali, per cinque volte campionessa europea rally tra il 1958 e il 1965. Molto prima di Rosemary Smith, Jutta Kleinschmidt e Michéle Mouton. Dai cavalli ai motori Di cinque anni più piccola di Stirling, Pat era nata non a Londra come il fratello ma nel Surrey, a Thames Ditton. Era lì che il dentista Alfred Moss e la consorte Aileen, di sangue scozzese e origini di Crawford, si erano trasferiti abbandonando la più animata West Kensington per cercare una dimensione più verde e vivibile, vicina alle sponde del Tamigi, una ventina di chilometri più a sud dal centro della capitale. In quei luoghi la famiglia Moss poté continuare anche a praticare la passione per i motori che aveva travolto innanzitutto il babbo, discreto pilota in grado di classificarsi 14° alla 500 miglia di Indianapolis del 1924. E fu proprio Stirling a introdurre alla guida la piccola Pat all’età di undici anni, nelle campagne di Bray, nel Berkshire. Ma i grandi spazi che la natura le regalava appassionarono Pat innanzitutto a un altro tipo di cavalli, a quelli che nitriscono, raspano, sbuffano e si lanciano al galoppo quando e se ne hanno l’opportunità. Da ragazza Pat divenne in poco tempo una abile ‘show jumper’ ed entrò a far parte persino del team britannico di salto a ostacoli. Poi la legge del sangue prevalse. Un po’ i geni paterni, un po’ i successi fraterni e molto soprattutto la passione del fidanzato Ken Gregory, pilota amatoriale e manager di Stirling, la dirottarono verso altri cavalli, l’unità di misura della potenza dei motori. E si innamorò dei rallies. A diciotto anni incominciò a frequentare i primi raduni, mettendosi alla prova contro i piloti uomini più esperti e cercando di imparare il più possibile anche di tecnica e meccanica. Mentre il fratello vinceva e faceva parlare di sé in Formula 1 sognando il titolo mondiale, ma dovendo fare puntualmente i conti con Juan Manuel Fangio, lei girava l’Inghilterra cercando la propria dimensione agonistica. Amante delle vetture inglesi , aveva talento e sarebbe forse riuscita anche in pista. Però amava troppo gli sterrati e le corse su strade pubbliche miste fra cronometro e regolarità. Nell’estate del 1954, Pat decise quindi di comprare la sua prima vera macchina da corsa. Una Triumph TR2, contattò anche la sede della Motor Company a Coventry per chiedere se fosse possibile una piccola compartecipazione alle spese in vista del Rac Rally 1955, ma la casa inglese rispose picche. Eppure un cognome celebre come Moss sarebbe stato utilissimo, specie in un momento come quello, nel quale il collaudatore ufficiale dell’azienda Ken Richardson diceva peste e corna della macchina, definendola “una trappola mortale, la peggiore mai guidata”. Ne approfittò la Morris Garages, che – fiutato l’affare – da Birmingham fece partire una telefonata. A Pat venne così offerta una MG TF 1500 e l’intera copertura economica. E così nacque il sodalizio MG-Pat Moss che sarebbe stato destinato a durare per ben sette anni. Nel 1958 Pat, come pilota di punta del team BMC, giunse quarta al Rac Rally su una Morris Minor, poi ancora quarta al Liegi-Roma-Liegi su una Austin Healey 100/6 e si aggiudicò anche il primo dei suoi cinque titoli europei di rally. E nel 1960 sempre nella Liegi-Roma-Liegi, su una Austin-Healey 3000 conquistò uno straordinario successo, seguito da due secondi posti alla Coupe des Alpes e al Rac 1961. Una striscia di trionfi e grandi prestazioni incredibile. Nel 1962 Pat finì terza all’East African Safari su una Saab 96 e al Rac sempre al volante di una Austin Healey e conquistò anche il Tulip Rally in Olanda con una Mini Cooper. Nel 1963 Pat Moss venne contattata dalla Ford che le offrì una splendida Lotus Cortina. In quell’anno conobbe al Rally del Sole di Mezzanotte il collega svedese Erik Hilding Carlsson, soprannominato da tutti ‘Carlsson på taket’, ovvero ‘Carlsson sul tetto’, per via dei suoi spettacolari capottamenti in gara, ma anche ‘Mr. Saab’, per il suo lavoro di public relation man e il 3 marzo lo sposò. Al di là di ciò, Carlsson era davvero un gran pilota. Un personaggio, primo anche al Rally di Sanremo 1964. Conquistato il cuore di Pat, il nostro ‘on the roof’ – cui si deve anche l’intuizione della guida a due pedali, per mantenere il regime di giri del motore due tempi agendo contemporaneamente su acceleratore e freno – portò in Saab la consorte. La famiglia Moss-Carlsson iniziò così una stretta collaborazione rifiutando l’offerta di Ford di ingaggiare Pat – già campionessa europea – per undici rally internazionali. Pat conquistò così un terzo posto all’Acropoli, un quarto alla Liegi-Roma-Liegi e al Rac, un quinto a Monte Carlo, dove l’anno seguente arrivò terza. E nel 1968 si accasò alla Lancia per guidare la nuovissima Fulvia. La Lancia Fulvia Coupé 1,6 HF sarebbe però diventata una star dei rally solo nel 1972 trionfando a Monte Carlo, posando la prima pietra di un futuro inimmaginabile prima, che sarebbe proseguito con Stratos, Rally 037, Delta S4 e Delta Gruppo A. Quando la prese in mano Pat Moss si era ancora all’inizio dell’avventura e la macchina denunciava ancora un forte sottosterzo. Nonostante tutto, Pat riuscì a piazzarla ugualmente 14a a Monte Carlo e seconda a Sanremo, alle spalle della Porsche 911 di Pauli Toivonen. Nel 1968 Pat vince anche il Rally del Sestriere, si classificò ottava all’Acropoli e settima al Tour de Corse. L’anno successivo, ancora a Monte Carlo, Pat guidò la Lancia Fulvia al sesto posto assoluto. Poi a dicembre nacque Susan e il parto cambiò la vita e le prospettive della campionessa che, pian piano si allontanò dal mondo che tanto amava. Nel 1972 partecipò al Monte Carlo su un’Alpine Renault A110 chiudendo decima, poi due anni più tardi si ritirò definitivamente per fare la mamma e introdurre la figlia al mondo dell’equitazione, dedicandosi alla scrittura e pubblicando insieme al marito due libri: ‘The Story So Far’ e ‘The Art and Technique of Driving’. Ma la sua storia e la sua vita segnarono per davvero un’epoca, tanto che un grande personaggio del mondo dei motori non solo dell’epoca, significativo e carismatico come Stuart Turner, per anni responsabile delle competizioni delle squadre di rally BMC e Ford nell'epoca d'oro del rally, ma prima ancora co-pilota di straordinario successo negli anni Cinquanta e Sessanta, decise di dedicarle un libro favoloso: ‘Harnessing Horsepower: The Pat Moss Carlsson Story’, nel quale racconta anche di come tutto ebbe inizio. “Un giorno il fidanzato di mia sorella andò a prenderla e le disse che avrebbero fatto ‘un rally’. Pensavo che intendesse dire che avrebbero lavorato su una bicicletta a pedali , ma lei stava davvero parlando di un'auto. Loro due stavano per partecipare a un rally con una Rover 14 e io ero stato invitato. Mia sorella si era persa nelle mappe e io ne ho preso una, vecchia e meravigliosa, dell'Ordnance Survey britannico in scala 63.360:1. Non credo di aver mai visto una mappa del genere. Non credo di aver mai visto una mappa da un pollice, ma onestamente la mia vita è cambiata da quel momento in poi. Ci sono cascato in pieno, con le unghie e con i denti!”. Turner si innamorò così del rally e del sistema di rete dei club automobilistici: “A quei tempi i concorrenti potevano partecipare a 60 rally all'anno. Alcuni eventi si svolgevano il venerdì sera, come il nostro grande Birmingham Post Rally locale, altri il sabato sera. Spesso si riusciva a tornare in tempo per partecipare a un rally della domenica pomeriggio o a un evento del club durante la settimana successiva. A quei tempi i rally erano gare automobilistiche di livello economico su strade normali“. I rally degli anni '50 avevano due caratteristiche: le prove speciali erano davvero infinite, ma si svolgevano su strade pubbliche, rigorosamente di notte, quando era più sicuro, dalle 10 di sera alle 6 del mattino successivo. E le auto erano di serie. Ben presto Turner diventò un navigatore molto ricercato. A quei tempi, le mappe britanniche coloravano in bianco tutte le piccole strade locali, mentre il colore giallo era riservato alle strade locali più utilizzate. I navigatori giravano annotando se una strada bianca fosse asfaltata e adatta o da evitare. I navigatori britannici impararono a leggere le mappe, curiosare sui tracciati in anticipo, oppure annotare cose che le mappe non mostravano. Ad esempio, se la mappa indicava un incrocio dritto, mentre in realtà si trattava di un incrocio triangolare, le curve non segnate, se c'era un cancello che attraversava la strada e da che parte si apriva. Le idee e l'esperienza dei co-piloti britannici li resero presto molto ricercati dai migliori team stranieri. E Turner era in cima alla lista dei navigatori da contattare. Così passò a lavorare alla BMC e alla Ford, poi fu invitato dall'azienda tedesca Auto Union a gareggiare con il loro pilota di punta della 1000 Coupé Wolfgang Levy, finché la Saab lo invitò ad unirsi a Erik Carlsson, che durante la lunga e vincente frequentazione gli disse di non essere mai stato in Scozia. Turner lo accompagnò allora in un viaggio a Edimburgo. "Noleggiammo una Morris Minor. Stavamo guidando in una stradina di campagna quando un camion di pesce arrivò dalla parte opposta. Avrei voluto colpirlo, ma Erik uscì dal ciglio della strada. Rotolammo un paio di volte lungo un argine erboso e lui spense il motore. Quando ci fermammo, la pompa della benzina non ticchettava pericolosamente. Pensai che era stato davvero intelligente”. In quel periodo Turner lavorava anche come giornalista di rally. Scriveva infatti per il settimanale ‘Motoring News’, un vangelo popolare per gli appassionati di rally. Poi arrivò la notizia che Marcus Chambers aveva lasciato la BMC e Turner fu nominato suo successore avviandosi a una lunga carriera manageriale. Nel corso della quale continuò a seguire da lontano i progressivi avvicinamenti di Pat e di Erik che, tra un successo e l’altro, mettevano anche su famiglia. Chi meglio di lui avrebbe potuto tracciarne un ritratto completo? E chi meglio di lui avrebbe potuto raccontare il valore iconico della vittoria della Liegi-Roma-Liegi del 1960, insieme ad Ann Marie Wisdom, due anni prima che quest’ultima dicesse sì sull’altare al suo amato Peter Riley, iconica –in termini di motorsport – quanto il successo di Stirling alla Mille Miglia? Pat, nelle pagine di Turner, viene descritta come straordinaria e ottima caposquadra, quando lui la navigò nei rally britannici dove per la prima volta portarono alla vittoria una Mini. Un personaggio anticonvenzionale Una lettura assolutamente divertente, il libro di Turner, nel quale si racconta molto del grande amore di Pat per i cavalli, la sua prima vera passione. E ci si addentra i tante piccole curiosità, fra le quali molti aneddoti sui primi anni trascorsi fra i motori anche da sir Stirling, a partire da quando armeggiava su una Morris Ten del 1936, a soli 7 anni. Racconti che assumono un sapore particolare proprio perché centellinati da un uomo premiato con il ‘Prince Michael Award of Merit’, il più prestigioso riconoscimento della Motor Sport Association per i servizi resi al motorsport britannico da atleta, reporter e dirigente. Il solo, probabilmente, che avrebbe potuto realmente rendere il giusto omaggio alla più autorevole rappresentante dell'empowerment femminile, immortalata in decine e decine di fotografie in bianco e nero, mentre sorride impavida e anticonvenzionale sotto il caschetto che doma i suoi capelli corti e ricci. Capace di farsi strada in un mondo che era ‘tradizionalmente’ piuttosto restio a dare spazio alle donne, quello delle corse, nel quale era più facile raccogliere commenti denigratori che parole di incoraggiamento, ricevere segnali di pregiudizio piuttosto che attestati di stima. Ma Pat amava guidare e correre veloce. E non disdegnava vincere e battere gli uomini, sentirsi la migliore e dimostrare di poter esserlo davanti agli scettici sbigottiti al traguardo. Una pioniera dall’eccezionale coraggio di sfidare il proprio tempo e aprire la strada alle future generazioni, forse forte un po’ anche del suo cognome, inizialmente usato come un ariete, ma poi diventato pesante come un macigno quando le si è imposto di dimostrare di valerlo al volante della sua Morris Minor cabriolet, soprannominata ‘Granny’. Qualcuno dice che fosse anche un'accorta donna d'affari e che seppe reinvestire i proventi delle sue attività equestri per entrare nel nuovo ambiente nonostante le tante porte chiuse. In ogni caso Pat Moss con il suo talento riuscì diventare la prima donna a vincere un rally internazionale e vincere il premio di pilota dell’anno, conferitole dal RAC, il Royal Automobile Club. Sennonché ci si trovò dinanzi al primo vero problema ‘diplomatico’ della storia del motorsport: il regolamento non consentiva alle donne di entrare nella sala banchetti del club. Dunque la regola dovette essere sospesa mentre le veniva consegnato il premio, di fatto assegnando ai punti anche una vittoria al buon senso. Va detto che buona parte dei meriti di Pat vanno tuttavia condivisi con Ann Wisdom, la sua navigatrice, una delle prime donne a sfruttare le sue eccezionali capacità per guadagnare denaro. Nonostante soffrisse maledettamente il mal d’auto. E nelle giornate del successo storico in Olanda , al termine del quale si ritirò, fosse pure incinta. È evidente che proprio nulla poteva fermare ‘Wiz’ e ‘Mossie’. Dopo il ritiro di Ann, accanto a Pat per navigarla si sedettero in molti. Fra quei tanti anche Erik Carlsson. Lo svedese accanto al quale la Saab aveva messo Stuart Turner. Lo svedese che non era mai stato in Scozia. Lo svedese che Turner aveva accompagnato per la prima volta a Edimburgo e alla scoperta delle strade del Regno Unito insegnandogli i segreti dei navigatori britannici. Lo svedese che ne era stato rivale in pista al Rally di Mezzanotte e poi aveva scelto di affiancarla e di portarla in Saab e di restarle accanto non solo in macchina, per non lasciarla mai più. Pat ed Erik si sposarono nel 1963. Poi la maternità e il ritiro dalle corse. A quarantadue anni facevano mostra di sé in bacheca 3 successi assoluti, 7 podi internazionali, 5 titoli europei e il record di 5 vittorie nella Coupe des Dames a Monte Carlo. Miss Rally poteva dirsi soddisfatta. Di lei, dopo la morte avvenuta a 73 anni nella minuscola Eaton Bray, nel Bedfordshire, ma registrata a Tring, quattordici minuti più in là, sempre a nord ovest di Londra, due passi entro la contea dell’Hertfordshire, la figlia Susie Rawding ha detto: “Credo che un modo per riassumere il tutto sia che è una vera icona. Metteva il cuore e l'anima in ogni cosa, e qualsiasi cosa facesse, sembrava che la facesse bene. Ma la cosa migliore di mamma è che trattava tutti allo stesso modo”. La ragazzina cresciuta con i pony, che amava i salti, le mostre e le gimcane, che il fratello maggiore Stirling – troppo attratto dalla meccanica – non voleva mai portare al cinema, che competeva nell’equitazione per fare incetta di coppe e di coccarde, in fondo ha saputo dimostrare al suo Paese che con la volontà tutto è possibile, anche contribuire al processo di emancipazione delle donne sporcandosi le mani di grasso e la tuta di fango. Quarant’anni dopo il suo primo rally, l’auto con cui conquistò il suo primo trionfo fu venduta all'asta per la sorprendente cifra di 155.000 sterline . Dopo i motori , Pat tornò ai cavalli, negli anni Ottanta, e la figlia seguì le sue orme, diventando un'affermata saltatrice ad ostacoli. A guardarli oggi, i successi di Pat Moss-Carlsson sono ancora più impressionanti se si considera quanto tempo fa sono stati raggiunti, in un'epoca in cui ancora poche donne gareggiavano negli sport motoristici. Probabile che il provenire da un ambiente equestre, uno dei pochi sport in cui le donne hanno sempre gareggiato alla pari con gli uomini, l’avesse aiutata a non soffrire di alcun soggezione, tuttavia la sua determinazione e la sua voglia di arrivare rappresentano ancora oggi un unicum nel mondo dei motori al femminile. Del resto il fratello Stirling soleva ripetere che “Se Dio voleva che camminassimo, perché ci ha dato dei piedi che si adattano benissimo ai pedali dell'auto?”. E lei, da brava sorella minore, deve averlo preso in parola…