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Che fine hanno fatto gli Atlanta Hawks?

NBA
Dennis Schröder, da quest'anno titolare point guard titolare di Atlanta (Foto Getty)
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La squadra di Mike Budenholzer ha perso nove delle ultime dieci partite disputate, scivolando fuori dalla zona playoff: viaggio all'interno dei loro problemi

Vi ricordate gli Atlanta Hawks delle prime settimane di regular season? La squadra di Mike Budenholzer era partita fortissimo con 9 vittorie nelle prime 11 partite, raccogliendo successi eccellenti sul campo dei Cleveland Cavaliers o in casa con squadre da playoff come Houston, Chicago e Milwaukee. Certo, le altre cinque vittorie erano arrivate contro squadre con un record sotto il 50% (Philadelphia due volte, Washington, Sacramento, Miami), e le due sconfitte consecutive contro Lakers e Wizards poteva far intravedere qualche crepa. Ma nessuno avrebbe potuto prevedere quello che è successo nelle ultime dieci partite, periodo nel quale gli Hawks hanno perso ben nove volte, di cui le ultime sei consecutive. Nelle due ultime sconfitte contro Pistons e Raptors, gli Hawks hanno preso complessivamente 80 punti, facendo scattare l'allarme: cosa è successo a Dwight Howard e soci?

I cari, vecchi Hawks — La differenza tra gli Hawks visti prima del 17 novembre e quelli visti dopo è quasi inquietante. Atlanta aveva basato il proprio record iniziale sulla solita eccellente difesa (95 punti concessi su 100 possessi, secondi dietro solo agli L.A. Clippers), e anche se l’attacco non brillava particolarmente (105.5, nella media Nba), la solidità nella propria metà campo bastava loro per posizionarsi al secondo posto nel differenziale tra punti segnati e subiti con un ottimo +10.5. Altre voci statistiche raccontavano dei soliti vecchi Hawks che abbiamo imparato a conoscere in questi anni: una squadra ben disposta a passarsi il pallone (18.8 assist per 100 possessi, secondi solo agli Warriors) e con un’ottima selezione di tiro (3° per percentuale effettiva dal campo), alla quale aggiungeva la quinta miglior presenza a rimbalzo, grazie all’inserimento di un Howard apparso ritrovato.

Il lato oscuro della luna — Dopo quel 17 novembre, gli Hawks sono crollati in maniera incomprensibile in entrambe le metà campo. Nelle ultime dieci partite l’attacco è il peggiore in assoluto della Nba (91.8 di rating offensivo) e la difesa si posiziona tra le peggiori dieci (21°), con un differenziale su 100 possessi di -14.9 che supera solamente quello dei derelitti Brooklyn Nets. Quando le cose vanno così male, la tendenza è quella di fare tutto da soli, cercando di raddrizzare la nave che affonda attraverso le iniziative personali. È esattamente il contrario di quello che ha reso gli Atlanta Hawks una delle migliori squadre della Eastern Conference negli ultimi tre anni: questi Hawks non si passano più il pallone (15.4 assist su 100 possessi, 26°), tirano malissimo dal campo (46.4%) e si è ripresentato anche il difetto storico della squadra, quello di fare fatica a rimbalzo (ne raccolgono solo il 48%, quart’ultimi in Nba).

Il tiro che non c’è — Uno dei motivi per cui questa versione degli Hawks fa così fatica è la mancanza di tiro da tre. In passato anche tiratori non eccezionali come Jeff Teague e DeMarre Carroll fornivano delle spaziature decisamente migliori per poter attaccare, specialmente nel continuo movimento di uomini e palla che contraddistingueva il sistema di Budenholzer. Oggi, con Dennis Schröder e Kent Bazemore in quintetto, Atlanta è la 26° squadra per percentuale da tre (32.5%) e la palla ristagna sempre più spesso nelle loro mani, anche perché il vero facilitatore della squadra, Al Horford, è volato a Boston e Dwight Howard — pur non avendo fatto male in questo inizio di stagione — è tutto tranne che un giocatore che apre il campo o organizza il gioco. “Dobbiamo tornare a fare le cose che rendevano speciale il nostro attacco — gente che si muove, gente che tira in punti del campo a loro congeniali, gente che fa il passaggio extra” ha commentato un preoccupato Kyle Korver. “Tutti sappiamo come funziona il nostro attacco quando giochiamo bene. Nelle nostre teste dobbiamo chiederci: come posso portare il miglior blocco possibile? Come posso passare il pallone il più velocemente possibile per fare in modo che il mio compagno la passi a un altro compagno? Come possiamo ricreare quella mentalità per cui si rinuncia a un buon tiro per uno ancora migliore? Sono le cose che ci hanno reso ciò che siamo, e al momento non le abbiamo più”.

Gli alibi — Ci sono anche altri motivi più basilari per cui gli Hawks sono andati così male. Il primo è il calendario, visto che otto delle ultime dieci partite sono state disputate in trasferta, di cui sei in un lungo e faticoso tour durato complessivamente otto giorni che ha impedito loro di allenarsi e sistemare i problemi in palestra. Il secondo è l’infortunio di un giocatore chiave come Paul Millsap, che ha saltato le ultime tre partite per una botta all’anca rimediata sul campo degli Utah Jazz. Il terzo è lo smascheramento del vero segreto dell’inizio la stagione, la panchina: nelle prime 11 partite le riserve degli Hawks erano le migliori in assoluto della Nba (+18.2 di Net Rating), nelle ultime dieci sono state le penultime della lega (-16.4). Probabilmente non era sostenibile il ritmo tenuto dai vari Sefolosha, Delaney e Hardaway, ma con il rientro di Millsap (la cui assenza ha scombussolato le rotazioni) è possibile che le cose si normalizzino almeno un po’. Bisogna fare presto però, perché l’ultima sconfitta coi Raptors li ha fatti scendere sotto il 50% di vittorie (10-11) e scivolare fuori dalle prime otto della Eastern Conference. Se coach Budenholzer non vuole mancare i playoff per la prima volta da quando siede sulla panchina degli Atlanta Hawks, dovrà trovare in fretta una soluzione.