Kevin Durant esce per infortunio dopo meno di un minuto di gioco e Golden State crolla anche sul -19 nel primo quarto. La rimonta nel secondo tempo non basta per vincere: finisce 112-108 in volata in favore degli Wizards
Cinquantasette per una sera non sono i punti realizzati in un quarto d’ora dagli Warriors o le triple tentate in una folle rincorsa al record di tiri dalla distanza degli Houston Rockets. Sono i secondi trascorsi sul parquet da Kevin Durant, costretto a uscire dopo che involontariamente Zaza Pachulia è franato sul suo ginocchio, mettendolo ko e lasciando col fiato sospeso l’intera NBA. Inevitabile quindi il contraccolpo psicologico e tecnico sui vice campioni NBA, travolti nel primo tempo da Washington, precipitati anche sul -19 per poi ritornare nel match e giocare un’ultima frazione punto a punto, vinta con merito dai padroni di casa. Eh già, perché quella che potrebbe essere ricordata come la partita dell’infortunio di Durant l’hanno vinta gli Wizards, che sorridono così per la prima volta dopo l’All-Star break, confermando una volta di più quanto sia difficile per chiunque vincere al Verizon Center. Non sono bastati a Golden State i 25 punti di Steph Curry, i 16 di Klay Thompson e i 14 conditi con 14 assist e 8 rimbalzi da Draymond Green, in una serata chiusa con solo 8/28 dalla lunga distanza.
La partita – Washington in realtà pensava di averla vinta già dopo 24 minuti, trascinata dai 16 punti nel solo primo quarto di Bradley Beal e dagli undici assist distribuiti prima dell’intervallo da John Wall. Ma Golden State, anche senza Durant, è squadra dura a morire. E così, col punteggio in parità sul 108 a meno di 20 secondi dalla fine, ci pensa a Otto Porter a regalare il +2 ai capitolini, volando a rimbalzo d’attacco e lucrando due preziosissimi tiri liberi. “È stato decisivo – commenta coach Scott Brooks -; Otto Porter è fenomenale sotto il tabellone avversario”. I secondi sul cronometro però, sono ancora tanti. Steph Curry quindi ha tutto il tempo di andare dall’altra parte, ragionarci su e poi prendere il suo tiro dal palleggio ben oltre l’arco. “È una conclusione che prendo tranquillamente di solito, per quello era fiducioso – commenta il numero 30 degli Warriors -. Un giocatore vive per questi momenti”. Il tentativo però non trova il fondo della retina, ma le mani protese di Markieff Morris. Rimbalzo, fallo, tiri liberi, successo. 112-108 per Washington, che vince dimostrandosi squadra in grado di saper soffrire e di poter contare sul contributo di un gruppo sempre più ampio di giocatori.
Ambizioni da contender - Per il fratello gemello di Marcus infatti alla sirena sono 22, uno dei sei che chiudono la gara in doppia cifra tra i padroni di casa. Dodici punti e record personale di assist eguagliato a quota 19 per John Wall, che racconta a fine partita di come la scarsa mira in serata di Curry non fosse di certo un motivo per stare tranquilli sull’ultima giocata del playmaker numero 30: “Abbiamo cambiato su ogni blocco cercando di restargli attaccanti anche molto, molto lontano da canestro. E alla fine abbiamo pregato che non andasse dentro”. Chi invece ha trovato con continuità il fondo della retina è stato Bojan Bogdanovic, chiamato a segnare il più rapidamente possibile in uscita dalla panchina e che ha risposto con 16 punti in 24 minuti. Beal, dopo il primo quarto infuocato, chiude a quota 25, con +11 di plus/minus e restando in maniera convincente sul parquet per oltre 38 minuti. Un miraggio fino a qualche mese fa a causa delle sue precarie condizioni fisiche e dei suoi continui problemi e ricadute. Un’ipotesi remota fino a poco tempo fa come il terzo posto nella Eastern Conference degli Wizards, al momento l’alternativa più credibile a Est ai Cleveland Cavaliers.