In casa Cavs tengono banco i minuti di LeBron James, mai così alti nelle ultime stagioni. Coach Tyronn Lue però non è preoccupato neanche da un lungo pezzo di ESPN sul chilometraggio della sua stella
Nei giorni di riposo in attesa che si scopra la sfidante del prossimo turno ai playoff, è inevitabile che il discorso principale in casa Cleveland Cavaliers sia proprio il riposo. In particolare quello di LeBron James, un tema dibattutissimo da tutto l’anno tanto dai diretti interessati quanto dal mondo esterno. Un po’ perché il Re fa sempre notizia, e un po’ perché i suoi 38.8 minuti di media (il suo massimo da quando ha lasciato Miami), e ancor di più i suoi riposi programmati durante la regular season (7 partite saltate), hanno fatto discutere per tutta la stagione. Durante i playoff il minutaggio di James è esploso fino a toccare quota 43.8 (il massimo dal 2010-11), complice anche il fatto che deve trascinare la second unit nei periodi di gara in cui dovrebbe riposarsi. Ma coach Tyronn Lue - che per gara-6 tra Milwaukee e Toronto ha organizzato un "watch party" a casa sua con 1.800 ali di pollo da consumare - non si è detto preoccupato, anzi. “Ovviamente siamo sempre molto attenti ai minuti di LeBron, ma in questo particolare momento per noi non rappresentano un problema” ha dichiarato a ESPN. “Per noi ha più senso chiudere in fretta una serie e guadagnare riposo aggiuntivo, piuttosto che tenerlo in campo meno minuti ma per più partite, aggiungendo ulteriori 96-144 minuti. Per noi avanzare subito è meglio di qualsiasi altro scenario”.
Perché non fate tutti come me?
Un ragionamento che non fa una grinza, anche perché conoscendo l’imprevedibilità dei playoff NBA conviene sistemare i conti in fretta (James ha un record di 44-7 in carriera e non perde una gara al primo turno da cinque anni) e guadagnare prezioso riposo in vista di maggio e giugno. Coach Lue però, non contento, è andato oltre: “Non capisco perché tutti ne facciano un problema così grosso: LeBron ha avuto una settimana di pausa prima dell’inizio della serie, poi ne abbiamo vinte quattro in fila, quindi si è guadagnato un’altra settimana di riposo. Perciò la prossima serie potrebbe anche giocare 48 minuti filati”. Quindi ha aggiunto: “Fa tutto parte dei playoff – bisogna capire come si sente e come stanno andando le partite. Ma non ci sono back-to-back ai playoff. Alcune squadre vanno in difficoltà perché ascoltano ciò che dicono i media sui minutaggi dei loro giocatori. Alcune squadre davvero dovrebbero dare più minuti ai loro giocatori: avrebbero delle serie differenti. Ma fa niente”. Un riferimento neanche troppo velato agli Oklahoma City Thunder, che hanno tenuto in campo Russell Westbrook “solo” per 38.8 minuti di media, venendo battuti peggio dei Looney Tunes quando il numero 0 non è stato in campo. (Anche se in realtà OKC, sulla base di analisi interne durate anni, ha scoperto che è meglio utilizzare Westbrook per brevi periodi concentrati piuttosto che sfiancarlo a lungo). “Penso che molti giocatori siano in grado di sostenere sforzi del genere, perché tutti si prendono cura del proprio corpo” ha continuato Lue. “I giocatori NBA sono tra gli atleti nelle migliori condizioni di tutto il mondo dello sport. Molte volte gli allenatori si fanno portare fuori strada da ciò che dicono all’esterno, ma dovrebbero basarsi su quello che sentono e su quello di cui ha bisogno la squadra. Se LeBron gioca 46 minuti e Kyrie 45 e vinciamo, allora ne vale la pena. E se abbiamo bisogno che ne giochino così tanti per vincere nei playoff, allora ne vale assolutamente la pena”.
Il piano per LeBron
Ovviamente nulla di tutto questo viene fatto senza il consenso di James, a cui basterebbe una singola parola per far crollare il suo minutaggio a livelli normali. Ma già dall’inizio di questa stagione LeBron e il suo preparatore storico Mike Mancias hanno deciso che giocare più a lungo e allenarsi di meno durante la stagione fosse la strategia migliore per mantenere la forma in vista dei playoff. “Giusto oggi LeBron ha detto che si sente peggio quando non gioca” ha continuato Lue. “Bisogna sempre calibrare tutto. Ma ha detto che si sente alla grande in generale, e nella serie con Indiana non aveva un reale compito difensivo su un giocatore, perciò ha potuto giocare sulle linee di passaggio. Questo gli ha fatto bene, e dopo una regular season del genere, il suo corpo è abituato a sopportare sforzi di questo tipo. Perciò non mi preoccupo di ciò che dice la gente là fuori”. James aveva parlato del suo minutaggio dopo gara-4, dicendo solo che stava seguendo il piano partita deciso dalla panchina e che la comunicazione con gli allenatori sulle sue condizioni è costante. “Nel momento in cui, stando in campo a lungo, mi accorgerò di provocare danni alla squadra, allora uscirò dal campo. Ma in realtà mi sono sentito alla grande contro Indiana: avrei potuto giocare tutta la partita se necessario”.
La lunga cover story di ESPN The Magazine
Uno dei motivi che con ogni probabilità ha portato coach Lue a esporsi così tanto è un lungo articolo firmato da Henry Abbott di ESPN intitolato “LeBron James alla fine ha raggiunto il punto di rottura?”. Nel reportage viene esposto, con parere di esperti e di fonti interne, quanto il minutaggio di LeBron negli anni sia da considerare “insostenibile, forse maggiore a qualsiasi altro atleta di qualsiasi sport”. Il fatto che abbia giocato così tanto (38.9 minuti di media in carriera), così a lungo (ha concluso la sua 14^ stagione in NBA) e soprattutto così spesso (tre partite e mezzo di media a settimana) per uno sforzo così intenso e prolungato ha richiesto al suo corpo un prezzo inimmaginabile. Nel pezzo – che prende James come esempio più visibile di un problema in realtà ben più ampio – viene anche rivelato da una fonte interna alla lega che tutti i giocatori NBA hanno una possibilità del 100% di infortunarsi nel corso della carriera. In sostanza gli atleti della lega di Adam Silver o sono infortunati o sono destinati a infortunarsi continuando a giocare abbastanza a lungo, e anche disputando 50 o 100 partite consecutive senza farsi male la situazione non è destinata a cambiare. A incidere sono diversi fattori: i viaggi su più fusi orari, la mancanza di sonno, le capacità di recupero, gli infortuni considerati “minori” su cui si continua a giocare, la durata della stagione, la quantità di partite da giocare nel giro di due settimane e la stanchezza mentale. Tutti elementi che rendono lo sforzo dei giocatori NBA davvero difficile da sostenere, specialmente per giocatori come James chiamati a giocare da LeBron James ogni volta che scendono in campo. “La NBA, e la maggior parte degli sport professionistici, consiste nel tentativo di dare tutto quello che si ha in campo e tenere duro per salvarsi la pelle” si legge in conclusione del pezzo. “Vuol dire sperare e pregare di avere abbastanza benzina nel serbatoio per superare la linea del traguardo senza schiantarsi contro il muro… ma tutti hanno un punto di rottura”. Qual è quello di LeBron James?