Steph Curry è il miglior marcatore con 22 punti, ma un grande Draymond Green e un quintetto base tutto in doppia cifra assicurano una comoda vittoria per Golden State nel primo episodio della semifinale di conference contro Utah, dominata dall'inizio alla fine
La domanda inizia a essere legittima: 5 partite, 5 vittorie, un margine medio di 16.8 punti inflitto agli avversari: questi Warriors possono essere fermati? Gara-1 della semifinale di conference contro Utah sembra indicare di no, con Golden State che chiude a +12 (106-94) ma che tocca anche il +21 nel quarto quarto (94-73), in una gara condotta wire-to-wire, dall’inizio alla fine, senza che i Jazz abbiano mai avuto né il vantaggio né tanto meno una chance di vittoria. Il dato che riassume meglio di tutti lo strapotere della squadra di coach Kerr – e Mike Brown, in panchina nel ruolo di capo allenatore anche in gara-1 – è come spesso accade quello degli assist: ce ne sono 32 su 40 canestri a segno. Guidato dai 22 punti di Steph Curry (con 7/11 al tiro, ma anche 7 rimbalzi e 5 assist) tutto il quintetto degli Warriors va in doppia cifra, con i 17 a testa di Kevin Durant e Draymond Green (ottimo con anche 8 rimbalzi, 6 assist, 2 stoppate e 2 recuperi, 13/25 da tre per lui nei playoff finora e 19 stoppate totali) e i 15 di Klay Thompson. Spaventa il fatto che i californiani possano disporre così facilmente dei propri avversari – superando agevolmente quota 100 a tabellone anche con i titolari a riposo negli ultimi minuti – in una gara in cui tirano solo 7/29 (24.1% contro il 40.3% tenuto contro i Blazers nella serie di primo turno) dalla grande distanza, uno dei punti forti della squadra della Baia. Non entrano i tiri da tre punti? Nessun problema: Golden State corre, e distrugge i Jazz per punti ottenuti in contropiede, 29-6. È un’altra ricetta che assicura la vittoria: i californiani sono infatti 28-0 tra stagione regolare e playoff quando segnano più di 25 punti in contropiede. La partita viene segnata fin dall’inizio dal 9-0 di parziale che vede Utah senza canestri per i primi 4 minuti abbondanti della partita. Da lì in poi appare tutto in discesa, anche se ci pensa Steph Curry a mantenere la serata interessante, nel bene e nel male: prima realizza la giocata della gara, ubriacando Rudy Gobert (meritevole candidato al premio di difensore dell’anno) in palleggio prima di concludere al ferro in acrobazia, e poi accusando un leggero guaio alla caviglia, una storta che lo manda precauzionalmente in panchina, dove si toglie anche la scarpa per valutare le condizioni del piede prima di tornare in campo ma solo per abbandonare definitivamente la contesa poco dopo. Potrebbe non essere assolutamente nulla di preoccupante, ma quando si tratta di Curry e delle sue caviglie basta anche poco per allarmarsi.
Utah alza bandiera bianca
Possono poco i Jazz che hanno in Rudy Gobert, con solo 13 punti (5/7 al tiro e 8 rimbalzi, ma anche un flagrant di frustrazione nel quarto quarto) il miglior marcatore di serata, visto che non vanno oltre i 12 punti né Rodney Hood dalla panchina, né Gordon Hayward, limitato a 4/15 dal campo con 2/9 dall’arco. Utah ha il suo momento migliore a cavallo tra primo e secondo tempo, quando segna 7 punti consecutivi per portarsi prima a -10 e poi fino a-7 sul 61-54, prima di subire un parziale di 9-0 che li rimette a distanza. Stessa dinamica verso la fine del terzo quarto: lo svantaggi torna a 10 punti, ma a cavallo degli ultimi due periodi Draymond Green segna 10 punti consecutivi e chiude definitivamente la partita. Coach Snyder può consolarsi col fatto di aver potuto comunque schierare Derrick Favors (in dubbio alla vigilia, 4 punti in 12 minuti per lui) ma con poco altro: non resta che aspettare gara-2 e sperare di far meglio per contrastare quella che a oggi sembra una squadra difficilmente battibile. Ma nei playoff, si sa, ogni partita fa storia a sé.