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NBA: Washington Wizards, tutta colpa della panchina?

NBA

Stefano Salerno

Gli Wizards si sono arresi in gara-7 ai Boston Celtics, travolti dalla panchina dei padroni di casa e incapaci di opporre resistenza con le proprie seconde linee. Il problema che ha accompagnato per tutta la stagione Washington, è anche quello che li ha condannati all’eliminazione. Cosa fare in estate per provare a porre rimedio?

Il 15 maggio non è una data che porta bene agli Washington Wizards, né tantomeno a John Wall, eliminato per la terza volta negli ultimi quattro anni proprio alle "idi di maggio". Una maledizione che mai come questa volta è diventata insopportabile per il numero 2. “È più dura del solito da digerire visto che è arrivata in gara-7. Questa è davvero pesante da mandare giù”. Il rammarico è tanto, ma nonostante tutti gli errori accumulati nel finale del match di questa notte, è difficile chiedere di più al numero 2, decisivo nella cavalcata che ha portato gli Wizards fino a gara-7. Uno 0/11 dal campo condito da uno 0/7 da tre raccolto negli ultimi 19 minuti di gioco, sintomo di come la point guard degli Wizards sia arrivata davvero con il fiato corto alla partita più importante della stagione .“Sembrava stanco”, racconta Marcus Smart, che si è preso cura di Wall nel finale di gara. “Come al solito ha fatto di tutto per la sua squadra e questo alla lunga ti consuma, ti logora”. Un problema evidente anche nella meccanica di tiro. “Le gambe – prosegue il giocatore dei Celtics -. Era evidente che fosse un problema di gambe, per quello i suoi tiri terminavano sempre troppo corti”. A questo punto della stagione e dopo i fantastici mesi che si è lasciato alle spalle infatti, in pochi ricordano che nelle ultime due estati Wall si è sottoposto a interventi alle ginocchia e che spesso e volentieri ha dovuto far fronte a limitazioni a livello di minuti trascorsi sul parquet. Mai aveva giocato così tanto in carriera. “È una delusione, perché avevamo posto come obiettivo quello di raggiungere le finali di conference e siamo arrivati a una partita dal traguardo. Non possiamo di certo ritenerci soddisfatti”.

La panchina, condanna degli Wizards

Non le sue ultime parole prima di lasciarsi alle spalle i giornalisti. Quelle infatti le ha dedicate a ciò che più di tutto non ha funzionato contro Boston. “Quarantotto a cinque. La nostra panchina ha segnato soltanto cinque punti”. Un chiaro messaggio lanciato alla dirigenza capitolina, non in grado di garantire delle riserve all’altezza o quantomeno capaci di conservare il vantaggio accumulato dal quintetto titolare. “Loro avevano a disposizione un sacco di giocatori che garantivano solidità in difesa e altri che uscendo dalla panchina gli spaziano il campo e soprattutto mettono a referto canestri importanti”. Parole pesanti come i macigni lanciati dai vari Oubre, Bogdanovic, Jennings e Smith contro il canestro avversario, imprecisi e finiti sempre ben lontani dal fondo della retina. Tenuto conto dell’attenuante Ian Mahinmi, limitato per tutta la stagione a causa di un infortunio al ginocchio, il resto della panchina ha deluso (non poco), incapace di andare oltre il singolo canestro segnato in gara-7 contro i 17 raccolti da Boston dai giocatori impiegati a gara in corso. Un gap enorme, che neanche campioni come Wall e Beal possono colmare. In questi playoff infatti la panchina degli Wizards è stata la meno utilizzata, la meno produttiva (23.8 punti), ma soprattutto ha chiuso con un disastroso -15.5 di Net Rating - un dato dall’incidenza mostruosa, visto che nei 250 minuti in cui in campo è sceso il quintetto titolare, Washington ha raccolto un ottimo +18 di Net Rating. La spina dorsale c’è dunque, ma bisogna costruirgli attorno tutto il resto.

Cosa fare in estate sul mercato?

Wall infatti, giunto alla settima stagione in NBA, ha soltanto 26 anni e Bradley Beal, cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi mesi sia in quanto ad affidabilità (2684 minuti non li aveva davvero mai giocati in carriera) che soprattutto come rendimento, con i suoi 23 anni garantisce ancora molte stagioni da secondo violino di lusso. A loro poi si aggiungono gli ottimi Marcin Gortat e Markieff Morris, genio e sregolatezza, capace di determinare il cambio di passo decisivo in alcuni momenti di gioco, così come di staccare la spina e diventare nocivo per la squadra. I 20 milioni di dollari combinati con cui gli Wizards si sono garantiti per il prossimo anno le prestazioni di entrambi sono il vero affare compiuto dalla dirigenza di Washington. Il punto interrogativo dell’estate però è Otto Porter, arrivato alla scadenza del suo contratto da rookie e mai come quest’anno rivelatosi il 3&D indispensabile per qualsiasi squadra NBA nel 2017. Il 43.4% da tre raccolto in regular season, diventato 28.2% nei playoff è solo uno dei dati che dimostra come i margini per lavorare e crescere siano ancora molti (soprattutto quando aumenta la posta in palio), ma Washington nonostante lo 0/2 raccolto dal numero 22 dalla lunga distanza questa notte, non può pensare di fare a meno dei suoi 20 punti e 10 rimbalzi per vincere contro le Boston di questo mondo nei prossimi anni.

Un cap fin troppo pieno, purtroppo

Far restare Porter nella capitale però, richiede uno sforzo economico non da poco. Dal primo luglio infatti la terza scelta assoluta del draft 2013 potrà ambire al 25% del salary cap; una cifra attorno ai 26 milioni nel solo 2017-2018 che sommati agli 85.7 già garantiti al resto del roster, toglierebbero in sostanza qualsiasi margine di manovra agli Wizards sul mercato, escludendo fantomatici (e al momento non ipotizzati) scenari che coinvolgano scambi di alcune pedine importanti del quintetto titolare. Ian Mahinmi infatti ha ancora 48 milioni di euro da incassare nei prossimi tre anni, più di quanto garantito ai due titolari del ruolo messi assieme. Quelli, sommati ai contratti dei vari Kelly Oubre, Jason Smith e altri, fanno sì che Washington non possa approfittare dell’ultimo anno di contratto da 18 milioni di Wall per andare a caccia di quel giocatore da 8/10 milioni che manca in uscita dalla panchina. Il numero 2 infatti già pregusta il maxi rinnovo a cui potrà puntare dall’estate prossima (e che metterà definitivamente una pietra tombale sul margine a disposizione della dirigenza nelle future sessioni di mercato). A tutto ciò si aggiunge poi il fatto che le operazioni (rivelatesi poi errate) fatte per accaparrarsi Bojan Bogdanovic e Brandon Jennings, fanno sì che entrambi dal 30 giugno lascino vuoto il loro posto su quella panchina già fin troppo sguarnita. Muovere una pedina all’interno di un ecosistema così redditizio come il quintetto di Washington sarebbe un suicidio. Ma Wall e Beal meritano un supporting cast migliore, più pronto e soprattutto che gli permetta di non arrivare con il fiato corto al 15 maggio 2018. Altrimenti sappiamo già come andrà a finire.