Gli Spurs decimati dagli infortuni perdono anche in casa 120-108 sotto i colpi di un Kevin Durant da 33 punti, 19 dei quali arrivati nel decisivo terzo quarto
Senza Tony Parker, senza Kawhi Leonard, senza David Lee e nel finale di partita anche senza Danny Green. Il castello di carte dei San Antonio Spurs che continua a perdere pezzi davanti all’inesorabile avanzata degli Warriors, sembra aver perso ormai definitivamente ogni speranza di successo, sconfitto senza troppa fatica anche in gara-3 per 120-108, con Golden State ormai soltanto a un passo dalla terza finale NBA consecutiva. Un 11-0 fin qui raccolto in post-season da Steph Curry e compagni che eguaglia quelli raccolti nel 1989 e nel 2001 dai Lakers (e con Cleveland che col suo 10-0 proverà a essere la quarta squadra a riuscirci); una cavalcata ancora immacolata portata avanti grazie ai 33 punti messi a referto da Kevin Durant, il migliore dei suoi, 19 dei quali arrivati nel solo terzo quarto, il migliore a livello realizzativo della sua carriera ai playoff. Canestri fondamentali per piazzare lo strappo decisivo, l’allungo che spezza le gambe degli Spurs, rotolati oltre la doppia cifra di svantaggio a inizio terzo quarto e incapaci di risalire a galla, aggrappati alla chioccia Manu Ginobili (21 punti in 18 minuti) e a quel poco che resta a disposizione sul parquet, con un LaMarcus Aldridge da 18 punti e -27 di plus/minus e un Jonathon Simmons da sette canestri e cinque assist. Gli Warriors nel frattempo gongolano e aggiornano il libro dei record: unici assieme ai Milwaukee Bucks del 1971 a vincere nove partite delle prima 11 con la doppia cifra di vantaggio e bravi a chiudere il discorso in meno di tre quarti, i ragazzi della Baia non sembrano intenzionati a rallentare la loro corsa verso il titolo.
Golden State, una sinfonia perfetta
“È stata una mia decisione, non era pronto fisicamente per affrontare una partita di playoff”. Coach Popovich prova a caricarsi sulle sue larghe spalle la decisione di lasciare fuori Kawhi Leonard anche in questa gara-3 dal sapore di ultima spiaggia. “È stata dura senza di lui, sia in attacco che in difesa”, prosegue Ginobili sulla falsa riga del suo allenatore. “Siamo in una situazione disperata, ma l’unica cosa a cui possiamo pensare al momento è quella di continuare a combattere”. Anche perché, come sottolinea il campione argentino, Golden State è una squadra molto diversa rispetto a quella di quattro anni, quella svezzata dai texani, ultimi a fermarne la corsa a Ovest prima delle due Finals consecutive. Una sfida falcidiata dunque dall’infortuni (contando anche l’assenza di Zaza Pachulia e di un Andre Iguodala a mezzo servizio), in cui però qualcuno per fortuna inizia a stare meglio. Coach Steve Kerr infatti per la prima volta in questi playoff è riuscito a seguire la squadra in trasferta, guardando la partita dagli spogliatoi, come già successo nella serie contro San Antonio nelle prima due sfide della Oracle Arena. “È stata una sua idea quella di far partite McGee titolare”, racconta a fine partita Mike Brown; una scelta che ha pagato, visto che a fine primo tempo il numero 1 era il migliore marcatore del match con i suoi 16 punti. Uno in più quelli realizzati da Klay Thompson, che oltre al mettere il solito bavaglio difensivo a Patty Mills, è riuscito finalmente a trovare un minimo di continuità anche al tiro. “E Curry?”, si chiederanno in molti. Per lui 21 punti, 5 rimbalzi e 6 recuperi, utili a superare Rick Barry per punti realizzati in post-season senza bisogno di strafare, né tantomeno di dover piazzare una delle sue super prestazioni al tiro. Sì, per Cleveland non poteva esserci notizia peggiore.