Ospiti del Vice President Media Operations & Technology sul camion di produzione NBA durante una delle gare di finale NBA, vi sveliamo i segreti di un luogo solitamente inaccessibile ma anche i progetti futuri della lega, dagli sviluppi del player tracking all'innovativo archivio digitale
OAKLAND — Non capita tutti i giorni di essere ospiti di Steve Hellmuth, Executive Vice President, Media Operations & Technology di NBA, sul camion produzione, il luogo da dove la lega stessa lavora il feed prodotto da ABC/ESPN e lo distribuisce — come afferma orgoglioso lo stesso Hellmuth — in 215 Paesi e 49 diverse lingue in tutto il mondo. Lo spettacolo NBA nasce anche qui, grazie a un numero spropositato di telecamere impiegato sul campo e grazie all’uso di tecnologie tra le più avanzate per consentire ai vari partner televisivi globali di offrire ciascuno nel proprio Paese il miglior prodotto possibile. La gestione del world fedd dall’interno del campion produzione è però solo una delle responsabilità di Steve Hellmuth che per NBA si occupa anche di tutta una serie di altri topic tra i più interessanti e d’attualità, dall’implementazione delle tecnologie di player tracking alla supervisione sulla creazione di una archivio media digitale di dimensioni davvero impressionanti. Ci siamo fatti raccontare tutti i progetti e le novità NBA nel campo della comunicazione televisiva, digitale e tecnologica, a partire proprio dal lavoro compiuto dalla lega sul tracciamento in campo dei propri giocatori.
Il player tracking fino a oggi
“Siamo alla conclusione del nostro accordo di 4 anni con SportVU”, racconta Hellmuth. “Siamo stati la prima lega a fare player tracking — forse qualche club europeo di calcio già utilizzava questa tecnologia — e devo dire che SportVU ha compiuto un ottimo lavoro. Ci ha permesso di raccogliere dati importanti per capire il benessere dei nostri giocatori, il grado di fatica e le conseguenze sui loro ritmi di sonno, sull’alimentazione, sul regime di allenamento e su tutto ciò che può rendere un atleta e la sua performance migliore. Poi c’è la parte riguardante la strategia di gioco: il gioco dei Golden State Warriors ad esempio è definito in gran parte dalle dinamiche evidenziate dal player tracking, che hanno messo in evidenza come non ci sia conclusione migliore di un tiro da tre punti smarcati, Ecco allora la palla girare velocemente sul perimetro per trovare proprio quel tiro, che è caratterizzato anche da quello viene definito rebounding dispersal, ovvero un rimbalzo abbastanza anomalo che ha le stesse possibilità — 50&50 — di finire nelle mani di una squadra o dell’altra. I dati ci dicono invece che un tiro dal mid-range ha molte più possibilità di finire nelle mani dei difensori che si trovano tra il tiratore e il canestro, mentre ancora diversa è la realtà per un tiro al ferro — altra conclusione caldamente suggerita dai dati statistici — perché l’attaccante, trovandosi lui stesso vicino al canestro, ha più chance di catturare il rimbalzo. Cleveland e San Antonio sono altre due squadre che basano molto il loro stile di gioco sulle indicazioni ricevute da questi dati: gli allenatori li usano per stabilire la loro strategia, i GM per valutare i propri giocatori, lo staff medico per tenere sotto controllo lo stato fisico degli stessi. Tutte le informazioni sono rese disponibili in maniera equa a tutte le squadre, che ricevono anche un programma chiamato ICE che aiuta ad analizzare tali dati, anche se poi ogni franchigia ha il proprio sistema interno di analisi, segreto e riservato”, afferma Hellmuth.
Il player tracking del futuro
Ma le cose stanno per cambiare: “Esattto. Dall’anno prossimo inizieremo a lavorare con un nuovo partner, Second Spectrum, il cui fondatore dell’azienda — Rajiv Maheswaran — è protagonista di un TED Talk che vi invito a guardare online se volete saperne di più. Abbiamo già installato e testato un nuovo sistema di player tracking in tutte le arene e questo nuovo sistema ci permetterà di velocizzare il ritmo di creazione e ricezione stessa dei dati, che sarà quasi in tempo reale e renderà possibile inserire le informazioni ricevute all’interno delle grafiche televisive, offrendo così un servizio ancora più completo al nostro pubblico. Non sarà possibile da subito — sarà necessario almeno un anno di test — ma dalla stagione 2018-19 dovremmo essere in grado di farlo, specialmente per contenuti digitali e su dispositivi mobili. Il modo in cui è stato scritto il nuovo codice alla base del software di Second Spectrum include anche la parte di motion capture, ovvero la registrazione dei movimenti del corpo — dalle mani ai piedi fino al posizionamento generale del giocatore durante l’azione”.
L’archivio digitale NBA
Ancora più affascinante è per certi versi ascoltare il racconto di Hellmuth su tutto quello che riguarda il mastodontico lavoro di archivio che la NBA sta effettuando sul suo sterminato database di immagini e video. “Siamo stati la prima lega a iniziare un progetto del genere — afferma Hellmuth — e ci siamo ritrovati circa 500.000 ore di video da digitalizzare: è disponibile ogni singola partita dal 1986 a oggi, ma abbiamo immagini e filmati fin dalla prima partita mai disputata — quel Toronto-New York del 1946 che vede ad esempio il primo canestro mai segnato nella lega, da Ossie Schectman. Stiamo digitalizzando tutti i nastri a una qualità molto alta di definizione dell’immagine, in modo da poter preservare questo tipo di informazioni per sempre. Se ne occupano 4 robot che lavorano in maniera completamente automatizzata su 19.000 slot, inserendo e rimuovendo senza sosta i vecchi nastri e portando avanti così il processo di digitalizzazione sul nostro disco rigido. Nessuno si sarebbe preso cura della storia della NBA se non la NBA stessa, per cui abbiamo scelto di intraprendere questo gigantesco lavoro, che dovrebbe ultimarsi nel 2020, perché ci mancano ancora le ultime 100.000 ore di video da trattare e lavorare, un processo che prevede anche la trasformazione di molte delle immagini da una qualità standard a una ad alta definizione”.
Come cambierà il modo di vedere la NBA?
Affascinati dallo sguardo rivolto al futuro di Steve Hellmuth e del suo gruppo di lavoro, abbiamo un’ultima curiosità che chiude la nostra intervista: come cambierà il modo di vedere il basket NBA — al palazzetto o a casa propria — in futuro? Mr. Hellmuth ha le idee molto chiare in proposito: “A nostro avviso la cosa più importante nel vivere un evento sportivo — ci risponde — è il farlo con i propri amici, è la fruizione social dello stesso, al punto che oggi durante una partita la comunicazione spesso avviene attraverso messaggi Facebook, video o tweet anche tra persone tutte riunite in un’unica stanza. La fruizione dell’evento sportivo dev’essere un’esperienza collettiva. Il mio messaggio a chi a lungo ha lavorato sulla realtà virtuale è stato: voi non avete capito il punto. Non mi interessa se l’immagine è bidimensionale, io voglio vedere la partita insieme a mio fratello, al mio amico! Voglio che sia lui — non la partita — a essere virtuale, caso mai. Secondo me è questa la direzione in cui stiamo andando: si potrà scegliere da dove poter vedere assieme la partita — scegliere l’angolo di prospettiva come se si fosse all’interno dell’arena, nel posto che si preferisce — e poi scegliere con chi vederla, in modo da poter chiacchierare e scambiarsi opinioni durante tutta la gara. Lo sport è questo, lo sport si consuma mentre contemporaneamente si sta facendo anche dell’altro. Per questo non mi è mai piaciuta l’idea di dover indossare quei visori di realtà virtuale che ti isolano dal mondo: non si vive l’esperienza sportiva in questa maniera”.