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Alla scoperta di Jayson Tatum: realizzatore puro o qualcosa in più?

NBA

Dario Vismara

La stella di Duke è un giocatore di uno-contro-uno di alto livello, ma può diventare anche qualcos’altro o è destinato a rimanere tale? Andiamo a scoprire insieme la sua storia, i suoi pregi e i suoi difetti

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Un vecchio adagio della lega dice: “Un serial killer con 20 punti nelle mani un posto in NBA lo trova sempre”. Questo per dire che un realizzatore puro, uno che mette tanti punti a referto e si fa carico dell’attacco della squadra anche da solo, un posto nella lega lo può trovare anche quando tutto il resto del suo gioco sembra mancare, o anche quando ci sono seri problemi caratteriali a fermarlo. Jayson Tatum per fortuna non ha nessuna “red flag” caratteriale e anzi, sembra essere un ragazzo con la testa sulle spalle dopo aver ricevuto una grande educazione da sua madre Brandy, a cui è affezionatissimo. Le doti per mettere 20 o più punti a referto, invece, ci sono tutte e lo rendono un prospetto di assoluto interesse per le prime cinque chiamate – perché, nonostante delle attese altissime, Tatum nel suo primo e unico anno a Duke University ha chiuso con quasi 17 punti, 7 rimbalzi e 2 assist di media con il 50% di percentuale effettiva, mostrando un arsenale di soluzioni che lo rende uno dei realizzatori più affidabili di tutta la classe del 2017, uno di quei giocatori magari old-school, ma che in realtà non passano mai davvero di moda. Perché lo shot-making rimane la capacità più difficile da trovare a livello NBA – e Jayson Tatum promette di averne in gran quantità, insieme a un profilo fisico non banale.

Percorso scolastico e storia personale

Arrivare a ricevere una educazione al college è un grande risultato per qualsiasi ragazzo, ma per la famiglia Tatum vale qualcosa in più. Perché mamma Brandy, rimasta incinta di Jayson a 18 anni, non ha rinunciato ai suoi sogni personali portando avanti l’università, il lavoro part-time e un bambino da accudire da sola (il padre Justin ha giocato al college a St. Louis University e poi da professionista in Europa, ma senza avere un ruolo quotidiano nella vita del ragazzo) per raggiungere la bellezza di tre lauree in comunicazione, scienze politiche e legge. Brandy si portava dietro il piccolo Jayson anche a lezione, lasciandolo in un angolo col suo fido Game Boy a fargli compagnia, inculcandogli però la cultura del lavoro e del sacrificio (4 ore di sonno erano “una nottata di qualità” per lei) – valori che sono tornati comodi a Jayson quando ha iniziato a fare sul serio con la pallacanestro. Per questo al suo arrivo a Duke il nativo di St. Louis si è detto entusiasta di poter essere allenato da una leggenda come Coach K, ma anche di guadagnarsi una laurea in una delle università più prestigiose del paese. Un atteggiamento positivo che darà i suoi frutti anche nella proseguo della sua carriera: nonostante la giovane età, Jayson ha già la testa “da professionista”, ha sviluppato esperienze con le nazionali giovanili USA e, da quello che sappiamo, è uno di quei “gym rat” che ama rimanere in palestra per lavorare a lungo sul suo gioco. Inoltre, possiede una tranquillità che torna utilissima nei finali di gara, dove è in grado di creare un tiro dal nulla per cavare la sua squadra fuori dai guai.

Punti di forza: profilo fisico e doti realizzative

Con un altezza di 2.03, un’apertura alare di 2.11, eccellente controllo del corpo e un fisico slanciato, Tatum ha tutti i mezzi per poter essere un “matchup nightmare”: troppo veloce per i 4 statici, troppo alto per i 3 più piccoli di lui — con le misure per essere utile anche nella sua metà campo. Quello che più fa innamorare di lui è l’estremo bagaglio tecnico che mette in mostra quando attacca nella sua situazione preferita, l’isolamento: Tatum già ora è una minaccia da prendere in considerazione sia quando attacca fronte che spalle a canestro, grazie a un footwork avanzatissimo e un bagaglio tecnico di finte, jab steps, crossover e step back di assoluto rispetto. Quando isolato su un quarto di campo, Tatum mostra dei lampi che ricordano Carmelo Anthony, specialmente quando usa il suo palleggio-arresto-tiro per creare separazione e tirare sopra le teste dei difensori (anche con un accenno di fadeaway su una gamba sola à la Dirk Nowitzki). Il prodotto di Duke è un atleta più fluido che potente a questo punto della sua carriera (ma ha spalle larghe su cui poter aggiungere chili), utilizzando le ampie falcate per correre bene il campo e sfruttando il palleggio per cambiare velocità, rendendo più facile il suo percorso verso il ferro. La sua meccanica di tiro non è esente da piccoli difetti ma è quantomeno compatta e soprattutto ha un punto di rilascio molto alto, una buona rotazione e, in generale, l’85% ai liberi fa ben sperare per quanto riguarda il suo sviluppo come tiratore a livello NBA. Per quanto abbia una mentalità da realizzatore come primissima cosa, ha mostrato dei lampi da passatore su cui deve necessariamente lavorare per non correre il rischio di essere mono-dimensionale al livello superiore, migliorando nella gestione del pick and roll e nelle conclusioni dal palleggio anche da tre.

Punti deboli: selezione di tiro e mentalità difensiva

Tatum ha chiuso la sua stagione a Duke solamente con il 50% di percentuale effettiva, complice soprattutto una certa propensione ad accontentarsi del tiro in sospensione dalla media distanza o dei floater piuttosto che attaccare il ferro, dove ha buona estensione ma fa fatica a finire contro i contatti. L’innamoramento di Tatum per gli isolamenti, poi, lo porta a fermare il flusso dell’attacco per ricevere, sistemare i piedi, scandagliare la situazione e solo poi iniziare il suo movimento: una mancanza di decisione che può risultare fatale a livello NBA, con le difese che hanno il tempo di risistemarsi e costringerlo a tiri contestati molto più difficili. L’esitazione di Tatum si vede anche quando riceve e tira sugli scarichi dei compagni: spesso ci mette qualche frazione di secondo di troppo per salire e tirare, provando a vedere se può isolarsi invece che concludere subito, ma il 34% da tre è comunque un risultato su cui si può lavorare per renderlo una minaccia lontano dalla palla — o quantomeno un giocatore che non compromette le spaziature della squadra. Quello su cui sarà necessario un grosso lavoro è la consistenza difensiva: Tatum ha mezzi fisici e istinti (specialmente a rimbalzo e ruotando dal lato debole) per essere un buon difensore anche a livello NBA, ma è totalmente privo dell’intensità e sembra aspettare che gli avversari finiscano in fretta il loro possesso per poter andare in attacco. Tatum si fa battere troppo facilmente dal palleggio, è spesso in posizione verticale e, avendo una parte bassa del corpo molto leggera, si fa spostare e aggirare anche da giocatori più piccoli di lui, rendendo difficile un suo eventuale cambio sugli esterni. Uno dei dubbi più grandi sotto questo aspetto è sul suo ruolo: il figlio di mamma Brandy a livello NCAA era un 4 utilizzato spesso in quintetti piccoli, ma lo può fare anche in NBA oppure deve scalare da 3? E se lo deve fare, può stare davanti alle ali piccole che imperversano nella lega o creare attacco contro di loro? 

Comparison e fit in NBA: qualcosa in più del semplice realizzatore

Il rischio con Tatum è che sappia fare molte cose, ma non al livello tale da fare davvero la differenza o da rendere sostenibili le sue mancanze a livello difensivo. Se le sue doti realizzative non dovessero “traslarsi” al livello superiore, difficilmente le squadre gli concederebbero tutti gli isolamenti di cui ha bisogno per produrre — e le doti lontano dalla palla non sono così indimenticabili da renderlo insostituibile come giocatore di ruolo attorno ad altre stelle. Inoltre, c’è da considerare che questa NBA si sta allontanando sempre di più dai “realizzatori puri” in favore di giocatori più versatili che giocano due metà campo: Tatum possiede tutti i mezzi per poter essere sviluppato anche come qualcosa in più di uno scorer, ma dovrà lavorare molto per adattare il suo gioco al livello NBA — una transizione, o un bagno di umiltà, che ad altri giocatori del suo tipo non sempre è riuscito (… Carmelo Anthony?). Detto questo, il talento di Jayson Tatum è innegabile e i paragoni con i vari ‘Melo e Paul Pierce non sono così campati per aria: il rischio è che non diventi mai qualcosa in più di quello che è ora (ad esempio seguendo una traiettoria alla Rudy Gay), ma ci sono comunque peggiori carriere da avere. E anche solo come seconda o terza opzione, avere un giocatore in grado di crearsi un tiro contro ogni avversario è tutt’altro che un brutto lusso da potersi permettere.