Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, Belinelli: "Un po’ di rabbia, ma Atlanta mi voleva da anni"

NBA

Mauro Bevacqua

"No, non mi aspettavo di essere ceduto", dice Marco Belinelli, da poche ore un nuovo giocatore degli Atlanta Hawks. Dove trova un allenatore come Mike Budenholzer ("Grandissima persona: mi ha appena scritto un bellissimo messaggio") e una squadra che da 10 anni non manca mai i playoff

Raggiunto telefonicamente poche ore dopo la notizia della trade che lo ha riguardato, Marco Belinelli ci racconta le sue prime impressioni, a partire da una telefonata notturna che lo ha svegliato nel cuore della notte italiana.

“L’ho ricevuta dal mio agente, Sam [Goldfeder, del gruppo Excel Sports Management, ndr], saranno state le 3.30, le 4 del mattino. E la notizia ora la conoscete anche voi. Dopo aver sentito lui ho parlato con i miei due fratelli, Enrico e Umberto, che mi seguono e mi assistono da sempre e ho fatto due chiacchiere veloci anche con il general manager di Atlanta”.

Onestamente Marco: te l’aspettavi? 

“No, devo essere sincero, ma allo stesso tempo noi giocatori NBA — se non ti chiami LeBron James — viviamo sempre un po’ sul chi va là, sapendo che uno scambio in questo periodo dell’anno può sempre succedere. Non conta se hai giocato bene o no — come reputo di aver fatto io a Charlotte lo scorso anno — perché le trade di questo tipo sono principalmente una questione legata ai salari e al business”.

Quali erano stati i tuoi ultimi contatti con gli Hornets?

“Mi sentivo abbastanza regolarmente al telefono con coach Clifford — l’ultimo suo messaggio credo di averlo ricevuto non più tardi di settimana scorsa — e poi ero sempre in contatto con Adam Filippi, bolognese come me [che per Charlotte è Director of Global Scouting, ndr]. Poi è arrivata la telefonata notturna del mio agente…”.

Come hai reagito alla notizia?

“Beh, un po’ di rabbia c’è, non lo nascondo, perché se non ci fosse vorrebbe dire che non mi interessa nulla del mestiere che faccio, che non ci tengo abbastanza. Sei parte di un progetto, di un gruppo, di una realtà e in un attimo vieni a sapere di esserne fuori. Sono abbastanza convinto che Charlotte in realtà non volesse darmi via ma anche alla luce della mia ultima buona stagione ero un asset più appetibile di altri sul mercato. Posso immaginare ad esempio che gli Hornets abbiano proposto Plumlee più Jeremy Lamb agli Hawks e davanti alla loro risposta negativa siano stati forzati a includere il mio nome invece di quello di Lamb. Funziona così, oggi poi li sentirò telefonicamente — a partire proprio da coach Clifford — e magari ne saprò di più”.

Ti resta un po’ l’amaro in bocca di non aver raggiunto i playoff con loro e magari di non aver portato a compimento un processo di crescita?

“In parte un po’ sì, perché sono convinto che con 5/10 vittorie in più gli Hornets siano tranquillamente una squadra da playoff. Eravamo e restano una buona squdra, e comunque li voglio ringraziare: a Charlotte io mi sono trovato bene, come ho sempre detto, e loro sono stati importanti per rilanciarmi dopo l’anno trascorso a Sacramento. Vengo scambiato per un giocatore importante come Dwight Howard, la cosa in parte mi inorgoglisce anche un po’: sotto con Atlanta, nuova avventura, sono davvero carico”.

Trovi un allenatore formatosi alla "scuola Popovich" come Mike Budenholzer…

“Che mi ha appena mandato un messaggio, ce l’ho qui davanti a me: ‘Sono molto felice di poterti aggiungere al nostro roster. Ho sempre desiderato allenarti. Chiamami appena ne hai la possibilità’. Sono belle parole, importanti, pomeriggio lo sentirò e avremo il nostro primo confronto. Atlanta mi aveva cercato già negli ultimi due-tre anni, per cui è bello sentirsi stimati e desiderati. Per quello che conosco coach Budenholzer mi sembra una grandissima persona e sono sicuro che mi troverò bene con lui, perché fa giocare le sue squadre in maniera simile a come giocavano gli Spurs, tanti tagli e molto movimento di palla, tanti aiuti in difesa e grande importanza al collettivo”.   

Dopo aver giocato al fianco di grandi playmaker — da Chris Paul a Derrick Rose fino a Kemba Walker — agli Hawks trovi Dennis Schröder, che conosci bene anche per averlo affrontato agli Europei del 2015…

“Puntano molto su di lui, credo lo vogliano lanciare definitivamente come leader della squadra: è un giocatore velocissimo, che sa passare la palla, uno che corre e difende, in grado davvero di fare molte cose in campo. Nell’arco della mia carriera mi è già capitato di giocare al fianco di playmaker con una grande vena realizzativa — da Rose a Walker, appunto — per cui non vedo problemi: è vero che Dennis tende spesso ad attaccare il canestro con la sua velocità, ma è anche vero che con questa stessa arma finisce per velocizzare il gioco stesso e creare grandi opportunità per i suoi compagni, con le penetrazioni e gli scarichi sul perimetro. Sono carico, ho voglia di far bene”. 

In prospettiva nazionale ed Europei non cambia nulla, vero?

“No, assolutamente. Anzi, ora che il mio futuro è chiaro psicologicamente sono ancora più libero e tranquillo. Per me la nazionale è sempre stata importante e continua a esserlo: non vedo l’ora di scendere in campo con la maglia azzurra”.