Secondo indiscrezioni, una delle ragioni della partenza del numero 3 dei Clippers è il rapporto deteriorato con Doc Rivers. Il motivo? Favoriva sempre suo figlio Austin, tanto da non accettare una trade per Carmelo Anthony pur di non separarsi da lui
La notizia che ha scosso il mercato NBA a due giorni dall’inizio della free agency è già arrivata: Chris Paul ha scelto gli Houston Rockets, lasciandosi alle spalle dopo sei anni quei Los Angeles Clippers con cui non è mai riuscito ad andare oltre la semifinale di conference (persa tra l’altro proprio contro i texani dopo essere andati in vantaggio per 3-1). CP3 ha deciso così di concedersi un anno ai Rockets, lasciando poi la porta aperta a un’eventuale ulteriore scambio nella prossima estate, qualora le cose non dovessero andare per il meglio o in caso di chiamata da parte di LeBron James. La point guard infatti ha prima deciso di non utilizzare la possibilità di interrompere con un anno di anticipo il suo contratto, incassando così 24.3 milioni di dollari dai Clippers nella prossima stagione, per poi essere spedito via trade a Houston in uno scambio che ha costretto i texani a cedere un numero spropositato di giocatori, in quello che molti hanno definito come “un capolavoro della manipolazione del cap”. Alla fine direzione Los Angeles sono partiti Patrick Beverley, Sam Dakker, Lou Williams, Montrezl Harrell e la prima scelta dei Rockets nel draft 2018 (protetta 1-3, eventualità molto remota), a cui poi per ragioni salariali Houston è stata costretta ad aggiungere diversi giocatori con contratti non garantiti raccattati in giro per la lega: DeAndre Liggins via Dallas, Ryan Kelly via Atlanta, Tim Quarterman via Portland, Darrun Hilliard via Detroit e Shawn Long via Philadelphia (tutti ottenuti "for cash consideration", come ironicamente sottolineato dagli account social dei Trail Blazers). Un’operazione articolata che garantirà così a Paul l'opportunità di firmare eventualmente al massimo salariale il prossimo anno con Houston, incassando così 231 milioni di dollari totali in sei anni, a fronte dei “soli” 149 che avrebbe intascato se avesse deciso di diventare free agent, accettando soltanto in un secondo momento il massimo offerto dai Rockets. Dunque, comunque vada il fit con James Harden sia in campo che fuori, il conto in banca di CP3 è di certo uno dei vincitori di questa trade.
Austin Rivers, un figlio di papà nello spogliatoio dei Clippers
Una scelta economica, ma anche una svolta dettata anche dal rapporto ormai incrinato tra la star dei Clippers e Doc Rivers, reo a detta del numero 3 di aver cambiato il suo approccio e il suo atteggiamento con la squadra nel momento in cui è arrivato in spogliatoio suo figlio. Indiscrezioni infatti raccontano che Austin Rivers non è mai riuscito a integrarsi del tutto con la squadra, convinto di poter assumere comportamenti da star soltanto perché suo padre era al tempo stesso allenatore e presidente delle operazioni dei Clippers. Un cortocircuito evidente di cui buona parte del roster si è lamentata, ma di fronte alle richieste della squadra coach Rivers non è mai riuscito a dare le risposte che in molti si aspettavano. Paul sembra non essere stato l’unico ad aver lamentato il fatto che l’allenatore applicasse due pesi e due misure differenti nel giudicare quanto fatto da Austin sia in campo che in palestra durante gli allenamenti. Una situazione complessa, diventata inaccettabile secondo CP3 dopo che lo scorso febbraio i Clippers hanno rifiutato una trade con New York proprio perché coach Rivers non era disposto a separarsi dal figlio. Uno scambio molto vantaggioso per i losangelini, che approfittando dei dissidi tra Phil Jackson e Carmelo Anthony, sarebbero riusciti a ottenere il numero 7 dei Knicks e Sasha Vujacic in cambio di Jamal Crawford, Paul Pierce e proprio Austin Rivers. Una decisione che ha segnato la fine del rapporto tra i due: “Chris disprezzava Doc”, è l'osservazione riportata da molti. Indiscrezioni fermamente smentite però dal diretto interessato, che ha sottolineato come la partenza di Paul sia un’enorme perdita per i Clippers, ma che ha rispedito al mittente ogni tipo di speculazione sul suo rapporto con suo figlio Austin: “Paul è voluto andare via per giocare con Harden, non diciamo stupidaggini – ha commentato stizzito Doc Rivers -. Gli auguro il meglio, non ho problemi con lui. Resto convinto del fatto che avrebbe fatto molto meglio a restare con noi, che avrebbe avuto un ruolo molto più utile e centrale ai Clippers, ma non ero io quello chiamato a decidere. Spettava a lui e le cose sono andate in maniera diversa”.
La lettera di Paul e la risata di Durant
Paul invece ha affidato le sue parole ai social network, twittando il suo saluto: “Alla comunità di Los Angeles e ai tifosi dei Clippers non posso far altro che dire grazie, per i sei anni in cui hanno accolto non solo me, ma anche la mia famiglia”, facendo riferimento poi a come l’associazione benefica “Brotherhood Crusade” di Los Angeles abbia cambiato la sua vita. Parole che si sommano a quelle di Patrick Beverley, di certo il sacrificato di lusso tra quelli spediti in California, che più di tutti gli altri è entrato nel cuore dei tifosi di Houston: ”Voi mi avete dato la possibilità che nessun’altra città mi aveva mai concesso. È dura dirsi addio, ma sarò per sempre orgoglioso di aver fatto parte della Red Nation”. Chi invece non sembra averla presa così bene è Lou Williams, costretto a rifare a stretto giro le valigie nuovamente verso Los Angeles e che ha commentato in maniera polemica: “Grazie per l’affetto di questi tre mesi, ma facciamo finta che tutto questo non sia mai successo”. Reazione stizzita (e comprensibile), visto che oltre a togliergli buona parte della chance di vincere il premio di sesto uomo dell’anno andato poi al suo compagno di squadra Eric Gordon, l'esperienza in Texas non ha portato nulla di particolarmente positivo in dote a Williams, pronto ad abbracciare la sua sesta squadra NBA in 13 anni di carriera. A Houston invece non possono che essere soddisfatti (e alcuni indizi lasciano pensare che la caccia ai free agent non sia finita qui). Di certo con un rinforzo del genere i Rockets si candidano a essere una delle contender più credibili a Ovest, una di quelle che potrà mettere in difficoltà i Golden State Warriors - anche se a leggere le reazioni via Twitter di Kevin Durant non sembrerebbe. Toccherà a Chris Paul e James Harden far ricredere tutti, Warriors inclusi.