La lotta di potere tra Phil Jackson e Carmelo Anthony si è risolta senza vincitori (e con l'addio di entrambi alla Grande Mela) lasciando i Knicks in mano a un 22enne lèttone di grandi speranze. Kristaps Porzingis il volto della nuova New York, una squadra ancora lontana dal poter nutrire grandi ambizioni
Il “Melo-drama” andato in scena per lunghi tratti della scorsa stagione (con i continui bisticci con Phil Jackson) e poi durante l’estate (parte o resta, da separato in casa?) si è risolto soltanto a poche ore dal via del training camp della squadra, con la notizia della cessione del miglior marcatore dei bluarancio agli Oklahoma City Thunder. “Ovviamente questo ci dà l’opportunità di voltar pagina”, ha commentato il neo GM di New York Scott Perry, nuovo padrone dei destini di casa Knicks dopo l’addio anche di Phil Jackson dal ruolo di presidente (nessun vincitore quindi ma solo sconfitti dallo scontro Anthony/Jackson). La nuova pagina – non bianca, ma quasi – riparte da un nome, quello di Kristaps Porzingins, ovviamente volto simbolo e leader (per necessità) di un roster che manca clamorosamente di appeal, soprattutto per le esigenze imposte da un mercato come quello di New York, che si nutre naturalmente di superstar. Attorno a lui la volontà di Perry e coach Hornacek (chiamato a superare definitivamente qualche screzio estivo con il lèttone) è quella di far crescere un nucleo giovane e futuribile, che possa riportare i bluarancio a livelli consoni (mancano dai playoff dal 2013). Sembra quasi esserci un limite di età non scritto – non oltre i 25 anni – che comprende il più costoso investimento estivo della franchigia (Tim Hardaway Jr., strappato agli Hawks), gli ultimi due arrivi da Oklahoma City ottenuti in cambio di Carmelo Anthony (Enes Kanter e Doug McDermott), i due esordienti dello scorso campionato chiamati a confermarsi e crescere (Willy Hernangomez e Ron Baker) e ovviamente il progetto più intrigante di tutti, quel Frank Ntilikina per cui si è utilizzata la scelta n°8 all’ultimo Draft. Anche a scapito di qualche vittoria, l’impressione è che quest’anno Hornacek voglia privilegiare la linea verde rispetto all’usato sicuro dei suoi veterani (i vari Noah, Lee, Thomas), anche per mettere in campo una squadra più disposta a correre e giocare in campo aperto. È una delle grandi novità della stagione annunciate prima del via, a voler segnare anche una rottura definitiva coi dettami dogmatici del triangolo offensivo del periodo jacksoniano. Ma la strada per ridare identità prima e poi dignità a questi Knicks appare ancora lunga.
RECORD 2016-17: 31-51
(3^ nella Southeast Division, 12^ nella Eastern Conference, 24^ nella NBA)
PLAYOFF: no
OVER/UNDER 2017-18: 30.5
Roster
RON BAKER | Frank Ntilikina, Ramon Sessions
TIM HARDAWAY Jr. | Lance Thomas
COURTNEY LEE | Doug McDermott, Mindaugas Kuzminskas
KRISTAPS PORZINGIS | Enes Kanter, Michael Beasley
WILLY HERNANGOMEZ | Joakim Noah, Kyle O’Quinn
Allenatore: Jeff Hornacek
GM: Scott Perry
Tre domande per raccontare la prossima stagione
Kristaps Porzingis è pronto per essere il leader dei Knicks?
Il talento lèttone si è ripresentato a New York dicendo tutte le cose giuste, dalle parole di ammirazione e gratitudine per Carmelo Anthony (“Il nostro leader, il mio mentore”) a quelle sul suo nuovo ruolo in squadra (“La leadership di questo gruppo sarà qualcosa che mi arriverà naturalmente, non avrò bisogno di forzarla. E sarò leader con l’esempio, con il duro lavoro quotidiano, prima ancora che con le parole”). Poi però non nasconde le ambizioni personali, dicendosi convinto di poter essere un All-Star già a febbraio, segno di quella fiducia in sé al limite dell’arroganza forse alla base anche degli screzi con la franchigia sul finire della scorsa stagione, quando Porzingis non ha esitato a manifestare pubblicamente la sua insoddisfazione per il clima di caos perennemente presente attorno alla squadra. Due anni e mezzo fa era un giocatore di rotazione in Spagna, senza nessuna esperienza NBA, oggi gli viene chiesto di guidare una squadra con poche reali ambizioni in uno dei mercati mediatici più difficili di tutti gli Stati Uniti. Non ci sono motivi per pensare che la progressione tecnica di Porzingis non continui anche nel suo terzo anno nella lega (forte pure dell’esperienza da leader con la sua nazionale ai recenti Europei) ma una delle sfide del 22enne lèttone sarà proprio quella di concentrarsi soltanto sul campo ignorando tutto l’assordante rumore di fondo circostante. Che a New York non manca mai.
Abbandonato il Triangolo, che tipo di identità offensiva (ma anche difensiva) avranno i nuovi Knicks?
Silurato Phil Jackson, senza più l’ingombrante presenza dell’ex coach Zen alle spalle, Jeff Hornacek è libero di dare ai giovani Knicks un’impronta diversa e più personale: “Aprire il campo, correre di più, giocare a un ritmo più alto per mettere pressione sulle difese avversarie”. Facile a dirsi, meno a farsi, perché la transizione va allenata anche a livello mentale e l’anno scorso New York la praticava poco (nella parte bassa della classifica NBA) e anche male (solo 1.02 punti per possesso, penultimo dato assoluto). Altro dettaglio (che dettaglio non è): per correre occorre prima fermare l’attacco avversario, per non ripartire sempre da canestro subìto. Solo cinque squadre facevano peggio dei Knicks difensivamente l’anno scorso, e nessuno dei nuovi arrivi (Hardaway Jr., Kanter o McDermott, ad esempio) si è mai distinto in questa particolare fase del gioco.
Quanto influirà l’ambiente newyorchese sui destini della squadra?
Può sembrare una domanda assurda per 29 franchigie su 30 ma non per i Knicks, e la stagione scorsa lo ha dimostrato abbondantemente. Dalla faida pubblica Jackson-Anthony al caso Oakley-Dolan, dal giallo Rose (scomparso nel nulla prima di un allenamento) a quello Porzingis (scomparso nel nulla a fine stagione, ignorando la classica exit interview), le distrazioni attorno alla squadra sono state una costante molto più delle vittorie. Ne farebbe volentieri a meno Hornacek per provare a costruire qualcosa sul medio-lungo periodo, ma sarà difficile predicare pazienza dopo un’altra stagione che si preannuncia attorno alle 30 vittorie, senza playoff e senza pure lo star power dei grandi nomi da dare in pasto al vorace pubblico dell’arena più famosa del mondo (che spende tanto e qualcosa in cambio vuole vedere).
Obiettivi
I playoff appaiono assolutamente fuori portata, anche nella pur abbordabile Eastern Conference. Lo sviluppo del gruppo – e magari qualche vittoria in più rispetto alle 31 dello scorso aprile, a testimoniarlo – sarebbe già un risultato positivo, su cui poi continuare a costruire.