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Trump-NBA, continua lo scontro: niente più squadre negli hotel del presidente

NBA

Negli ultimi anni l’hotel newyorchese di proprietà del presidente degli Stati Uniti era tra i più ambiti e graditi dai giocatori NBA. Adesso le cose sembrano essere cambiate

Sette minuti di auto per arrivare al Madison Square Garden e quindici per raggiungere il Barclays Center (traffico permettendo): la posizione strategica è da sempre stato uno dei tanti motivi per cui i giocatori e le squadre NBA hanno spesso e volentieri deciso di risiedere nella Trump SoHo, l’hotel di cui è proprietario l’attuale presidente degli Stati Uniti d’America, situata nel cuore di Lower Manhattan, con tanto di affaccio su Newport e sull’aeroporto non troppo distante da lì. Ben 12 squadre NBA hanno frequentato con costanza le strutture di Donald Trump negli ultimi anni (i Bucks alloggiando anche presso l’hotel di Chicago nelle vicine trasferte nell’Illinois), rendendone le stanze e i corridoi alle volte parte della narrazione delle tante storie che nascono ai margini della NBA. Russell Westbrook tempo fa dichiarò di aver preso spunto per il suo outfit anche da quanto visto nelle stanze e nella hall dell’hotel newyorchese (“Tutti quegli accostamenti con l’oro mi hanno sempre affascinato”), così come coach Tyronn Lue raccontò che nel 2016 proprio nella Trump SoHo si ritrovò a discutere con Kevin Love in quello che diventò poi uno dei momenti cruciali della stagione che portò i Cleveland Cavaliers al titolo. Steve Novak, ospite lo scorso anno, twittò lo scontrino di un caffè pagato più di 20 dollari: “Non sapevo che fosse l’ultimo rimasto a disposizione sulla faccia della Terra”, era stato il commento ironico dell’ex giocatore . Ultima, ma non di certo per importanza, la classifica stilata da Kevin Arnovitz nel 2016 riguardo gli hotel che raccoglievano il maggior gradimento da parte di 40 giocatori: la struttura newyorchese di Trump era tra le preferite anche in quel caso. Adesso però, dopo il ripetuto scontro frontale tra il presidente degli Stati Uniti e la Lega, le cose sono profondamente cambiate.

Il "no comment" dei Pelicans, unici intenzionati a frequentare gli hotel

Il Washington Post infatti ha intervistato tutti le 123 squadre professionistiche nei quattro maggiori sport USA, chiedendogli se in futuro sceglieranno di risiedere nelle strutture gestite da Trump: tra le  106 che hanno risposto, nessuna ha detto di voler alloggiare lì. “Sembra che il presidente stia provando in tutti i modi a dividerci, cercando di fare tutti gli sforzi possibili per andare in questa direzione – ha commentato l’allenatore dei Golden State Warriors Steve Kerr -. Continua senza sosta a offendere le persone; non è più un piacere alloggiare nei suoi hotel, è molto semplice”.  I New Orleans Pelicans sono l’unica squadra NBA ad aver preferito rispondere con un “no comment” e l’unica che sembra intenzionata a proseguire a frequentare quelle strutture. Il punto di vista di Trump è sempre stato molto chiaro a riguardo: per il presidente degli Stati Uniti adesso la priorità è pensare agli interessi della nazione e non ai propri; se ciò che dice e che fa è pensato per il bene degli USA, non ha poi importanza porsi il problema eventuale di essere costretto a perdere clienti. La maggior parte dei quali a livello sportivo erano proprio le squadre NBA, che porteranno così non solo una perdita economica ingente nelle casse dei suoi hotel (almeno 20.000 dollari totali incassati per ogni notte), ma soprattutto invertiranno il tipo di pubblicità che la loro semplice presenza portava alle sue strutture. Un malessere comune, diventato maggioritario tra i giocatori della Lega e raccontato da Jabari Parker, uno dei pochi a voler parlare della questione: “Sono orgoglioso di aver smesso di frequentare gli hotel di Donald Trump. Non mi va di supportare in alcun modo una persona che continua a professare l’odio nei confronti delle persone. Lui continua a cavalcare l’odio, a denigrare tutto ciò che io sono e in cui credo”. La mamma del giocatore dei Bucks infatti è originaria del Tonga e nessuno die tanti confort offerti avrebbe potuto fargli cambiare idea.