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Belinelli: “Questi Hawks una bella sorpresa: l’obiettivo è crescere, non i playoff”

NBA

Mauro Bevacqua

Impegnata sul campo dei Brooklyn Nets (e su Sky Sport 2, diretta ore 21.30) per il primo appuntamento stagionale degli NBA Sundays, la guardia azzurra si racconta a skysport.it: "Coach Budenholzer ha tanta fiducia in me: devo essere sempre aggressivo e più costante"

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Undicesima stagione NBA, ottava squadra (gli Atlanta Hawks), una nuova avventura iniziata solo pochi giorni fa, con il debutto a Dallas seguito dalla trasferta a Charlotte, suo ultimo domicilio conosciuto (10.5 punti a sera con il 42.9% da tre punti in 24 minuti di media in maglia Hornets). Marco Belinelli sarà tra i protagonisti della prima partita domenicale offerta da Sky Sport 2 in prima serata, alle ore 21.30, quando i suoi Hawks scenderanno in campo sul parquet dei Brooklyn Nets. Lo abbiamo sentito proprio prima di questo appuntamento, per farci raccontare la stagione appena iniziata insieme alle emozioni e alle ambizioni di un nuovo capitolo della sua carriera.

Belinelli, per lei 20 punti e vittoria contro Dallas, poi 1/10 al tiro e sconfitta a Charlotte. Ci racconta le prime due partite?
“Alla fine, per come le vedo io, non sono state due gare molto diverse. L’unica vera differenza è che nella prima la palla è entrata, mentre nella seconda continuava a uscire. Io però ho cercato di giocare sempre aggressivo in entrambi i casi. Coach Budenholzer crede in me, mi dà tanta fiducia: la sento e voglio ripagarla. Ovviamente è andata meglio a Dallas che a Charlotte, dove abbiamo perso veramente in maniera stupida, sprecando un vantaggio di 20 punti. Da un certo punto di vista, non è tanto il magro bottino personale a darmi fastidio – un paio di tiri sono usciti quando sembravano già dentro – quanto invece l’ampia differenza tra una prima gara da 20 e una seconda da 5, perché un aspetto dove voglio migliorare è proprio questo: essere più costante nelle mie prestazioni, non essere soggetto ad alti e bassi ma portare sempre con continuità un certo tipo di rendimento alla mia squadra, assicurare sempre i miei 10-15 punti a sera”.

Emozioni del debutto in maglia Hawks?
“Devo dire la verità, non ne ho provate molte: Atlanta è la mia ottava squadra NBA, ho già vissuto tante volte questa esperienza, ero molto tranquillo fin dalla palla a due”.

Emozioni del ritorno a Charlotte invece?
“Neppure. Voglio essere sincero, non è stato niente di speciale. Ho salutato ex compagni e coaching staff, loro mi hanno salutato, tutti carini e gentili ma è finita lì, non ci sono state emozioni particolari. Ovviamente io qualcosina dentro l’avevo, è comunque una squadra che ti ha scambiato sul mercato, ma dopo dieci anni so come funziona la NBA, so quali sono le ragioni dietro agli scambi e io in quel momento ero l’unico asset appetibile che loro potevano spostare. Quando si dice che la lega è un business è anche per casi come questi: basta fare uno più uno e si capiscono parecchie decisioni, economiche magari prima ancora che tecniche”. 

Siete la quarta squadra più giovane per anni di esperienza nella lega: si spiega anche così il vantaggio sprecato (+20 sul 40-20) e quel parziale di 24-0 subìto contro gli Hornets?
“Sicuramente. Il roster è giovanissimo – se non sbaglio sono addirittura il più vecchio del gruppo coi miei 31 anni – per cui è normale che certi passaggi a vuoto ci siano, anche se ovviamente dobbiamo cercare il più possibile di evitarli. Ma le prime due gare per me sono state una sorpresa positiva, alla fine. Se provo a dimenticare la maniera stupidissima in cui abbiamo perso contro gli Hornets, va riconosciuto che siamo stati bravissimi a costruirci il vantaggio nei primi due quarti, giocando davvero bene. Non siamo stati bravi a mantenerlo, certo, e dobbiamo imparare a gestire i vantaggi, che non è assolutamente una cosa facile da fare perché, quando ti ritrovi sopra di 18-20 punti, viene facile rilassarsi un po’. Dobbiamo migliorare in questo aspetto del gioco ma ho fiducia che questa squadra possa riuscirci”.

A Brooklyn prima della gara contro Orlando Justine Skye, dopo aver intonato l’inno, si è inginocchiata, seguendo l’esempio di Colin Kaepernick e di molti altri atleti afroamericani. Ci può raccontare come è stato affrontato in squadra l’argomento?
“Noi abbiamo scelto di disporci in fila e tenerci tutti sottobraccio, a voler indicare la nostra unità – una posizione condivisa anche da molte altre squadre. È una questione che ovviamente riguarda più da vicino i miei compagni che sono cittadini americani, ma ovviamente un’idea me la sono fatta anch’io, e devo dire che sottoscrivo molte delle cose che ha detto apertamente Gregg Popovich. Poi ovviamente lui ha una personalità, un’importanza e un rispetto che certe cose può dirle più facilmente di altri, anche perché ha dimostrato più di una volta una grande conoscenza dell’argomento e dei temi politici. Se parla Pop, la gente ascolta; se lo faccio io – soprattutto quando questo vuol dire esporsi sui social, dove poi le tue dichiarazioni possono essere fraintese o interpretate – è diverso e forse anche per questo motivo personalmente preferisco restare un po’ ai margini di questo dibattito”.

Parlando di San Antonio: con coach Budenholzer ha in comune un passato agli Spurs, anche se in Texas non vi eravate mai incrociati. Cosa pensa di lui ora che lo ha conosciuto di persona?
“Che è un allenatore che ha le sue idee, uno che in panchina sa cosa fare. Mi spiego meglio: per il fatto di essere stato per anni l’assistente di una leggenda come Popovich non vuol dire che nel momento in cui ha in mano la sua squadra da gestire cerca unicamente di replicare quanto visto fino a quel momento. Sicuramente ci si ispira, sicuramente ha imparato molto, ma allo stesso tempo porta avanti le sue idee e i suoi principi di pallacanestro. Il mio rapporto con lui è ottimo e sta migliorando giorno dopo giorno: si vede che ha molta fiducia in me e questa è una cosa che mi riempie davvero di gioia. Parliamo molto, lui mi vuole sempre aggressivo ed è convinto che da sesto uomo io possa fare benissimo, anche da guida per i miei compagni e per la nostra second unit”.

Cosa le chiede in attacco?
“Di muovere sempre la palla e fare movimento, ma anche di creare pallacanestro per i miei compagni giocando appena possibile quel pick and roll centrale in cui mi vuole sfruttare al massimo, palla in mano. Fa parte di quello che vuole essere il nostro gioco: appena entriamo in possesso di palla, coach Budenholzer ci vuole subito aggressivi, vuole che si corra in contropiede o che si cerchi un pick and roll all’inizio dell’azione”.

E quali sono invece i principi difensivi da lui predicati [quarta difesa NBA lo scorso anno, ndr]?
“Come regola generale cerchiamo di non concedere mai il centro della difesa ai nostri avversari. Questo vuol dire cercare di mandare sempre sul fondo o verso gli angoli i giocatori esterni, guardie o ali che siano, senza mai permetter loro di prendere il centro dell’area. La nostra difesa deve restare chiusa, con poca distanza tra ognuno di noi, tenere le maglie chiuse. L’impegno c’è da parte di tutti, anche l’aspetto difensivo di questo gruppo per me è stato una bella sorpresa”.

Da un mese si allena e gioca coi suoi nuovi compagni: punti forti e punti deboli di questi Hawks?
“I punti forti son presto detti: siamo allenati bene, abbiamo voglia di far bene e di migliorare, tutti – anche i più giovani – e siamo disposti a giocare assieme e sacrificarci uno per l’altro. È un roster con una forte componente atletica, che poi si riflette infatti nel nostro gioco: correre, giocare in velocità, attaccare immediatamente appena catturato il rimbalzo difensivo. Il punto debole può essere l’inesperienza, perché sono in tanti nel roster a non aver mai assaggiato per esempio l’atmosfera dei playoff, anche per via della giovane età”.

Qual è l’obiettivo?
“Vado controcorrente: non dico che debba essere l’approdo ai playoff, perché per ottenerlo questa è una squadra che deve lottare e lottare tanto. L’obiettivo allora è quello di crescere, giorno dopo giorno. Se succede, poi ne riparliamo”.