Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, da Memphis (Tigers) a Memphis (Grizzlies): la rinascita di Tyreke Evans

NBA

Mauro Bevacqua

Per quel che vale dopo solo tre settimane di campionato, il suo nome è quello in pole position per il premio di sesto uomo dell'anno. Merito di un tiro da fuori miglioratissimo e di una salute ritrovata. E ora Evans vuole di più

Prima del via della stagione a Memphis le chiacchiere attorno ai Grizzlies riguardavano temi abbastanza conosciuti: il primo anno senza Zach Randolph & Tony Allen, anime dell’idenità Grit&Grind della squadra; la leadership salda nelle mani di Mike Conley e Marc Gasol; l’incognita (e le aspettative) riguardante il ritorno di Chandler Parsons. Sono bastate una decina di gare in archivio, neppure un mese di campionato, per aggiungere prepotentemente un altro tema di discussione nei bar sport della città del Tennessee: la rinascita di Tyreke Evans. Uno che a Memphis conoscono bene, forse meglio di tutti, per averlo visto in maglia Tigers nell’unica stagione collegiale della sua carriera, tanto positiva da fargli meritare la chiamata n°4 al Draft NBA 2009, per mano di Sacramento. E in maglia Kings, in quella sua annata d’esordio nella lega, Evans stupisce tutti: non solo vince il titolo di Rookie dell’Anno (battendo niente meno che Steph Curry) ma manda anche a referto medie stagionali viste soltanto altre due volte nella storia della lega. Per lui infatti 20.1 punti, 5.8 rimbalzi e 5.3 assist a sera, l’unico insieme a Oscar Robertson e LeBron James a viaggiare sopra i 20+5+5 da debuttante. Tutto pronto per una carriera leggendaria? Tutt’altro. Le quattro stagioni successive lo hanno visto progressivamente calare la propria produzione offensiva, fino ai 14.5 punti (con il 22% da tre punti) esibito nella sua prima stagione in maglia New Orleans, dopo l’addio a Sacramento. O meglio, un arrivederci, visto che in nord California Evans ci è tornato a febbraio dello scorso anno, per concludere un triennio disgraziato, che lo ha visto in campo solo in 65 delle 246 partite possibili. Infortuni, la parola che ogni atleta tema di più, e che nel caso di Tyreke Evans hanno condizionato non poco la sua carriera, al punto da mandarlo tre volte nell’arco di nove mesi sotto i ferri, per via di un ginocchio destro malconcio. Di nuovo sano ma con una reputazione ormai sospetta, in estate Evans non è riuscito a spuntare altro che un contratto annuale, cortesia dei Memphis Grizzlies, disposti a correre un rischio tutto sommato ragionato nell’investire solo 3.3 milioni di dollari sull’ex prodigio locale ai tempi del college. I ritorni dopo il primo mese scarso di stagione sono al di là di ogni aspettativa. 

L'analisi del suo gioco

I dati che saltano all’occhio per primi sono i più semplici da individuare. Il primo: Evans sta viaggiando a 17.5 punti a partita, il totale più alto per qualsiasi giocatore in uscita dalla panchina in questo inizio di stagione NBA (Jordan Clarkson dei Lakers è al secondo posto, mandando a referto 15.3 punti a partita). Il secondo: le percentuali al tiro, dove l’esterno dei Grizzlies sfoggia un incredibile 43.1% da tre punti (su quasi 5 tiri a sera) e quasi il 50% dal campo. I miglioramenti dall’arco sono l’aspetto del gioco più sorprendente del “nuovo” Tyreke Evans: in carriera viaggia infatti appena sopra il 30% ma già lo scorso anno, nella frazione di stagione trascorsa a Sacramento, aveva dimostrato di aver ampiamente migliorato una delle grandi lacune della sua carriera, il tiro da fuori. Perché grazie a chili e centimetri (100 per 198) Evans non ha mai avuto problemi a superare di prepotenza il suo avversario diretto, solitamente più basso e leggero di lui. Un paragone azzardato dalla stampa di Memphis, ad esempio, ha descritto lo stile di gioco del prodotto dei Tigers come un incrocio tra quelli di Zach Randolph e Lance Stephenson, a ulteriore riprova che non stia proprio nel tiro da fuori il punto di forza del giocatore. In compenso però Evans porta in campo una fisicità e un controllo di palla quasi unici per quello specimen fisico, doti che gli permettono spesso e volentieri di andare al ferro e concludere assorbendo anche i contatti più duri (quasi la metà dei suoi tiri è stato preso all’interno dello smile, il semicerchio sotto canestro). Detto del rendimento molto sopra media nel tiro da fuori (vicino al 46% nelle triple frontali, zona dalla quale si è preso un tiro ogni tre tentati), l’altra caratteristica del gioco offensivo di Evans è data dalla capacità di crearsi il proprio tiro, sfruttando come detto ball handling e doti fisiche. Due terzi dei suoi canestri infatti non sono assistiti, a dimostrazione che il n°12 dei Grizzlies è più che capace di mettersi in proprio e metter punti a tabellone, proponendosi così come valida alternativa anche nei finali ai leader di squadra Gasol e Conley.  

Infortuni e minutaggio

Per il nativo di Chester, Pennsylvania, le prime tre settimane di campionato si sono rivelate il miglior scenario possibile tra quelli anche solo immaginabili. Complici anche l’inizio ancora stentato di Chandler Parsons (non oltre i 18 minuti e gli 8 punti a sera) e gli infortuni a un paio di compagni, Ben MacLemore e Wayne Seldon Jr., nelle idee di coach Fizdale entrambi giocatori di rotazione tra gli esterni a disposizione. Una congiuntura favorevole che per Evans ha significato più minuti a disposizione, anche se l’ex Kings e Pelicans ha iniziato la stagione con un limito precauzionale imposto dallo staff medico al suo stesso minutaggio. Mai utilizzato più di 25 minuti a sera fino alla gara del 30 ottobre contro Charlotte, da lì in poi coach Fizdale ha ricevuto semaforo verde per tenere in campo maggiormente il suo giocatore: a novembre le sue medie parlano di 32.5 minuti a partita, riflessi in cifre ancora migliori offensivamente (24.8 a sera, con il 45.5% da tre punti e quasi il 58% dal campo), cui aggiunge anche quasi 5 rimbalzi a uscita. Il valore del suo impatto in un inizio di stagione che vede i Grizzlies alle spalle soltanto di Warriors e Rockets nella Western Conference è infine confermato anche da uno degli indici più utilizzati per misurare l’efficienza di un giocatore, il PER (Player Efficiency Rating). Con la media della lega a 15, il dato di Evans è al momento di 23.67, che lo pone al 21° posto in tutta la lega e al primo nel confronto con quello dei suoi compagni. Per quel che vale – dopo neppure un mese di stagione regolare – il nome oggi più caldo per il premio di Sesto Uomo dell’Anno è proprio il suo, ma in ballo per il n°12 di Memphis c’è molto più che la vittoria di un premio individuale (seppur prestigioso): confermandosi a questi livelli per tutta l’annata, Evans ha una chance di resuscitare una carriera che molti davano quasi per persa. Per riproporsi sul mercato in estate con un appeal decisamente diverso.