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Kemba Walker, la stella meno celebrata dell’intera NBA

NBA

Stefano Salerno

La point guard degli Charlotte Hornets sta vivendo la sua miglior stagione in carriera, continuando un percorso di crescita che lo ha già portato a essere un All-Star; uno di quelli che non finisce (quasi) mai sotto i riflettori, ma che fa spesso le fortune della sua squadra

“Non si dimentica di certo una stagione del genere”. Stephen Silas, assistente allenatore degli Hornets oggi come sei anni fa, sa bene quale sia la sensazione che si prova a battere ogni record negativo, a inanellare una serie di insuccessi senza precedenti. Nella stagione del lockout 2011-12 le partite disputate furono soltanto 66, ma Charlotte riuscì nella non invidiabile impresa di chiudere la regular season con 7 successi e 59 sconfitte. Il 10.6% di vittorie, il peggior record della storia NBA, costellata da filotti memorabili: una striscia di 16 ko e una da 23 insuccessi in fila nella stessa annata; sconfitte da 33 punti a cui a ruota hanno fatto seguito partite da -44 alla sirena finale. “Era molto in difficoltà al tempo, risucchiato da una serie interminabile di sconfitte durante la quale non sembrava esserci speranza; un vortice senza fine”. Kemba Walker, il leader degli Hornets negli ultimi anni, non poteva vivere una stagione d’esordio più traumatica; fortunato nell’essere da subito lanciato come titolare a causa dell’infortunio di D.J. Augustin, ma ritrovatosi nel bel mezzo della stagione più perdente che si potesse immaginare. “Al college era un vero e proprio Dio per noi. Ci ha portato a vincere un titolo nazionale e quando ha raggiunto l’apice ha continuato a migliorare”; parole e musica di Jeremy Lamb, compagno di squadra di Walker nell’anno del trionfo con UConn e adesso nello stesso spogliatoio NBA del numero 15. La point guard arrivò infatti in North Carolina due mesi dopo il titolo NCAA, grazie la nona scelta assoluta al Draft 2011. Dodici mesi dopo, con un record del genere, era più che lecito attendersi come “ricompensa” la prima scelta assoluta, quella che aveva assunto con mesi d’anticipo le sembianze di Anthony Davis. La lottery però premiò gli allora New Orleans Hornets, che oltre al soprannome soffiarono sotto il naso di Charlotte il giocatore che avrebbe potuto cambiare il destino di una franchigia, di uno stato e forse dell’intera NBA.

Walker-Clifford, cinque anni di crescita fianco a fianco

A caricarsi sulle sue spalle il peso di un’intera organizzazione allora ci ha pensato Walker, diventato faro, leader ed esempio come magistralmente raccontato nella bellissima intervista di CBS Sport, in cui hanno raccontato alcuni dettagli sia lui che lo staff e i compagni degli Hornets. “Tutti sanno dov’è la sedia di Walker durante le sessioni video – racconta Marvin Williams -; nessuno osa occuparla. È sempre in prima fila, di fronte la TV, ogni giorno”. Sul parquet come durante le sedute tattiche, mai abbassare la guardia. “I leader devono sempre essere in prima fila – sottolinea il numero 15 -; voglio sempre dimostrare agli altri il mio coinvolgimento. Se io sono sempre sul pezzo, gli altri non possono permettersi il lusso di rilassarsi”. Un riferimento, diretta emanazione in campo della volontà e delle indicazioni di coach Clifford, alla quinta stagione consecutiva al suo fianco. “Non ha più bisogno di parlare più di tanto con me; so bene quali sono le cose che lo fanno arrabbiare durante un allenamento prima ancora che inizi a parlare. Anche quando sono io il destinatario delle sue lamentele”. Una connection che si è rivelata la forza della squadra, arrivati poi sempre al di sopra del 40% di successi; un’utopia dopo il disastroso 2012. “ Walker è un allenatore aggiunto sul parquet”, sottolineano i compagni, con la libertà di uscire fuori dal percorso tracciato a proprio piacimento. “Una libertà meritata, è uno studente del Gioco”, racconta coach Clifford, che in lui ha sempre visto ben di più di una point guard dalle dimensioni fisiche non eccezionali: “Sin dal primo giorno mi ha detto che sarei potuto diventare un All-Star. Da quel momento ha fatto tutto per rendermi tale”. Un lungo percorso di crescita che ogni anno sposta un po’ più in alto l’asticella delle ambizioni. E non sembra arrivare, per la gioia degli Hornets, a una conclusione.

Kemba è come il vino: più invecchia, più migliora

Lo scorso anno è arrivata la prima convocazione all’All-Star Game, al termine di una corsa che non ha portato in dote neanche i playoff. Quest’anno le cose, se possibile, stanno andando addirittura meglio: Kemba non ha mai tirato così bene in carriera (45.7% dal campo); un bel passo in avanti rispetto a quella stagione d’esordio chiusa con il 36.6% al tiro: “La sua capacità di concludere al ferro è migliorata tantissimo, ma il jumper è la vera chiave – racconta Silas -; è quello che lo rende un giocatore immarcabile in molte situazioni. Prima era un atleta che conosceva soltanto un modo per attaccare: andare a cento all’ora. Adesso invece può variare la sua andatura, tirare da tre come andare fino in fondo. Un attaccante completo”. Efficace, scaltro e in grado di andare a prendersi anche tanti tiri liberi; ennesima aggiunta al suo bagaglio tecnico: 6.8 quelli tentati a cronometro fermo in questa regular season, convertiti con l’88.2%, entrambi massimo in carriera. Dodicesimo per punti segnati in tutta la NBA con i suoi 23.5 a partita, è diventato l’ago della bilancia negli equilibri di una squadra che è il baricentro della Lega. Una franchigia che traccia la mediana: 103.5 di Off Rating, 103.6 di Def Rating. Il risultato? Un Net Rating pari allo zero, che vale il 15° posto e quella mediocrità che a Est dovrebbe comunque garantire a Charlotte l’accesso ai playoff. Walker però, sembra fare una stagione a parte rispetto ai suoi compagni. Tra i giocatori presenti nel roster di Charlotte rimasti in campo almeno 200 minuti, non c’è storia: +9.3 di Net Rating con lui sul parquet, -23.7 quando sta fuori. Con lui meglio gli Hornets fanno meglio degli Houston Rockets (2° posto NBA), senza precipitano ben al di sotto dei Sacramento Kings, stra-ultimi nella Lega. Con o senza Howard, l’altra star presente nel roster, non fa differenza per lui, che resta sempre positivo ogni volta che calca il parquet. Ma per il centro arrivato dagli Hawks cambia totalmente lo scenario: dal +9.5 di Net Rating raccolto con Walker al suo fianco, Howard sprofonda sul -46.2 quando la point guard non occupa nessuno spot del quintetto. Al momento il suo contributo vale 6 vittorie e 9 sconfitte, a due successi di distanza dalla zona playoff, ma ben più distanti dal fondo. “Sono l’unico dei superstiti dell’avventura della stagione 2011-12. So da dove siamo arrivati e non ho alcuna intenzione di ritornare in una situazione del genere. Non voglio mai più essere l’ultima ruota del carro, mai più”.