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NBA, Michael Beasley, il salvatore dei Knicks: “Sono pronto dal 9 gennaio 1989”

NBA

Nella peggior serata in carriera di Kristaps Porzingis (un punto, 0/11 al tiro), a trascinare i newyorchesi ci ha pensato Michael Beasley, alla terza partita in fila oltre quota 23 e sempre più un fattore per i Knicks: “Ho sempre lavorato duro, questi sono i frutti”. Se lo dice lui…

Anno 2017, 21 dicembre, Madison Square Garden. La 28enne seconda scelta assoluta del Draft del 2008 domina il secondo tempo e vince la gara contro la migliore squadra della Eastern Conference. Letta così, sembrerebbe quasi uno scenario plausibile. A scrivere però Michael Beasley, tutto inizia a suonare paradossale: ma come, Beasley nel 2017? Ancora? Già, l’ex giocatore di Heat, T’wolves, Suns, di nuovo Heat, Shangai Sharks, Shangdon Stars, Houston Rockets e Milwaukee Bucks, sembra aver trovato la sua dimensione ideale in uscita dalla panchina nei primi New York Knicks post Carmelo Anthony. L’importante dopo anni di amore costantemente deluso dai fatti è non illudersi, ma godersi il momento è più che lecito: “Sono semplicemente sceso in campo per fare quello che dovevo. Nulla di più, nulla di meno”. Ecco, è già partito per la tangente, ma dopo una prestazione da 32 punti con 13/20 dal campo e 12 rimbalzi in 25 minuti possiamo perdonarglielo. Ventotto punti nel secondo tempo, 18 nel solo quarto periodo in stato di piena onnipotenza cestistica. Nulla che scuota più di tanto il diretto interessato: “Trascorro il tempo in palestra ad affilare la mia lama, senza sapere bene quando verrò chiamato in causa per usarla. Sono un lavoratore, mi faccio il mazzo durante gli allenamenti. E adesso state iniziando a vedere anche voi i risultati”. Anche il pubblico ha dimostrato di apprezzare, scandendo a squarciagola durante un suo viaggio in lunetta il coro: “MVP, MVP, MVP”. “È stato piacevole ascoltare quel canto, ma credo che fosse rivolto a Porzingis, non a me”. Il lettone però, rientrato dopo due gare d’assenza, non stava di certo vivendo una gran partita: per lui un solo punto dalla lunetta, 0/11 al tiro e l’ultimo quarto d’ora di gioco passato a guardare gli altri restando seduto in panchina. “È colpa mia se non siamo riusciti a chiudere la partita, sono stati i miei errori a tenere Boston in corsa. Per fortuna Beasley mi ha coperto le spalle”. Già, suona strano ma è così.

Obiettivo playoff: “Penso alle partite di fine aprile e maggio”

Boston è arrivata con il fiato corto alla partita contro New York, al termine di una serie interminabile di gare in pochissimi giorni. I Celtics infatti hanno disputato 35 partite in 66 giorni; una full immersion dovuta alla trasferta londinese che li ha impegnati più di tutte le altre franchigie NBA. Nel piano partita di Boston poi, Beasley non era certo il pericolo numero uno. E neanche il numero due, ascoltando quanto raccontato da Al Horford a fine gara: “Non eravamo di certo spaventati così tanto dal suo tiro, l’attenzione della nostra difesa non era focalizzata su di lui”. Un errore, viste le cifre messe a referto dal numero 8 dei Knicks. Beasley infatti è alla terza gara consecutiva con almeno 23 punti segnati ed è il primo a mettere a referto 32 punti e 12 rimbalzi in questa stagione in uscita dalla panchina in tutta la NBA. “Sono qui soltanto per essere utile alla squadra, per dare una mano. Lo dico con tutta umiltà, ma a un certo punto avevo la certezza che ogni tiro che prendevo sarebbe andato dentro. Ogni conclusione sbagliata mi fa andare fuori di testa”. La modestia in fondo non è mai stata la sua cifra stilistica, come dimostrato anche quando i cronisti gli hanno chiesto quale sia stato il momento in cui ha capito di essere caldo: “È dal 9 gennaio 1989”, il giorno della sua nascita. In questa regular season intanto ha più trentelli lui (3) di giocatori del calibro di Kevin Love (2), Kemba Walker (2) e Klay Thompson (1). Prestazioni che hanno contribuito a portare New York in zona playoff: 17-14 il record e ottavo posto a Est. “La mia attenzione è concentrata sulle partite di fine aprile e maggio”, sottolinea incurante delle tante volte in cui poi le cose non sono andate per il meglio in carriera. “Abbiamo dimostrato di poter affrontare qualsiasi avversità, di avere voglia di combattere. Stiamo attraversando la tempesta nel migliore dei modi”. A tenere ben saldo il timone del comando, Michael Beasley. Almeno fino a quando dura.