NBA, "Doctor Kris and Mister Dunn": la trasformazione di Kris Dunn
NBADa un annata da rookie disastrosa al cambio di passo in maglia Chicago Bulls: ecco come è cambiata la point guard da un anno all’altro
La storia recente della NBA è piena di esempi di giocatori che, durante il loro secondo anno nella lega, compiono miglioramenti significativi rispetto all’annata da rookie. Andando a guardare le classifiche del Most Improved Player, il premio che viene assegnato al giocatore più migliorato della stagione, notiamo come nelle ultime dieci stagioni sono stati tanti i giocatori - poi diventati anche All-Star o nominati per un quintetto All-NBA - a far registrare un netto miglioramento, tecnico e statistico, tra l’anno da rookie e quello da sophomore.
Un candidato MVP di oggi come Giannis Antetokounmpo, ad esempio, passò dai 6.8 punti e 4.4 rimbalzi di media (col 41% dal campo) dell’anno da rookie ai 12.7 punti e 6.7 rimbalzi dell’anno da sophomore. Altra crescita evidente fu quella di Paul George, passato da 7.8 punti e 3.7 rimbalzi a 12.1 e 5.6. Anche due giocatori di livello assoluto come DeMar DeRozan e Rudy Gobert, inseriti al termine della scorsa stagione nei quintetti All-NBA, hanno fatto registrare un anno da sophomore nettamente migliore rispetto alla stagione di debutto in NBA. Il centro francese, ad esempio, passò dall’essere un’apparizione marginale (2.4 punti e 3.4 rimbalzi in 10 minuti di media) a un punto di riferimento del quintetto base dei Jazz durante la sua seconda stagione nella Lega; il prodotto di USC, invece, passò dall’essere un onesto giocatore di rotazione alla principale opzione offensiva, insieme al nostro Andrea Bargnani, di una delle peggiori squadre NBA.
I quattro giocatori citati però, insieme ad altri esempi che si possono trovare andando a osservare le classifiche del Most Improved Player, sono giocatori che approdarono in NBA dopo uno o due anni di college o, nel caso di Antetokounmpo o Gobert, dall’Europa ma con massimo 20-21 anni di età. È certamente più raro vedere un giocatore in grado di fare quel salto di qualità tra l’anno da rookie e l’anno da sophomore con alle spalle tre o quattro anni di NCAA, anche perché di solito di certi giocatori si dice, al loro ingresso nella Lega, che sono “NBA ready”.
A tutte le regole vi è però un’eccezione. Questa eccezione, nella stagione NBA che stiamo vivendo, risponde al nome di Kristofer Michael Dunn, uno dei candidati al premio di Most Improved Player.
Rookie Mountain, non Wall
Prodotto dell’università di Providence dove arriva da All-American, Dunn vive una carriera di college decisamente particolare. Pur avendo formalmente trascorso quattro anni a Providence, in una di queste stagioni viene applicata la Medical Redshirt per via di un grave infortunio alla spalla che interrompe la sua seconda annata dopo sole quattro partite. Dopo aver saltato l’intero 2013-14, Dunn rientra in campo in quella successiva ma, avendo saltato quel periodo per infortunio, il nativo di New London, Connecticut può usufruire della già citata Redshirt, ripetendo di fatto la sua stagione da sophomore nonostante si tratti del suo terzo anno universitario.
Nelle successive due stagioni al college Dunn si afferma come giocatore di livello assoluto, confermando quanto di buono si diceva su di lui sin dai tempi del liceo. In entrambe le stagioni viene nominato MVP e Difensore dell’Anno della Big East e, a 22 anni compiuti, decide di rinunciare alla possibilità di essere un 5-Year-Senior dichiarandosi per il Draft NBA del 2016.
A sceglierlo sono i Minnesota Timberwolves alla numero 5, nonostante la presenza ingombrante di Ricky Rubio nel reparto point guard, per il quale veniva dato per certo uno scambio già nell’off-season a seguito di quel Draft. In realtà Dunn lascerà il Minnesota prima di Rubio, in quanto parte della trade che nello scorso giugno ha portato Jimmy Butler alla corte di Tom Thibodeau, in uno scambio (comprendente anche Zach LaVine e le scelte poi diventate Lauri Markkanen e Justin Patton) che in realtà era già stato vicino al completamento durante il Draft 2016. Da un anno all’altro il sacrificio di Dunn da parte dei Timberwolves era diventato di gran lunga meno doloroso per via di una stagione da rookie ampiamente sotto le aspettative.
Quello che veniva considerato come il giocatore più “NBA Ready” tra le primissime chiamate chiude il primo anno nella Lega con la peggiore stagione al tiro tra tutti i giocatori in campo per almeno 1.000 minuti, con un pessimo 43.2% di percentuale reale. Dunn si presenta come un giocatore con tanti miglioramenti da fare a livello di tiro e playmaking, visto che è un ball-hogger che peggiora i ritmi in attacco con scelte discutibili: il -3.6 di Off Rating con lui in campo, dato di gran lunga peggiore rispetto a quello degli altri due compagni di reparto Rubio e Tyus Jones, non depone a suo favore.
In una penetrazione concessa dalla difesa, Dunn riesce a inanellare decisioni sbagliate in serie - mancato scarico a Towns, errata gestione del ritmo, sottomano senza alcuna chance di entrare - nonostante il vantaggio acquisito con la partenza in palleggio.
Gli istinti difensivi élite si posssno soltanto intravedere (-0.7 di Def Rating con lui sul parquet per Minnesota) anche se, come si può vedere nella clip qui sotto, Dunn mette in mostra una delle sue abilità più visibili anche nella stagione da rookie: le palle recuperate.
Dunn legge benissimo la situazione e il pessimo passaggio di Larry Nance: i suoi istinti e le braccia lunghissime lo portano ad avere la meglio su D’Angelo Russell.
I momenti felici in maglia Timberwolves sono stati ben pochi anche nella metà campo difensiva, teoricamente quella preferita e di maggiore successo, e non solo per l’aver pagato l’enorme divario fisico e atletico che vi è tra NCAA ed NBA. In quest’altro caso, ad esempio, si può vedere come un difetto di concentrazione in fase di transizione avversaria porti Dunn a compiere un errore che non è proprio di un ottimo difensore.
Una difesa pigra e una scarsa comunicazione con Tyus Jones conducono alla tripla smarcata di Jordan Crawford.
Dopo 1.333 minuti con la maglia Minnesota, Thibodeau decide di archiviare il progetto Dunn, probabilmente pensando che i tanti miglioramenti necessari al prodotto di Providence per “tenere il campo” richiedessero un tempo non a disposizione dei rinnovati Timberwolves, che con le acquisizioni in estate di Butler, Teague e Gibson hanno evidentemente deciso di provare a salire di livello già da questa stagione - peraltro riuscendoci finora, almeno a livello di record.
Riaffermarsi come difensore
L’avventura di Dunn nella Windy City non inizia nel migliore dei modi: un infortunio in pre-season fa sì che Dunn salti le prime quattro uscite stagionali dei Bulls, partendo dietro a Jerian Grant nelle gerarchie nel ruolo di point guard. Il debutto in regular season con Chicago è un vero e proprio battesimo del fuoco: allo United Center, infatti, arrivano gli Oklahoma City Thunder dell’MVP in carica Russell Westbrook. Pur in una partita alla fine dominata dalla squadra di Donovan, si possono ricavare indicazioni interessanti per notare la diversa attitudine difensiva di Dunn in campo, anche in una partita persa largamente contro un avversario nettamente superiore.
In uno dei primi possessi difensivi della sua partita, con il punteggio ampiamente in equilibrio (OKC prenderà poi il controllo dell’incontro nel secondo quarto), Dunn mostra da subito la sua energia in difesa contro uno degli avversari più probanti come Westbrook.
Il numero 32 dei Bulls tende a stare vicino da subito all’attaccante, prima ancora che questi faccia il suo ingresso nella metà campo offensiva: il movimento dei piedi è eccellente, in quanto permette a un giocatore ben posizionato anche a livello di postura di seguire il palleggio di Westbrook, e recuperare in brevissimo tempo i due tentativi di allungo.
Questo pregio consente a Dunn, difensore molto fisico nell’uno contro uno e dalle lunghe leve (la sua apertura alare di 207 cm è tra le più ampie tra i pari-ruolo), di esercitare una difesa più fisica, rendendo dura la vita agli attaccanti che cercano di prendere il controllo della situazione sfruttando l’atletismo. In questa azione, poi, la perseveranza nell’inseguire l’attaccante causa, indirettamente, la palla persa di Westbrook, che perde il controllo dell’azione dopo il blocco di Adams.
La fisicità già descritta in precedenza permette a Dunn anche di “resistere” ai blocchi dei lunghi avversari. Nella clip qui sopra, ad esempio, l’ottimo posizionamento di fronte ad un avversario cui concede una differenza di centimetri non indifferente come Paul George permette al play dei Bulls di recuperare immediatamente i metri di vantaggio che l’attaccante prende con il blocco. Una penetrazione “pigra” di George, forse spiegabile con il largo vantaggio dei Thunder a quel punto della partita, fa sì che Dunn riesca a rubare palla sorprendendo l’avversario, con la possibilità di far partire un contropiede contro una difesa non schierata: il risultato sono due punti, pur con una ripartenza non esattamente fulminea.
Nonostante si sia sul -27, Dunn è l’ultimo a mollare. In questa giocata, ad esempio, si vedono benissimo quelli che sono gli istinti difensivi del prodotto di Providence: il numero 32 dei Bulls segue Felton anche durante il blocco che questi porta su Holiday, permettendo al compagno di continuare a seguire Abrines, che quindi non riesce a liberarsi dell’avversario.
A quel punto Felton, provando a sfruttare il blocco di Anthony, cerca di liberarsi dalla morsa di Dunn per andare a ricevere il passaggio di Patterson. Dunn, però, supera indenne il blocco e quasi prende energia da questo, intercettando con un tempismo perfetto il passaggio del lungo dei Thunder: palla rubata e facile lay-up in contropiede.
In seguito al positivo debutto contro OKC, Dunn impiega altre 10 partite per convincere Hoiberg a preferirlo a Jerian Grant nel quintetto base dei Bulls. Nella metà di queste partite, nonostante un record Bulls di 2 vinte e 8 perse, l’ex Minnesota registra un Net Rating positivo e, in generale, sia il suo Net che il suo Defensive Rating sono stati ampiamente i migliori tra tutti i giocatori di Chicago con almeno 6 partite giocate su 10.
Col proseguire della stagione - e la maggiore fiducia derivante dall’avere un ruolo stabile nello Starting Five in una squadra che, in seguito al ritorno di Mirotic, ha viaggiato ad un improbabile record da candidata ai playoff (10-4 dopo una partenza da 3-20) - Dunn ha mostrato di avere limato anche alcuni di quei difetti che abbiamo visto nel capitolo relativo alla stagione in maglia Timberwolves.
Non più ball-hogger
Se difensivamente Dunn ha giocato partite di buon/ottimo livello sin dal suo debutto contro i Thunder, offensivamente l’ex giocatore di Minnesota ha faticato di più ad entrare nei meccanismi della pallacanestro di Hoiberg. Nelle sue prime quattro uscite in maglia Bulls, il prodotto di Providence ha messo a referto 13 assist e ben 17 palle perse, pur condizionato dall’infortunio al dito di inizio stagione. Anche qui, però, Dunn ha saputo riprendersi: da quando è un membro stabile del quintetto base dei Chicago Bulls, il nativo di New London sta facendo registrare 6.9 assist di media e 3.1 palle perse a partita, e solo in una partita su 22 ha chiuso con più palle perse che assist.
Le cattive abitudini da ball hogger viste durante la stagione in maglia Timberwolves non sono del tutto sparite: qualche traccia sparsa si vede ancora durante le partite dei Bulls, ma le prospettive sembrano oggettivamente essere incoraggianti. Chicago, con Dunn in campo, gioca ad un ritmo più elevato (101.7 di Pace, primo dato di squadra, contro 97.6 quando non c’è, penultimo, il differenziale più alto tra i giocatori dei Bulls).
Come si può vedere nella clip qui sopra, ad esempio, Dunn decide di giocare il pick and pop con Markkanen nei primi 8 secondi dell’azione, sfruttando anche il blocco che Lopez porta su Porzingis, impedendo al lettone di uscire sul rookie finnico.
La maggiore tendenza di Dunn ad alzare il ritmo dell’attacco che “conduce” si vede anche dalla distribuzione temporale delle sue conclusioni a canestro: quasi il 30% dei tiri tentati in questa stagione da Dunn sono stati presi tra i 18 e i 15 secondi sul cronometro dei 24, quando questo dato l’anno scorso si riferiva soltanto al 12.9% delle conclusioni dal campo.
Un aspetto poco esplorato durante la prima annata nella lega del gioco offensivo del numero 32 dei Bulls è probabilmente il gioco in post. Si tratta di una soluzione che Hoiberg ha progressivamente introdotto nel piano partita dei Bulls: nella clip qui sopra, ad esempio, è la prima azione della partita contro i Suns. Dopo l’entry pass in direzione di un Robin Lopez in punta, Dunn ha vita facile nel posizionarsi in post contro Tyler Ulis, su cui ha un vantaggio in termini fisici e atletici, appoggiando a canestro i primi due punti di una partita chiusa facendo segnare quello che, fino ai 32 segnati contro i Dallas Mavericks venerdì scorso, era il suo massimo in carriera da 24 punti.
Esplorare maggiormente il gioco in post di Dunn ha portato Hoiberg a inserire quello che viene chiamato “Snug Pick and Roll”: qui il nativo di New London riceve il blocco di un lungo (Lopez in questo caso) quando si trova ancora in post. A quel punto Dunn può scegliere tra due opzioni immediate: scambiare il pallone con il lungo col quale si è, effettivamente, cambiato di posizione, oppure (come nel caso di qui sopra) prendersi un tiro dalla media distanza, soluzione su cui torneremo approfonditamente più in avanti.
Nei Bulls dopo Mirotic, inoltre, sta emergendo con sempre più costanza un’altra caratteristica esaltante di Dunn: la freddezza nei finali di partita punto a punto. Prendendo a riferimento i dati di Basketball-Reference, nei quarti periodi Dunn ha il 53% di eFG, rendendo l’ultimo quarto il suo miglior tempo di gioco per distacco. Negli ultimi due minuti di un quarto periodo o di un overtime con la partita compresa in uno scarto inferiore a 5 punti, Dunn è 8/14 dal campo, con tutte le conclusioni che sono unassisted. Un dato, tra gli altri, che può scomodare paragoni importanti.
Il tiro dalla media come punto di contatto con CP3
Sin dai tempi del college, la principale arma offensiva di Kris Dunn è il tiro dalla media distanza. Conclusione forse fuori moda nella NBA odierna, che viene usata come arma solo da giocatori che riescono a usarla con efficacia elevata. Conclusione che, per Dunn, è la chiave di volta che “sblocca” il resto del suo arsenale offensivo.
Nella clip qui sopra, ad esempio, Dunn si prende una conclusione sicuramente forzata, perché avviene con appena 8 secondi trascorsi sul cronometro dei 24, rinunciando a esplorare situazioni potenzialmente più redditizie come un passaggio per Markkanen o un cambio di lato verso Grant.
Altri esempi di mid-range possono mostrare una tendenza di Dunn a cercare questo tipo di conclusioni sempre nei primissimi secondi dell’azione, affidandosi a una base stagionale che testimonia come più di un quarto dei suoi punti segnati provengono proprio da quella zona del campo.
Tale quantità di punti porta il giocatore dei Bulls ad avere sempre più fiducia in questa sua arma tattica, come si può vedere nella clip di sotto: una giocata in post contro un Kemba Walker che nell’occasione sfodera una difesa più che competente, restando con l’attaccante anche dopo il passo in step-back, all’interno di un movimento “Bryantesco” da parte del prodotto di Providence.
Il miglioramento che ha portato Dunn dal 33% della stagione a Minnesota al 43% (sinora) di canestri realizzati dal mid-range è di gran lunga superiore a quello che viene riconosciuto, nell’NBA contemporanea, come uno dei principali “artisti” del settore: quel Chris Paul che, nella sua stagione da sophomore, tirò dalla media distanza con il 36%.
A sinistra i tiri dal mid-range di Paul nella sua migliore stagione in carriera a riguardo, quella passata (50.9% complessivo). A destra Dunn in questa stagione, con ampi margini di miglioramento per quanto riguarda quel rosso che segnala le percentuali sotto media.
Chiariamoci: il paragone con Paul rappresenta un assoluto best-case scenario per Dunn, ovviamente, ma ripensando al CP3 dei primi anni di carriera e osservando il Dunn di questo inizio di stagione, si possono almeno trovare punti di contatto che vanno oltre l’efficacia dalla media, come ad esempio la costante reattività in difesa, la velocità nel decision-making e la volontà di alzare il ritmo in attacco sfruttando il fisico. Con ogni probabilità Dunn non riuscirà ad avere la carriera da Hall of Famer di CP3, così come in questo momento sembra difficile che possa sviluppare quel controllo assoluto sul contesto della partita che è sempre apparso lampante nel gioco del playmaker dei Rockets sin dai tempi di New Orleans, ma se non altro i mezzi fisici a disposizione del possono far immaginare la presenza di un potenziale ancora inespresso.
L’eccellente lavoro svolto durante la off-season da Hoiberg su Dunn ha fatto sì che la meccanica di tiro dell’ex giocatore dei Timberwolves abbia guadagnato in fluidità, tanto da acquistare maggiore fiducia anche nel tentare conclusioni da dietro la linea dei tre punti, una soluzione largamente incentivata anche dallo stesso coach dei Bulls (ad oggi Dunn ha tentato 77 tiri da 3, dato già superiore al totale fatto registrare durante le 78 partite giocate con la maglia di Minnesota).
Il 32.9% nelle conclusioni da oltre l’arco rappresenta un punto di partenza non eccellente ma incoraggiante, oltre che un miglioramento rispetto al 28.8% tenuto durante l’annata da rookie: per continuare con il paragone azzardato, anche Chris Paul ebbe percentuali simili dai 7.25 metri durante le prime due stagioni nella Lega.
Kristofer Michael Dunn è arrivato nella Windy City come “pezzo secondario” di uno scambio a lungo considerato come una trade sbilanciata a favore dei T’Wolves, punto di partenza del rebuilding completo di una franchigia a lungo in area playoff nell’ultimo decennio. I suoi miglioramenti improvvisi ed elettrizzanti sono sicuramente tra le ragioni che inducono maggiormente i tifosi Bulls all’ottimismo, sperando di vedere la squadra resa grande da Michael Jordan tornare a gioire per qualcosa di più di un canestro in crunch time.
Ma con un Dunn così, per il momento, ci si può accontentare.