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NBA, i risultati della notte: gli Heat vincono all'OT contro i Knicks, Ginobili da record

NBA

Miami vince dopo un overtime contro New York e si prende il 5° posto della Eastern Conference. Ginobili trascina San Antonio al successo con 21 punti: è l’unico assieme a Vince Carter ad averne segnati così tanti a 40 anni in uscita dalla panchina. Toronto e Philadelphia travolgono Milwaukee e Detroit, crollano i Lakers contro gli Hornets

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Miami Heat-New York Knicks 107-103 OT

IL TABELLINO

La sconfitta dei New York Knicks lontano dal Madison Square Garden non è di certo una novità (3-14 il record, tra cui un successo arrivato a Brooklyn quindi non vale), ma mai come questa volta ci hanno davvero provato in tutti i modi a vincerla. La tripla di Doug McDermott a 1.1 secondi dalla sirena aveva infatti regalato ai blu-arancio un overtime insperato (soprattutto a guardare il tiraccio con cui pochi istanti prima aveva scheggiato il ferro Courtney Lee), acciuffato dopo che due liberi di Josh Richardson sembravano aver indirizzato la gara in favore degli Heat. Alla fine così è stato, anche grazie ai 24 punti in uscita dalla panchina di Wayne Ellington, che chiude con sei triple e soprattutto 16 tentativi con i piedi oltre l’arco, fissando così il nuovo record di franchigia. Dall’altra parte sono 24 per Lee e 15 con 5/14 al tiro per Kristaps Porzingis, apparso sempre più stanco e sulle gambe (qualche giorno fa lo aveva ripetuto a chiare lettere anche ai cronisti newyorchesi). Michael Beasley invece è apparso tra i più lucidi, autore di 20 punti e 10 rimbalzi e rimasto in campo durante l’overtime nonostante una brutta storta alla caviglia. “Queste partite dimostrano carattere”; “Avevamo bisogno di una vittoria da conquistare con le unghie e con i denti”; “Era una gara in cui soltanto chi è in grado di competere ad alto livello poteva pensare di avere la meglio”. L’aria dello spogliatoio e della conferenza stampa si riempie con le parole degli Heat. Miami è al quinto posto della Eastern Conference e vuole tornare a giocarsi i playoff. Un anno lontano dalla post-season per una squadra del genere è stato fin troppo.

San Antonio Spurs-Phoenix Suns 103-89

IL TABELLINO

C’è chi come Kawhi Leonard sta lentamente cercando di ritornare sul suo trono a San Antonio e chi, come Manu Ginobili, non ha alcuna intenzione di scendere. Alla fine sono 21 punti a testa per i due, con il numero 20 argentino che firma l’ennesimo record in carriera, diventando l’unico 40enne assieme a Vince Carter a essere riuscito a segnare almeno 20 punti uscendo dalla panchina. Gli Spurs non sentono così più di tanto l’assenza di LaMarcus Aldridge (tenuto a riposo dal sempre attento alle rotazioni coach Popovich) e dell’infortunato Danny Green in una stagione in cui i nero-argento non sono mai riusciti ad avere tutto il roster a disposizione. Ventuno sono anche i punti realizzati da Devin Booker, il miglior realizzatore degli ospiti, non riesce a evitare ai Suns la 12^ sconfitta nelle ultime 13 partite giocate contro San Antonio. A far sorridere i texani però è soprattutto il recupero di Leonard, apparso sempre più a suo agio in entrambe le metà campo, efficace anche in quanto a stoppate (3) e palloni recuperati (4). Gli Spurs si avvicinano così ulteriormente al 2° posto dei Rockets; sì, zitti zitti, quatti quatti sono di sempre e comunque lì. Il vero miracolo resta la longevità, proprio come quella di Ginobili. “Qualsiasi cosa abbia bevuto, voglio provarla anch’io – scherza Popovich -, davvero. Sono serio, deve aver trovato da qualche parte una fontana della giovinezza”.

Philadelphia 76ers-Detroit Pistons 114-78

IL TABELLINO

Senza storia. Sia la sfida che l’atteso scontro sotto canestro. Dal 2-0 iniziale firmato Tobias Harris in poi è stato un lungo monologo dei padroni di casa, guidati neanche a dirlo da Ben Simmons (19 punti e 9 assist) e soprattutto da Joel Embiid. Per il lungo camerunense 23 punti, 9 rimbalzi e un altro testa a testa vinto contro Andre Drummond, il meno peggio dei suoi con 10 punti, 8 rimbalzi e 5 assist in una serata per i Pistons da 38% dal campo, 31% dall’arco e 58% a cronometro fermo. Ed è proprio dalla lunetta che si consuma l’episodio più divertente della gara: Drummond manda a segna i due liberi del -30 (80-50 il punteggio nel 3° quarto) e zittisce il pubblico con il dito come se avesse realizzato il buzzer beater del sorpasso. Nessuno se ne preoccupa più di tanto però, perché nel frattempo Embiid stava chiamando l’urlo della folla, entusiasta dei tanti tifosi che vestivano le magliette promozionali “Ben&Jo” per sponsorizzare la loro partecipazione all’All-Star Game. “Mi piace pensare di essere in corsa, ma al momento l’unico obiettivo è quello di vincere le partite e di conquistare i playoff”. Al momento la risalita di Philadelphia procede proprio in quella direzione: cinque vittorie nelle ultime sei partite e record ritornato sopra il 50% di successi dopo oltre un mese (con Embiid in campo 17-12, senza 2-7). Una gara e mezza di distanza in classifica più su ci sono proprio i Pistons: “Non abbiamo avuto due minuti consecutivi durante tutto il match in cui abbiamo giocato in maniera decente”. Lo stesso coach Van Gundy dovrà cercare di cambiare le cose.

Milwaukee Bucks- Toronto Raptors 111-129

IL TABELLINO

Non sarà diventato ancora l’attacco più moderno della NBA, ma i Raptors anche quest’anno sono in corsa quantomeno per una finale di Conference. Merito di una rinnovata capacità offensiva che non dipende soltanto da DeMar DeRozan (mai così incisivo ed efficace dalla lunga distanza in carriera) e che manda ben otto giocatori in doppia cifra con estrema facilità. I più pesanti sono i 20 firmati da Jonas Valanciunas, arrivati tutti nel terzo e decisivo quarto da 43-19; una mazzata per le speranze di vittoria dei Bucks, sprofondati sul -26 a dodici minuti dalla fine. Una frazione dominata grazie al 17/25 al tiro e al 18-2 con cui si è chiusa la lotta a rimbalzo. Dall’altra parte non bastano i 24 punti di Giannis Antetokounmpo, primatista a Est per numero di voti conquistati nella corsa per l’All-Star Game, finito addirittura davanti a LeBron James (un riconoscimento “più che meritato” a detta di coach Kidd). Al 2° posto tra le guardie invece c’è DeRozan, che si ferma a quota 20 punti in una partita da 7/12 al tiro e +34 di plus/minus; molto più sotto controllo dopo averne messi 52 proprio contro i Bucks meno di sette giorni fa. Un gradino in meno sia alla voce punti che per differenziale rispetto a Serge Ibaka, che fa 21 e 35, il miglior realizzatore dei canadesi che condannano Milwaukee al secondo ko in una settimana e soprattutto a scivolare al sesto posto a Est.

Dallas Mavericks-Chicago Bulls 124-127

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Alla volte per divertirsi basta poco. Uno scontro tra due delle peggiori squadre NBA di inizio stagione ad esempio, che stanno provando a risalire in parte la china, a dare dignità a una regular season difficile. E magari a giocare qualche partita interessante come quella vinta dai Bulls in un finale non combattuto, ma vertiginoso. Le due squadre infatti combinano per 35 punti negli ultimi 68 secondi, con tanto di canestro del -1 firmato dai Mavericks e possibile tripla del pareggio sulla sirena. Una fiammata tardiva da parte dei padroni di casa, costretti ad arrendersi sotto i colpi di Kris Dunn, autore di 32 punti (suo massimo in carriera) e primo a riuscire a segnarne così tanti nel suo ruolo vestendo la maglia dei Bulls dopo Derrick Rose (l’ultima del numero 1 è datata marzo 2016), a cui aggiunge anche 9 assist e 4 palle recuperate. A perdere è soprattutto la difesa dei Mavericks, incapace di limitare l’attacco avversario e costretta a concedere il 50% dall’arco e il 56.4% dal campo di squadra a Chicago. In casa Dallas il più efficace in attacco è come al solito Dirk Nowitzki che chiude con 19 punti e un essenziale 8/11 al tiro.

Denver Nuggets-Utah Jazz 99-91

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L’ex che non ti aspetti punisce ancora i suoi Jazz e regala ai Nuggets un successo importantissimo in chiave playoff (al netto delle 82 partite di regular season eh, sia chiaro). Trey Lyler, diventato un giocatore chiave dopo l’infortunio di Paul Millsap (ancora alle prese con il problema al polso sinistro), non era stato sceso in campo in sette delle prime dieci gare della stagione prima di diventare protagonista in queste ultime settimane. Contro Utah segna 26 punti (suo massimo in carriera), a cui aggiunge sette rimbalzi. “Trey sta sfruttando l’occasione che gli è capitata, sono molto felice di vederlo giocare così bene”, racconta sincero coach Snyder a fine gara. “Non l’abbiamo messa mai nel terzo quarto, mentre loro ci hanno stampato 38 punti in faccia in una frazione”. Il parziale da 38-16 infatti è quello che decide la sfida, assieme ai 26 punti di Jamal Murray. “Abbiamo invertito la tendenza della gara partendo dalla difesa; gli abbiamo reso la vita difficile in attacco. Giocare in quel modo nella propria metà campo ti fa sentire in grado di fare quello che vuoi in attacco”. Denver sale così al sesto posto a Ovest, mentre i Jazz scivolano sempre più lontano dalla zona playoff: la rivoluzione estiva del roster, unita all’infortunio di Rudy Gobert iniziano a pesare sul record della squadra di Salt Lake City.

Los Angeles Lakers-Charlotte Hornets 94-108

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Il futuro a l’oro in bocca, ma per il momento non è unito alle tinte viola che i losangelini abbinano sulle loro maglie. I Lakers incassano contro Charlotte la nona sconfitta consecutiva in casa; record negativo di franchigia eguagliato (c’erano già riusciti lo scorso anno) e punto più basso della stagione nuovamente toccato. Gli Hornets partono sotto 0-2 (canestro di Julius Randle, lanciato in quintetto da coach Walton al posto di Larry Nance Jr. e Kyle Kuzma) e poi volano in testa al match senza preoccuparsi di un’eventuale rimonta. I Lakers infatti non sono attrezzati per provarci. Alla sirena sono 19 punti e 7 assist per Kemba Walker, 15 con 10 rimbalzi per Dwight Howard (fischiato dai suoi ex tifosi), per una squadra che domina nonostante il rivedibile 42% raccolto al tiro. Charlotte conquista così la prima vittoria in back-to-back degli ultimi 40 giorni, la terza nelle ultime quattro per un gruppo ancora senza coach Clifford, allontanatosi dalla panchina per gravi motivi di salute ormai da oltre un mese. Lonzo Ball chiude con 11 punti e 3/7 dall’arco; unico a salvarsi nel tiro dalla lunga distanza assieme a Brook Lopez (3/6) in quella che si conferma essere la squadra con la peggior percentuale nel tiro dalla lunga distanza della lega, oltre che della Western Conference e forse dell’intera NBA (gli Hawks ce la stanno mettendo tutta per mantenere il primato). Per sognare in grande toccherà continuare ad aspettare ancora.

Memphis Grizzlies-Washington Wizards 100-102

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Gli Washington Wizards (un po’ a fatica) sembrano aver finalmente imparato la lezione: per essere grandi bisogna prima di tutto vincere contro le squadre meno forti. Un diktat arrivato a chiare lettere da John Wall dopo il capitombolo contro gli Hawks e metabolizzato subito dai suoi compagni: dopo quella sfida sono arrivati quattro successi in fila, tre dei quali contro avversari con un record inferiore al 50%. Merito dei 34 punti, 5 rimbalzi, 5 assist e 5 triple di Bradley Beal e dei 25 con 9 assist e 4 recuperi di John Wall (Markieff Morris ne aggiunge 12 con 17 rimbalzi, il suo massimo in carriera). Alla fine i 15 punti di margine accumulati nel quarto periodo sono stati sufficienti per vincere una partita che gli Grizzlies hanno provato a riacciuffare in tutti i modi. Ventisei punti per Tyreke Evans, 17 con 11 rimbalzi di Marc Gasol e 13 di Mario Chalmers in uscita dalla panchina portano Memphis ad avere il tiro del possibile pareggio a otto secondi dal termine: la conclusione finisce ben distante dal ferro, così come i Grizzlies da quelle zone playoff che così spesso avevano frequentato in passato.