Dalla notte in cui ha rischiato la vita a quella in cui è diventato campione NBA, riviviamo la carriera del numero 34 dei Boston Celtics attraverso i cinque momenti più importanti vissuti in biancoverde - in attesa del ritiro della maglia di domenica sera dopo Boston-Cleveland.
Domenica sera i Boston Celtics omaggeranno colui che per 14 lunghe stagioni è stato il loro capitano, leader, orgoglio e punto di riferimento. Il ritiro della maglia numero 34 consacrerà ulteriormente Paul Pierce nella Storia dei Celtics e lo renderà ufficialmente immortale, collocando il suo nome per sempre accanto a quello di Larry Bird sul soffitto del TD Garden.
Abbiamo scelto i cinque momenti più belli della storia d’amore tra Pierce e Boston che, come tutte le storie romantiche a lieto fine, ha avuto alti e bassi specialmente nei primi anni. Naturalmente sono dovute rimanere fuori partite da record e prestazioni mostruose come la rimontona di Gara-3 delle Finali ad Est nel 2002 contro i New Jersey Nets, oppure il giorno in cui, realizzando 15 punti contro Charlotte nel 2012, superò Bird nella classifica dei marcatori ogni epoca dei Celtics. Ci siamo voluti tuttavia concentrare sui momenti che hanno segnato il Pierce uomo prima ancora che giocatore e su quelli che hanno segnato in maniera indelebile il rapporto tra il ragazzo di Inglewood che tifava Los Angeles Lakers “odiando” quelli in biancoverde e i tifosi bostoniani.
1) Quella sera - 1 novembre 2000
Nell’Opening Night della sua terza stagione da pro, Pierce trascina i Boston Celtics ad un facile successo 103-83 contro i Detroit Pistons. Il suo tabellino finale dice 28 punti, 6 rimbalzi e 5 assist in 39 minuti ed è certamente un modo positivo di iniziare la regular season. Nulla di particolarmente storico e/o rilevante, tuttavia, se non fosse che quella è la prima partita ufficiale giocata dopo che Paul è andato a un passo dalla morte.
Il 25 settembre Pierce si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Scoppia una rissa al Buzz Club di Boston e si trova pienamente coinvolto: a distanza di anni non si sa ancora se fosse lui a provarci con qualcuna di intoccabile o il contrario. Nel dubbio, si becca una bottigliata in testa e 11 coltellate tra collo, viso e schiena, ma la giacca di pelle che indossa attutisce l’impatto e di fatto gli salva gli organi interni. Portato d’urgenza nel vicino ospedale dal compagno di squadra Tony Battie e da suo fratello Derrick, Pierce viene operato e poi dopo tre giorni dimesso. Già così è definibile come un miracolato: se poi aggiungete che 35 giorni dopo è già in campo… Non solo: giocherà titolare 82 partite su 82, in 80 di queste andrà in doppia cifra e chiuderà a 25 punti di media. E sempre quell’anno si sarebbe guadagnato il soprannome definitivo.
2) “The Truth” - 13 marzo 2001
Quell’edizione dei Celtics non è granché, per usare un eufemismo, specie se paragonata ai Lakers in piena era O’Neal-Bryant-Jackson. Però quella sera i gialloviola, in casa ma senza Kobe, devono faticare tantissimo per domare Boston e un indemoniato Paul Pierce, autore di 42 punti con il 68% dal campo, 21 tiri liberi, 6 rimbalzi e 4 recuperi. Sì, stiamo sempre parlando di quello che 6 mesi prima era più di là che di qua.
A fine partita Shaquille O’Neal, che dell’NBA in quel momento è Padrone e Gran Cerimoniere, ferma un giornalista e indicando il taccuino gli fa: “Allora, devi scrivere che Paul Pierce is the fu****g truth. Sapevo che fosse forte, ma non pensavo così forte. Paul Pierce è la Verità!”.
Da quel momento Pierce sarà "The Truth", per tutti. Anche perché provateci voi a contraddire Shaq.
3) Re di Boston - 12 giugno 2008
Ci sono voluti 21 anni per rivedere i Celtics in lotta per il titolo. Ci sono voluti gli arrivi di Kevin Garnett e Ray Allen per dare a Paul Pierce una compagnia di livello, convincendolo a non lasciare il Massachusetts per cercare gloria altrove come era sembrato inevitabile negli anni precedenti alla magica estate del 2007. A separare Boston e il suo Capitano dal primo Larry O’Brien Trophy dal lontano 1986 ci sono - ovviamente - i Lakers, la squadra della sua infanzia e del suo destino.
Gara-1 viene presto ribattezzata “The Wheelchair Game”: ad inizio ripresa The Truth esce su una sedia a rotelle per un infortunio al ginocchio, poi rientra, segna 15 punti ed è decisivo per la vittoria dei suoi e per rivitalizzare tutto l’ambiente. A Gara-4 allo Staples Center si arriva con Boston avanti 2-1, ma ben presto in difficoltà: i Lakers volano sul +24 a metà del secondo periodo e il pareggio nella serie sembra cosa fatta.
Sembra. Perché come la goccia che scava la roccia, lentamente i Celtics recuperano punto dopo punto fino a raggiungere i gialloviola. Nel finale teso ed equilibrato è Ray Allen a prendersi il proscenio con i canestri decisivi, ma quello che fa Paul Pierce è memorabile. Si appiccica a Bryant neanche fosse un mediano anni ‘60 e non lo molla di un centimetro. Per valore dell’avversario, importanza della partita e qualità delle azioni, è la sua miglior partita difensiva della carriera.
I Celtics vincono Gara-4 e allungano le mani sul titolo che agguantano definitivamente in Gara-6, prendendo a ceffoni i Lakers con un +39 da tramandare ai posteri. Paul Pierce è MVP delle Finals, è campione NBA, è sul tetto del mondo ma soprattutto è il Re di Boston.
4) The Shot - 5 giugno 2012
Finale della Eastern Conference, Gara-5. Da una parte i Boston Celtics, dall’altra LeBron James. Cioè, ci sarebbero i Miami Heat, ma c’è soprattutto il Prescelto contro la sua Bestia Nera che l’anno prima era stata detronizzata 4-1 in semifinale, ma che ora si è ripresentata più agguerrita che mai. Per tornare a giocarsi il titolo, perso un anno prima contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki, c’è da superare ancora l’ostacolo Celtics. Non sono più quelli del 2008, ma batterli è comunque tutt’altro che semplice. La serie è sul 2-2 e psicologicamente Gara-5 si trasforma in una battaglia senza esclusioni di colpi. Ogni tentativo di fuga viene stoppato, ogni errore viene punito. Si gioca sui nervi, si gioca su un invisibile filo di equilibrio: chi si distrae per primo cade. Figuriamoci se uno come Paul Pierce si fa sfuggire una situazione del genere.
A un minuto dalla fine “The Captain and The Truth” riceve palla sul lato sinistro braccato da Shane Battier. Il blocco di Rondo forza il cambio difensivo e sul capitano Celtics ci finisce LeBron James. Palleggio, sguardo dritto negli occhi, passo in avanti; palleggio, sguardo dritto negli occhi, passo in avanti. Pierce è un predatore che osserva sogghignando il suo boccone. Al sesto palleggio decide che è il momento e spara la tripla del +4 in faccia ad un impotente James. “Nessuno di loro ha le palle di prendersi questo tiro!" dice tornando in panchina. È un momento di totale goduria per il 34 e per il suo popolo: sarà anche l’ultimo nei playoff.
Boston infatti vince la battaglia, ma non la guerra: in finale a prendersi l’anello ci va Miami e per la prima volta LeBron, che in Gara-6 dipinge la sua Cappella Sistina con una prestazione da 45 punti, 15 rimbalzi e 5 assist che cambia il corso della sua carriera.
5) L’addio - 5 febbraio 2017
Il farewell tour di Pierce con la maglia degli L.A. Clippers ha la sua tappa ovviamente più significativa e commovente al TD Garden. È l’ultima partita in cui calca da giocatore il parquet che gli ha dato gloria e prestigio, l’ultima volta che può prendere gli applausi dei suoi tifosi. Parte in quintetto perché Doc Rivers non può negargli questa gioia - è l’unica partita che gioca nei primi due mesi e mezzo dell’anno, peraltro - e già alla presentazione c’è un boato che lo commuove. Bacia il cerchio di centrocampo e poi gioca pochissimo, appena 5 minuti. Ma non conta. È molto più importante quello che succede negli ultimi 20 secondi del match, l’ultima immagine di Pierce giocatore sul campo dove è diventato Re.
Il pick and pop con Austin Rivers è appena accennato, perché non c’è bisogno di impegnarsi più di tanto in un finale di partita già deciso. Pierce riceve il passaggio, si trova davanti un Isaiah Thomas in evidente ammirazione e ha tutto il tempo di sistemare i piedi, mirare il canestro e lasciar partire un tiro che ha segnato centinaia di volte con la maglia dei Celtics. Solo rete, tra il delirio dei tifosi del Garden che lo sommergono di affetto. Lui torna indietro commosso, alza il braccio e si gira a ringraziare il suo pubblico per l’ultima volta: esattamente 18 anni prima, il 5 febbraio 1999, era cominciata la sua storia d’amore con i Celtics debuttando con il biancoverde addosso in una gara interna con i Toronto Raptors. Ora non ha nemmeno più bisogno di indossarlo: ce l’ha cucito sulla pelle per il resto dell’eternità.