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NBA, Kobe Bryant: "Giocare ai Lakers non è per tutti: qui c'è pressione, qui conta solo vincere"

NBA

La leggenda gialloviola approfitta del palcoscenico dell’All-Star Weekend a Los Angeles per rilanciare l’immagine dei suoi Lakers: “Bisogna essere speciali per poter giocare qui, non è per tutti. Devi sopportare la pressione di seguire le orme dei Magic Johnson e dei Kobe Bryant: vincere è l’unica cosa che conta”

Con l’All-Star Weekend nella sua città – quella che lo ha adottato e che lui ha orgogliosamente rappresentato per due lunghi decenni nella NBA – Kobe Bryant non poteva non recitare un ruolo da protagonista anche ora che ha definitivamente appeso le scarpe al chiodo. L’ex stella dei Lakers ha a suo modo dato il via alla tre giorni di eventi dell’All-Star Weekend con una conversazione organizzata dal suo sponsor Nike in compagnia di Jalen Rose (uno che Kobe se lo ricorda bene da avversario, anche nello scontro diretto tra Lakers e Raptors la sera degli 81 del “Black Mamba”…). E come al solito, quando parla Bryant, non sono mancati gli spunti interessanti, soprattutto in risposta al quesito postogli da Rose, che invitava una leggenda gialloviola come Kobe ad assumere il ruolo di reclutatore per portare grandi superstar ai Lakers, attesi da tutti a grandi movimenti sul mercato estivo dei free agent. “La verità quando parli di una franchigia come i Lakers – la risposta di Bryant – è che non dovresti neppure aver bisogno di reclutare gente. Devi essere una persona speciale per voler venire a giocare qui, e accettare la pressione che ne consegue. È la pressione di seguire le orme di un Magic Johnson o di un Kobe Bryant: solo chi sa di essere speciale può farlo. Se devo convincerti a farlo, allora vuol dire che non sei la persona giusta”. Un discorso affascinante ma allo stesso tempo rischioso, come dimostrato nelle estati più recenti, quando le difficoltà in campo dei Lakers hanno offuscato il fascino di una franchigia capace di vincere 16 titoli NBA, che però sulle generazioni più giovani di giocatori sembra aver perso parecchio appeal. “Quando accetti di venire a Los Angeles l’unica cosa che conta è vincere il titolo, tutto il resto non conta”. 

"I Lakers sinonimo di eccellenza e vittorie"

Titoli che Bryant ha vinto a ripetizione (cinque in sette finali NBA disputate), così come prima di lui aveva fatto proprio Magic Johnson, oggi faccia della franchigia insieme al nuovo GM Rob Pelinka (cinque in nove apparizioni in finale) e che oggi manca dal 2010, l’ultimo vinto proprio dal “Black Mamba” in coppia con Pau Gasol. “I Lakers sono sinonimo di eccellenza”, continua Bryant. “Dire Lakers vuol dire vittorie. Qui non si celebrano i titoli divisionali, non si ritirano a maglie a chiunque ma lo si fa soltanto per giocatori da Hall of Fame. Chi viene a giocare qui deve sapere che questo è lo standard, deve adattarsi a questo livello e così facendo deve finire per innalzare anche il livello di tutti i suoi compagni. Se non sei capace di farlo, i Lakers non sono la squadra per te, puoi andare altrove, nessun problema”. Una frecciatina che Bryant sembra lanciare a qualche compagno del passato (magari un Dwight Howard?) ma anche a potenziali Lakers del futuro, cercando di ristabilire un prestigio un po’ offuscatosi negli anni recenti. Se basteranno le sue parole a fare nuovamente di L.A. una destinazione ambita per tutti i grandi nomi del mercato dei free agent lo sapremo già a partire da quest’estate.