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NBA, luci e ombre dei Denver Nuggets, la squadra più altalenante della lega

NBA

Michele Serra

Dall'All-Star Game in poi hanno il quarto miglior attacco della lega e seconda peggior difesa: i giovani Denver Nuggets alternano grandi prestazioni a sconfitte incomprensibili. Possono reggere nella tremenda Western Conference?

Nella tonnara della Western Conference, ognuna delle squadre in corsa per fare i playoff hanno i loro problemi. Ci sono squadre che hanno iniziato la stagione con grossi punti interrogativi sul presente e sul futuro, come gli Utah Jazz, gli L.A. Clippers e i San Antonio Spurs, ma anche squadre teoricamente in vantaggio come gli Oklahoma City Thunder e i New Orleans Pelicans stanno facendo fatica a staccarsi verso la conquista del fattore campo al primo turno.

Incastrati tra tutte queste storie così diverse, i Denver Nuggets stanno cercando di interrompere il digiuno da playoff che dura ormai da cinque stagioni.  Anche in Colorado ha dovuto fare i conti con gli infortuni, come quello che li ha privati di Paul Millsap per oltre due mesi con un infortunio alla mano. E al suo tanto atteso rientro, non tutti i tasselli sono andati al loro posto – aumentando ancora di più i dubbi attorno al gruppo di coach Mike Malone. Ma procediamo con calma.

La convivenza da costruire tra Jokic e Millsap

“Jokic è un ragazzo talmente umile che a volte vuole che sia io a prendere l’iniziativa. Ma è lui il fulcro della nostra squadra: io sono qui per aiutarlo e sostenerlo in ogni modo possibile”. Parole e musica di Paul Millsap, sicuramente il più importante free agent mai firmato dalla franchigia del Colorado, titolare di un contratto da 30 milioni di dollari per tre anni. Da buon over-30, però, l’ex Atlanta Hawks sa di essere arrivato a Denver con il compito di aggiungere qualità sui due lati del campo, certo, ma anche per recitare un ruolo di primo piano in spogliatoio, in quanto veterano in mezzo ad una marea di giovani. Nikola Jokic, per quanto ancora un giocatore con difetti evidenti – di cui parleremo dopo – è il punto focale dell’attacco e del futuro dei Nuggets, che hanno costruito attorno a lui la loro intera identità di squadra.

I Nuggets amano usare questo schema per metterlo spalle a canestro all’altezza delle tacche. Il 23enne di Sombor parte dal lato destro, consegna il pallone tramite hand-off e poi prende due blocchi sotto canestro da parte degli esterni. L’obiettivo è isolarlo nella sua posizione preferita di campo, magari sperando in un mismatch venutosi a creare durante i blocchi. Da qui, il serbo o si sposta verso il centro per cercare il gancetto – la terza situazione di tiro più esplorata in stagione con 101 tentativi, oppure sfrutta il movimento degli esterni per premiare i loro tagli a canestro o sul perimetro.

Qui premia il taglio di Jamal Murray, che da Jokic ha finora ricevuto 66 assist e che in situazione di taglio segna 1.35 punti per possesso.

In attacco il numero 15 è bellissimo da vedere, ma difetta ancora in cattiveria, e soprattutto la sua mancanza di atletismo ed esplosività si palesa quando deve velocizzare la conclusione e andare su di forza per evitare la stoppata o un rientro del difensore.

Quando l’ex giocatore del Mega Leks non viene coinvolto, per cercare di lasciare un segno sulla partita si intestardisce con il tiro dalla media o da tre, che gli avversari ancora non rispettano: il 13% delle sue conclusioni da oltre l’arco è wide open (avversario oltre i due metri di distanza) e vengono convertite con il 37%, mentre quasi il 10% dei tiri da due ad almeno tre metri dal canestro sono open (qui la percentuale di realizzazione è però più alta, 55%).

Per quanto il tiro non sia ancora affidabile e le percentuali dal palleggio siano pessime (47% di percentuale effettiva pur su pochi tentativi), l’attacco dei Nuggets è al suo meglio quando muove il pallone verso e soprattutto attraverso Jokic, che è già adesso uno dei migliori lunghi passatori di tutta la NBA.

Con un pick and roll e due passaggi, i Nuggets cambiano lato e pescano il taglio di Millsap sotto canestro per il canestro e fallo (con anche l’aiuto della dormiente difesa dei Lakers).

Coinvolgere Jokic vuol dire tenerlo in partita soprattutto mentalmente: nella dolorosissima sconfitta contro Dallas gli errori al tiro lo hanno condizionato su entrambi i lati del campo, finendo per rimanere in campo solo 25 minuti, uno dei dati più bassi della sua stagione. In quel caso ha influito la scelta di coach Malone di contrastare il quintetto piccolo e rapido dei Mavs che ha ucciso Denver dal perimetro e con semplici pick and roll, e Jokic era decisamente l’uomo di troppo. La vera nota dolente, infatti, è la sua difesa, che condiziona anche quella dei suoi compagni, spesso costretti a rimediare alle sue mancanze.

L’effort a rimbalzo, specie quando c’è da tagliare fuori gli avversari sotto canestro, va e viene in base a come si sente: il 32.7% dei suoi rimbalzi difensivi sono contestati, 15° dato tra quelli che catturano almeno 5 rimbalzi sotto i propri tabelloni. Qui, però, a seguito dell’errore al tiro di Smith Jr. si fa passare davanti da Noel senza opporre resistenza: per sua fortuna l’ex Sixers sbaglia.

In quest’altra situazione, sulla penetrazione di Barnes è nella terra di nessuno come gli capita fin troppo spesso, mentre Noel è liberissimo alle sue spalle: solo un eccellente lavoro difensivo di Millsap evita i due punti.

I problemi avuti da Jokic in concomitanza con il rientro di Millsap erano tutto sommato preventivabili, vista la ovvia mancanza di feeling tra i due. L’ex Hawks ha dimostrato di rispettare le gerarchie e finora sta lasciando il giusto spazio al compagno, non solo a parole: Millsap sta tirando da tre con il 36.3%, seconda percentuale più alta della sua carriera, aumentando i suoi tentativi oltre l’arco per la prima volta oltre i 4 su 36 minuti.

Qui i Nuggets costruiscono un tiro per lui, con la penetrazione di Harris sulla linea di fondo e il passaggio per in angolo costruito dal blocco portato da Murray alle spalle di LeBron. Gli avversari concedono all’ex Atlanta due tiri da 3 completamente smarcati a partita, convertiti con un eccellente 44.7%.

Se Millsap riuscirà a mantenere questa percentuale da oltre l’arco sarà tanto di guadagnato per i Nuggets e Jokic, che avrà più spazio in post e più opzioni per gli scarichi: pur dovendo rinunciare a circa un possesso in post a partita, quando Millsap gioca con Jokic il Net Rating dei Nuggets è di +10.9 ed è ancora migliore da quando è tornato dopo l’infortunio (+12.7). Dopo la pessima prestazione di Dallas, in quattro delle ultime cinque partite Jokic ha portato in dote alla causa non meno di 20 punti – oltre a due triple doppie, facendo salire il suo conto a 9 in stagione. La sconfitta con i Lakers ha certamente complica le cose, ma contro i gialloviola il serbo ha avuto problemi di falli che lo hanno limitato per tutta la partita e nel finale è stato coinvolto in un accoppiamento impossibile contro Isaiah Thomas, che lo ha “sverniciato” a ripetizione al centro del campo. Al netto dei suoi evidenti limiti, Denver però non può fare a meno di lui e deve attendere che si completi il suo rodaggio con Millsap, sperando che i due trovino l’intesa perfetta prima che sia troppo tardi nella tremenda Western Conference.

Young Guns

Se Jokic si è permesso, suo malgrado, di prendersi qualche pausa qua e là durante la stagione, lo deve anche all’esplosione di due ragazzi giovani su cui i Nuggets hanno investito alte scelte negli ultimi Draft: Jamal Murray e Gary Harris.

La trade che ha portato il deludente Emmanuel Mudiay a New York è servita ai Nuggets per dare più minuti e responsabilità offensive al sophomore da Kentucky. Già al secondo anno Murray ha fatto registrare un aumento delle percentuali dal campo (da 40% a 46%) e da tre (da 33% a 38%), prendendosi anche quattro tiri in più a partita. Da play titolare, Murray sta mostrando discreta versatilità offensiva, anche se sta ancora padroneggiando i rudimenti del playmaking: usa frequentemente il pick and roll, ma produce solo 0.85 punti per possesso, accontentandosi del tiro dalla media distanza anche se contestato o quando i lunghi hanno cambiato su di lui. Eppure l’aggressività non gli manca: Murray ha le doti in palleggio e l’atletismo per punire i mismatch e finire al ferro (oltre il 62% contro il 58% dello scorso anno). Con ancora 14 partite da giocare, inoltre, ha già battuto il numero dei tentativi al ferro rispetto allo scorso anno: 201 contro 179. 

Nel primo tempo in questa situazione si era preso due pigri tiri dalla media contro le braccia protese di Kentavious Caldwell-Pope e in isolamento contro Brook Lopez: qui è molto più deciso nello sfruttare il vantaggio di velocità.

Qui invece sfrutta il passaggio consegnato di Jokic e il seguente blocco su Isaiah Thomas per finire al ferro con la schiacciata. Questo tipo di giocate sono molto frequenti, essendo Denver la terza squadra in NBA per frequenza nell’utilizzo dei consegnati e la sesta per punti per possesso segnati grazie ai blocchi di Jokic che liberano spazio per i portatori di palla.

Il canadese è migliorato parecchio anche in un altro aspetto fondamentale del gioco, il tiro da tre in catch and shoot, che costituisce il 25% del suo gioco da oltre l’arco. Se la percentuale nei tiri da tre dal palleggio è rimasta pressoché invariata attorno al 30%, la prima è passata da 37% al 43%, ed ora si possono confezionare situazioni di gioco pensate appositamente per lui. 

Murray blocca per Wilson Chandler lungo la linea di fondo: Barnes e Ferrell inseguono l’ex Knicks per timore di perderlo, ma non comunicano. Murray quindi è libero di aprirsi sul perimetro e sfruttare il blocco di Jokic per un tiro da tre non contestato.

Gary Harris invece è un giocatore molto più disciplinato offensivamente: anche l’ex Michigan State ha risposto presente a un aumento del minutaggio e al contratto firmato in estate, segnando di più e vedendo calare la propria percentuale effettiva solamente di un punto circa (da quasi 59% a poco più di 57%). Sono sostanzialmente due le caratteristiche che lo rendono un giocatore estremamente utile: la prima è il tiro spot up da 3, visto che Harris è 16° in NBA tra i giocatori con almeno il 20% di frequenza di questo tipo di gioco; la seconda è il movimento senza palla, due caratteristiche che spesso unisce per creare combinazioni difficili da leggere per la difesa.

Qui, appena vede che Millsap tenta la penetrazione in area, si allarga oltre l’arco pronto a ricevere lo scarico del compagno per un tiro da tre aperto.

Oppure sfrutta le eccezionali doti di passatore di Jokic e la finta di blocco del compagno (qui Murray) per tagliare a canestro e schiacciare. Harris è il 17° giocatore NBA per punti per possesso sui tagli (1.44) tra i giocatori con almeno il 5% di frequenza di utilizzo di questa azione.

I veri limiti di Denver: la difesa e la superficialità

Sicuramente il problema più grosso dei Nuggets è la difesa, atroce per davvero: la squadra di Malone è 25^ per rating difensivo con 108.5 punti subiti per 100 possessi, in mezzo ai Minnesota T’Wolves e ad un mare di squadre già in vacanza da tempo. Jokic è sorprendentemente decente quando deve difendere il pick and roll, con 0.95 punti subiti per possesso – anche se guardando le partite sembra molto più spaesato, spesso perso nella terra di nessuno, tra l’handler e il rollante. In generale, la difesa di Denver tende a seguire il pallone lasciando quasi totalmente sguarnito il lato debole: non a caso contro di loro fioccano le triple sugli angoli (7.3 a partita), uno dei tiri più efficienti che un attacco possa prendersi. I Nuggets sono secondi per triple concesse dall’angolo sinistro e quinti dall’angolo destro, ma per loro fortuna, la percentuale di conversione degli avversari da entrambi i lati è attorno metà della graduatoria di Lega.

Il difetto più grande che hanno, e quello che potrebbe finire per costare loro la qualificazione ai playoff, è la tendenza a piacersi molto, buttando via palloni per eccesso di creatività o per altri oscuri motivi.

Qui sprecano un ghiottissimo 2-contro-1, e non si capisce se l’errore sia nel passaggio di Chandler, mal calibrato, o nella svogliatezza di Harris che si fa passare il pallone tra le mani.

Chiariamoci: Denver ha giocatori giovani e di qualità, e le possibilità per andare ai playoff in un futuro prossimo non mancheranno. Certo è che, al netto dell’infortunio di Millsap che comunque hanno gestito senza grossi scossoni, mancare i playoff quest’anno sarebbe un vero peccato. Non intaccherebbe il percorso di crescita della squadra, ma potrebbe anche portare ad un cambio di rotta in panchina, visto che il rapporto tra Mike Malone con lo spogliatoio (e in particolare con Nikola Jokic, a volte panchinato negli ultimi quarti) non sembra dei migliori. Il tempo per rimediare c’è, ma le altre pretendenti per gli ultimi posti due posti al ballo di primavera corrono e non paiono volersi voltare indietro: da adesso in poi non sono più concessi errori.