Rimonta da record per Cleveland contro Washington, trascinata dalla quasi tripla doppia di James (33 punti, 14 assist e 9 rimbalzi). Denver vince in volata contro Minnesota e rilancia le proprie chance playoff a Ovest. Indiana batte Golden State e si prende il 5° posto a Est, Milwaukee perde in casa contro Brooklyn, travolta da 19 triple dei Nets
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Cleveland Cavaliers-Washington Wizards 119-115
Alla collezione di record, traguardi e primati di questa regular season, LeBron James ne aggiunge un altro, pregevole, che ancora mancava nella sua lista. Rientrato sul parquet nel quarto periodo a 7 minuti e 48 secondi dalla sirena, i suoi Cavaliers - già sotto di 14 punti - hanno immediatamente incassato un’altra tripla, sprofondando sul -17 a 7:30 dal termine. Vantaggio rimasto sostanzialmente invariato 90 secondi più tardi: 106-90 in favore degli Wizards. Da lì in poi però è stato un meraviglioso monologo di James, fatto di giocate in isolamento e assist per i compagni in un match chiuso con 33 punti, 14 assist e nove assist. Otto dei nove canestri realizzati nell’ultima metà di quarto portano in qualche modo la sua firma (che siano punti o assist). Il parziale negli ultimi otto minuti scarsi è 32-14 per i Cavs, decisivo nel fissare la più grande rimonta in un finale di partita della carriera di James. Mai infatti LeBron aveva recuperato 16 punti in soli 6 minuti (il suo record prima di questa notte era di 0-152 in situazione del genere). “Se sono sul parquet il mio obiettivo è quello di far sì che i canestri arrivino, senza star lì a guardare il punteggio. Questo è il mio modo di vedere le cose”, banalizza il n°23, che sa bene quanto sia importante la 10^ vittoria raccolta nelle ultime 11 gare, l’ottava in fila in casa e soprattutto quella del ritorno in panchina di coach Tyronn Lue, rimessosi in sesto dopo i problemi di salute che lo avevano costretto a fermarsi tre settimane fa. Dall’altra parte a Washington non basta una super prestazione di Wall, ancora da tenere in naftalina e da utilizzare con il contagocce. Per lui 28 punti e 14 assist, con tanto di pallone negli ultimi otto secondi di match per provare a vincerla. La sua penetrazione però non produce il risultato sperato e lo scarico in emergenza verso il perimetro porta soltanto alla sesta palla persa della sua gara: “Non è stato un errore, sapevo di dover trovare un compagno con lo scarico non appena la difesa sarebbe collassata su di me. Non ho sbagliato io, ma è merito della difesa che ha fatto una grande giocata”. Washington perde così la terza gara in fila, restando al 7° posto a Est, schiacciata tra Heat e Bucks. Non arrivare sesti, mai come questa volta, potrebbe essere un vantaggio: rimandare il più possibile l’incrocio con James ai playoff sembra essere la priorità di tutti.
Milwaukee Bucks-Brooklyn Nets 111-119
E in ragione di quanto detto poche righe fa, i Bucks dunque si disperano il giusto – ossia poco – della sconfitta incassata in casa contro Brooklyn, che li lascia fermi all’ottavo posto a Est. Difficile avere la meglio degli scatenati Nets, autori di 19 triple su 39 conclusioni (allungano a 14 la striscia di gare da record della franchigia con almeno dieci canestri dalla lunga distanza a referto), in una super serata per Allan Crabbe (25 punti, 5/10 dall’arco), D’Angelo Russell (22 con 4/10 da tre) e talmente tanto ispirata per Brooklyn da essere conclusa anche da Quincy Acy con ben tre triple a segno. Contro percentuali del genere puoi fare davvero poco, nonostante i cinque giocatori in doppia cifra in casa Bucks guidati dai 31 punti di Middleton (di cui si parla sempre troppo poco, soprattutto come realizzatore), uniti ai 19, dieci rimbalzi e sette assist di Antetokounmpo. “Io sto continuando a ripetere da settimane nello spogliatoio ‘Abbiamo un bel po’ di ragioni per continuare a giocare’. Dobbiamo farlo per costruire il nostro futuro, la nostra cultura come squadra e soprattutto per i nostri tifosi”, sottolinea coach Atkinson, approfittando della peggior partita con cui Milwaukee poteva festeggiare l’aritmetica certezza di andare ai playoff per la terza volta negli ultimi quattro anni. “La risposta sta nella nostra difesa, che non ha funzionato come avrebbe dovuto – sottolinea coach Prunty -, siamo stati poco consistenti nella difesa del ferro”.
Indiana Pacers-Golden State Warriors 126-106
Gli Warriors, arrivati a Indianapolis rinfrancati dagli ultimi tre successi in fila (soprattutto l’ultimo pesante conquistato contro OKC), vengono travolti dai Pacers che tirano con il 54% dal campo, raccolgono 13 rimbalzi d’attacco, forzano 16 palle perse degli avversari e vincono con 20 punti di scarto. La prima squadra a non incassare neanche una sconfitta in regular season da Golden State da quando Steve Kerr è diventato il capo allenatore quattro anni fa (all’andata finì 92-81 per Indiana alla Oracle Arena). Un risultato che non cambia nulla nella classifica degli Warriors - che sono e restano al 2° posto a Ovest -, ma che interrompe il ritmo e le certezze di una squadra che sarà senza Steph Curry anche nel primo turno playoff. “È solo un problema di prendersi cura di quello che facciamo. L’assenza di cura è il nostro vero tarlo”, sottolinea coach Kerr, preoccupato già da un po’ di questa tendenza dei suoi ragazzi di sentirsi già appagati. “Sono imbarazzato da questa prestazione. So bene che non contava nulla per noi, ma tra una settimana ci sono i playoff: è stata una prestazione patetica”. Alla sirena finale sono 27 punti per Durant, 16 per Thompson e davvero poco altro per Golden State, travolta dai 28 punti di un semi-perfetto Bojan Bogdanovic, che chiude con 11/13 al tiro e 6/7 dall’arco. Lui, Oladipo (21 punti), Collison, Sabonis e il tutto il resto del gruppo hanno dimostrato di poter essere una bella gatta da pelare per qualsiasi avversario. Con questo successo i Pacers consolidano il loro 5° posto a Est, mantenendo viva la speranza di agganciare il quarto (difficile, una gara e mezza di distanza con tre partite soltanto a disposizione). Durante la preseason Indiana era - dopo Atlanta – la peggior squadra della Eastern Conference, secondo le previsioni dei bookmakers. Qualcosa in questi sei mesi è cambiato.
Denver Nuggets-Minnesota Timberwolves 100-96
Jamal Murray segna 22 punti, i Nuggets chiudono con sei giocatori in doppia cifra, mentre al tap-in vincente, quello della staffa, lo segna Nikola Jokic (a un assist dalla tripla doppia con 16 punti e 14 rimbalzi). Denver vince così in volata la partita più importante della stagione dei Nuggets e inguaia senza mezzi termini Minnesota. Un successo che riporta all’ottavo posto la squadra del Colorado, con lo stesso identico record dei T’wolves e ancora una scontro diretto da giocare. I Pelicans sono soltanto a mezza gara di distanza, in quello che è un rush finale che coinvolge anche Spurs, Thunder e Jazz. Gli ospiti ancora senza Jimmy Butler (tornato in gruppo, ma non schierato da coach Thibodeau), non riescono ad andare oltre i 26 punti e 13 rimbalzi di Karl-Anthony Towns (la 65^ doppia doppia in stagione), uscito per falli a 100 secondi dalla sirena. Una presenza che avrebbe potuto impedire a Jokic di catturare il rimbalzo d’attacco negli ultimi istanti di gara, concedendo un extra-possesso determinante ai Nuggets, passati da +2 a +4 grazie a quel canestro. I T’wolves recriminano dunque per il mancato utilizzo dell’All-Star ex-Chicago, su cui coach Malone aveva scommesso prima della palla a due: “È in dubbio, ma sono certo che giocherà – aveva sottolineato -, mi ci gioco la casa”. Frasi poi smentite da quanto accaduto, per la gioia dello stesso allenatore dei Nuggets, già costretto a vedersela contro Jeff Teague, rientrato dopo il fastidio al ginocchio e autore di 15 punti. Una partita dura, pieni di scontri al limite del consentito in cui la fisicità inevitabilmente ha avuto la meglio in alcuni momenti (una gomitata di Millsap a Towns nel terzo quarto ad esempio, seguita poi da Murray volato a terra dopo uno scontro a rimbalzo con KAT). Scaramucce rispetto a quello che succederà l’11 aprile al Target Center.