L’allenatore di San Antonio non ha digerito il modo in cui i suoi ragazzi hanno giocato la prima sfida playoff contro i campioni in carica: "Pensavo fossimo pronti per affrontarli, invece eravamo impauriti come dei cerbiatti illuminati dai fari di un’auto"
Gregg Popovich è un allenatore unico nel suo genere. Soprattutto quando con il suo atteggiamento, più che con le parole, vuole lanciare un messaggio alla sua squadra. Gli Spurs avevano di certo preso in considerazione di poter perdere la prima gara playoff alla Oracle Arena contro i campioni in carica, ma non in questo modo. Quello che il coach dei texani tiene a sottolineare è proprio questo: “Pensavo che fossimo pronti sia a livello fisico che mentale, ma evidentemente mi sbagliavo. Come ho già sottolineato, eravamo impauriti come dei cerbiatti accecati dai fari di un’auto. La nostra difesa è stata inadeguata e incapace di seguire il piano partita già nel primo quarto; una pessima combinazione di mancata protezione del ferro e di precisione al tiro che non c’era”. Una superiorità schiacciante da parte di Golden State, soprattutto quando sul parquet coach Kerr ha potuto fare affidamento sul quintetto titolare studiato ad hoc per l’occasione. Nei 16 minuti con Iguodala-Thompson-Durant-Green-McGee sul parquet, gli Warriors hanno dominato la sfida chiudendo sul 40-24 di parziale, facendo la voce grossa a rimbalzo (neanche uno offensivo concesso agli Spurs in quel frangente) e tirando con il 64% dal campo. Un grattacapo irrisolvibile quindi, anche perché Dejounte Murray – uno dei pochi giocatori d’impatto tra gli ospiti – ha avuto grossi problemi di falli, prima e dopo la lavata di testa ricevuta in panchina da Popovich: “Ha ragione a giudicare così la nostra prestazione – racconta il rookie degli Spurs -, giù il cappello davanti agli Warriors: hanno fatto tutto quello che noi c’eravamo detti di produrre in campo. Non eravamo pronti mentalmente come gruppo e questo ci ha penalizzato. Quando alcuni giocatori hanno il focus giusto, ma il resto della squadra non riesce a stagli dietro, le cose poi non funzionano”. Per sapere come reagire alla sberla invece tocca chiedere a Manu Ginobili: “Dobbiamo compattarci, ricordare questa delusione, questo rammarico. Non vogliamo tornare in Texas sotto 0-2, ma sappiamo di essere sfavoriti sulla carta. Per questo per riuscirci dobbiamo andare ben oltre le nostre possibilità”.
Il siparietto per distrarre l’attenzione dai suoi giocatori
Una volta che il concetto è stato ribadito con forza, Popovich ha potuto inscenare uno dei suoi siparietti per far parlare d’altro. Per distrarre l’attenzione dai problemi della sua squadra. Giunto sul palco allestito per la conferenza stampa, l’allenatore dei nero-argento ha cominciato a guardare con aria interrogativa la bottiglia di Gatorade poggiata sul tavolo. “Mi state chiedendo di bere questa roba?”, ha chiesto infastidito rivolgendosi agli addetti NBA. “No, assolutamente”, è stata la pronta replica (tutti conoscono l’irascibilità di Popovich, soprattutto dopo una sconfitta mal digerita). “E allora per quale motivo l’avete sistemata qui? Quello che a me non piace di questa roba… troppo piena di zucchero e tutte quelle sostanze. Non voglio promuovere un prodotto del genere”. Una persona dello staff a quel punto era già pronta a intervenire per togliere la bottiglia, fermata però ancora una volta dall’allenatore degli Spurs: “Non hai senso dell’umorismo, vero? Solo perché ci hanno preso a calci nel sedere non vuol dire che non si possa scherzare lo stesso”. I cronisti in sala sorridono in maniera tirata perché sanno molto bene cosa li aspetta. Il Popovich furente è avversario complicato da afferrare, figurarsi quello che si lamenta già prima che le domande inizino. “Ok, cosa volete? Sono così stanco di queste conferenze”. Il primo giornalista temerario prova a tenersi sul generico; il modo migliore per evitare di farsi cogliere in errore: “Cosa non ha funzionato in questa sfida per gli Spurs?”. Ecco, così no. Con Popovich si resta sempre con un pugno di mosche in mano: “Che loro hanno giocato meglio di noi”. Stop, fine. Respinto con perdite. Il secondo allora cerca un pretesto tecnico per provare a ottenere di più: “Coach, lei è partito schierando Danny Green in marcatura su Durant. Come pensa siano andate le cose?”. Beh, meglio tenersi sul vago che non passare per studipi: “Tu hai visto la gara? Cosa ne pensi?”. “Che non ha funzionato”. “Bene, chiederemo a Danny di crescere di una decina di centimetri entro lunedì sera, chiedendogli di saltare più in alto e spostarsi più rapidamente, mentre a Durant diremo di non giocare così bene”. Colpito e affondato. “Ci sono altre domande?”. Nessuno alza la mano. In fondo niente nel mondo NBA fa più paura di Gregg Popovich arrabbiato.