Playoff NBA 2018, Golden State-New Orleans 121-116: torna Steph Curry e gli Warriors continuano a vincere
NBAGolden State riabbraccia Steph Curry dopo un mese d'assenza (28 punti in 27 minuti in uscita dalla panchina), si porta 2-0 nella serie contro New Orleans e fa un ulteriore passo avanti verso la quarta finale di Conference consecutiva
Non hai Sky? Guarda lo Sport che ami subito e senza contratto su NOW TV! Clicca qui
Golden State Warriors-New Orleans Pelicans 121-116
Dopo aver visto l’ennesima tripla in transizione di Step Curry andare dentro, la quinta della serata del n°30 che vale il +13 a due minuti dalla fine, Kevin Durant si toglie il paradenti e si avvia verso la panchina sorridente: “It’s over”. È finita. In realtà i Pelicans, come fatto per tutti e 48 i minuti continueranno a dare filo da torcere a New Orleans, costringendo lo stesso KD a tenersi la palla stretta tra le braccia in attesa della sirena finale, quando gli ospiti decidono di alzare bandiera bianca. Golden State si gode dunque il 2-0 nella serie; un successo molto più complicato rispetto al primo conquistato tre giorni fa. Coach Alvin Gentry infatti prepara bene la sfida, godendosi un quintetto che riesce più dell’episodio precedente a fare il suo dovere. Ventiquattro punti, otto rimbalzi e otto assist per Jrue Holiday, 22 con 12 assist e sette rimbalzi (e cinque recuperi) per Rajon Rondo, 18 con nove rimbalzi per Nikola Mirotic, 14 con quattro triple per E’Twaun Moore. Tutto perfetto, così come la partita di Anthony Davis, limitato soltanto in parte nel suo impatto dalla difesa di Green e/o Durant su di lui. Il n°23 dei Pelicans chiude con 25 punti, 15 rimbalzi e cinque assist, ma non riesce quasi mai a trovare quelle ricezioni in post che tanto fastidio danno a Golden State. Il piano difensivo dei campioni NBA è chiaro: assegnare nominalmente la marcatura di Rondo a Green, che resta così costantemente in area da battitore libero in aiuto e pronto al raddoppio (soprattutto su Davis). La point guard dei Pelicans ha metri di spazio sull’arco, mette tre canestri dalla lunga distanza su quattro tentativi, ma il piano partita degli Warriors non cambia e funziona. Anche perché Green gioca un’altra super partita sfiorando la tripla doppia con 20 punti, 12 assist e nove rimbalzi; vero motore di una squadra che perde Klay Thompson per strada (dieci punti con 4/20 al tiro e 2/11 dall’arco) dopo le splendide prestazioni precedenti e abile a imbeccare un Durant che si scuote nel finale e segna 15 dei suoi 29 punti totali nell’ultima frazione: “Draymond finora è stato fenomenale in ogni partita di questi playoff”, sottolinea coach Kerr a fine gara. Difficile dargli torto.
Il fattore Steph Curry: con lui +26, senza -21
Tutte le attenzioni (della difesa dei Pelicans e non solo) erano puntate su Steph Curry, al ritorno sul parquet dopo oltre un mese d’assenza a causa del problema al ginocchio. Steve Kerr preferisce farlo partire dalla panchina, riproponendo Nick Young da titolare e obbligando i Pelicans a seguire sul perimetro i tanti tiratori degli Warriors. Quando entra Steph però, la musica cambia. E decisamente in meglio: Curry è un tornado che si abbatte sulla partita nei 27 minuti in cui resta in campo. Alla sirena finale per il n°30 sono 28 punti con 8/15 al tiro e 5/10 dall’arco, dimostrando che la mira è rimasta quella dei tempi migliori. Con lui sul parquet coach Kerr può schierare a lungo il quintetto cosiddetto degli “Hamptons Five” (il posto in California dove Durant decise di firmare il contratto due estati fa con Golden State alla presenza degli altri quattro), composto da Curry-Thompson-Iguodala-Durant-Green. In una serie in cui agli Warriors non conviene schierare troppi lunghi, questo quintetto resta un’arma letale contro qualsiasi difesa. Più in generale, Curry è un problema per qualsiasi avversario: con lui in campo la produzione offensiva dell'attacco di Golden State è di 1.22 punti per possesso, senza di 0.67 punti. Stesso discorso se si guarda al plus/minus: dal +26 raccolto nel tempo in cui resta in campo, al -21 quando va a sedersi; frutto di un rating offensivo che passa da 130 punti su 100 possessi a 72.7. Una differenza abissale; quella che c’è tra il sole e la luna, tra l’essere 2-0 o 1-1 nella serie. E visti i risultati degli Warriors (22-2 ai playoff da quando è arrivato Durant), solitamente funziona.