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Presente e futuro nelle parole di Adam Silver: perché questa è l'epoca d'oro della NBA

NBA

Rating televisivi in crescita, pubblico al palazzetto con cifre record, contratti miliardari, mercati globali, il ruolo della tecnologia e dei social nella fruizione della NBA del futuro (molto prossimo). Il commissioner NBA svela i piani di espansione futuri della lega

Una stagione regolare appena andata in archivio, i playoff in corso e il rush verso il culmine stagionale – le finali sul palcoscenico globale e l’incoronazione della squadra campione – per celebrare l’ennesima annata di grandi successi. È un bel momento per essere il commissioner della NBA e Adam Silver – dal 2014 il n°1 della lega di pallacanestro più famosa al mondo – non fa niente per nasconderlo. In una lunga intervista concessa a Strategy+Business, l’erede di David Stern (a lungo suo delfino) ha tratteggiato scenari presenti e futuri della sua lega, muovendosi a 360 gradi su temi e aree di grandissimo interesse, fondamentali nel capire la strategia di sviluppo di una lega sportiva che – in controtendenza a molte delle realtà concorrenziali – sta godendo di un successo forse senza precedenti. Le visioni di Silver sono, a tratti, illuminanti, come quando si riferisce alla NBA non come a una lega sportiva ma come “a un brand di lifestyle, perché sono certo che anche Apple non avrebbe mai immaginato, producendo computer, di diventare famosa per un telefono”. Ecco allora che accanto al monolito NBA nascono e si affermano tutta una serie di realtà parallele, dalla lega femminile (WNBA) a quella di sviluppo (G League), dal servizio di streaming (NBA League Pass) al primo esempio di lega nel mondo dell’e-sport (NBA 2K League), mentre i protagonisti principali del business – i giocatori che scendono in campo – sono sempre più personalità pubbliche a 360 gradi, con una grande presenza social, opinioni ascoltate e un seguito sempre più enorme. “Il nostro sport ha un vantaggio [rispetto a hockey e football, ad esempio, che vedono protezioni, maschere e caschi come parti integranti delle proprie divise, ndr]: i nostri giocatori sono sempre totalmente visibili ai nostri tifosi. Sono facilmente riconoscibili, e in più non hanno problemi a esprimere liberamente le proprie idee – anche politiche – così come i loro gusti, che siano in tema di vestiti o di musica. Nella nostra lega i giocatori sono le star, e noi li trattiamo come nostri partner”, racconta Silver. Questa familiarità si traduce in un grande seguito televisivo, in controtendenza ai trend USA degli altri grandi sport professionistici: la NBA ha visto un incremento del 17% sui rating in tv nazionale, che hanno fatto della stagione 2017-18 la più vista da quella 2012-13. Analogo successo televisivo è stato riscontrato anche sui mercati locali, dove 17 squadre su 30 hanno fatto registrare aumenti di ascolti. A chi fa notare che la tv è un mezzo destinato a essere presto superato nella fruizione degli eventi sportivi, Silver risponde pronto: “I network tv sono una delle nostre principali fonti di reddito [24 miliardi di dollari per 9 anni, l’accordo televisivo in essere, ndr] ma proprio assieme a loro – in joint venture – monitoriamo l’impatto della tecnologia negli stili di consumo dei nostri tifosi. Non è un caso che NBA Digital, la nostra sezione appositamente dedicata alle nuove frontiere di comunicazione, nasce da un joint venture tra NBA e Turner”. L’osservazione che segue solitamente quella sui successi nella fruizione televisiva di un evento sportivo è relativa alla possibilità di svuotare le arene, lasciando i tifosi a casa sul proprio divano, invece che alla partita. Silver risponde citando “il quarto anno consecutivo in cui abbiamo stabilito il record di presenze complessive al palazzo (superata la barriera dei 22 milioni di tifosi sugli spalti), il record di pubblico medio a ogni partita (mancano 13 persone per averne 18.000 di media a ogni palla a due) e il record di tutti-esauriti, che quest’anno sono stati ben 741. Le nostre arene si sono riempite al 95% o più della propria capienza: il dato non è mai stato così alto”.

In tv come all’arena

L’equilibrio tra realtà e interessi in apparenza diversi quando non opposti – come nel caso della fruizione diretta di un evento sportivo o di quella mediata da un mezzo di comunicazione (tv o digitale) – è un esercizio che vede impegnato Silver quotidianamente: “Abbiamo ad esempio osservato che una nostra partita dura in media 2 ore e 15 minuti, e che i nostri tifosi a casa ne seguono in media 50 minuti. Ci sono dei momenti in cui sono più tentati ad abbandonare la visione, e questi sono ovviamente i tempi morti, intervallo e time out. Stiamo allora testando con i nostri partner televisivi fasce pubblicitarie da mandare in split screen senza abbandonare la realtà del campo, una sorta di compromesso che proponiamo ai nostri marketing partner che ci comprano gli spot: loro rinunciano alla piena e totale attenzione del nostro pubblico a casa in cambio della garanzia che questi restino connessi all’evento, senza cambiare canale o spegnere addirittura la tv”. Sempre per migliorare l’esperienza del telespettatore, Silver ricorda le parole di Bob Johnson, ex proprietario di Charlotte (pre-Michael Jordan) nonché fondatore del network tv BET: “Diceva sempre che vedere una gara NBA in tv rispetto al palazzo era come vedere un vecchio film muto. Dalle prime file si possono sentire gli arbitri parlare con i giocatori, gli allenatori rivolgersi ai propri campioni, gli stessi giocatori parlare tra di loro. Una nostra sfida è rendere tutto questo accessibile anche a chi ci guarda da casa”. E per chi invece non è a casa a godersi la partita, ma direttamente a bordocampo, la nuova frontiera dell’esperienza sportiva ha a che vedere con un uso sempre più massiccio della tecnologia: “C’è stato un momento in cui le squadre erano riluttanti a offrire una rete wi-fi di straordinaria potenza all’interno del palazzetto, con l’idea che i tifosi avrebbero dovuto concentrarsi sull’azione e non sui propri smartphone. Oggi la presenza di un wi-fi di altissimo livello è fondamentale come l’ossigeno: il pubblico vuole utilizzare i propri smartphone mentre guarda la partita”, conclude Silver.

Un gioco globale

Un altro ambito del business NBA su cui Silver mette giustamente l’accento è quello che riguarda l’espansione della pallacanestro come sport e della lega come brand globale. L’espansione su nuovi mercati parte dalle attività così dette grassroots, sul territorio, ma riguarda ovviamente anche la visibilità televisiva del prodotto NBA: “Abbiamo aperto accademie dove insegniamo il gioco e ci curiamo degli atleti secondo standard NBA in tante parti del mondo: tre in Cina, una appena inaugurata in India, altre in Africa e Australia. Stiamo appena grattando la superficie: il nostro brand su realtà come quelle cinese e indiane viene percepito in maniera più ampia rispetto a quello di una lega sportiva, ma l’identificazione con un proprio campione – com’è successo con Yao Ming in Cina – aiuta molto”. Ben conscio che “il mercato USA è meno del 5% di quello della popolazione globale”, Silver è allora disposto a sperimentare per cercare di ampliare la popolarità della NBA in giro per il mondo: “Non vedo perché non dovremmo chiedere a ogni squadra di giocare una volta al mese una gara pomeridiano, in modo che sia in prima serata in Europa. E magari una partita di weekend al mattino, in modo che in Cina possano seguirla in prime time”, afferma.

Tante scommesse vinte – e una da vincere

L’ultimo tema trattato dal commissioner riguarda un’ulteriore frontiera fino a oggi tabù nel mondo degli sport americani, quello delle scommesse. L’approccio di Silver è sicuramente laico e ancora più sicuramente da business man scafato: “Si stima che il giro di scommesse sportive illegali negli Stati Uniti oggi sia tra i 100 e i 400 miliardi di dollari: è ovvio che stiamo parlando di ricavi enormi che avrebbe senso regolamentare e monitorare, nell’interesse di chi produce i contenuti su cui queste scommesse vengono generate. C’è poi un vantaggio anche nello stimolare un nuovo tipo di coinvolgimento verso lo sport: oggi la gran parte delle scommesse sono cosiddette in-play, piazzate cioè nel corso dell’evento stesso: quanti punti riuscirà a segnare una squadra in un quarto? Quanti ne segnerà questo particolare giocatore? Quale sarà il totale delle triple realizzate a fine gara? Se regolamentiamo questo tipo di attività, aumentiamo anche il grado di coinvolgimento dei tifosi all’evento”. E ci guadagnano tutti – che alla fine sembra l’obiettivo ultimo. Almeno nella visione (lungimirante) di Adam Silver.