L’azzurro n°18 dei Sixers chiude con un intero secondo tempo in panchina una stagione che ha rilanciato le sue ambizioni, lo ha riportato al centro della scena, togliendosi diverse soddisfazioni. Merito della “cura Philadelphia”, l’ambiente ideale dove Belinelli spera di continuare a giocare anche il prossimo anno, anche se la situazione è ancora tutta da definire
La scelta non è nelle sue mani, ma dipendesse da lui restare a Philadelphia sarebbe la decisione più scontata. Non fa pretattica Marco Belinelli, né vuole porre un filtro o veti tra sé e la franchigia che ne ha rilanciato la carriera e le ambizioni. L’azzurro vuole continuare a giocare ai Sixers, convinto che sia la scelta più ovvia per il suo rendimento e al tempo stesso stimolato da una squadra che ha fatto vedere soltanto la superficie della quantità di talento a disposizione con coach Brown. Con Philadelphia si può vincere, chiudere al meglio le ultime stagioni NBA e magari mettersi in tasca anche qualche milione di dollari. Per questo da parte di Belinelli non avrebbe senso nascondere il suo entusiasmo e la sua riconoscenza per un gruppo di giocatori che l’ha accolto nel migliore dei modi, consapevole del valore aggiunto portato in spogliatoio dalla presenza del n°18. Il messaggio lanciato sui social lascia pochi dubbi: “Philly, ho creduto nel “Process” sin dal primo giorno e ho dato a questa squadra tutto il mio impegno fino all’ultimo secondo trascorso sul parquet. Mi avete donato il vostro amore incondizionato e il supporto. Non è stata la conclusione di stagione che volevamo, ma sono certo che questo è soltanto l’inizio per i Sixers. È giunta l’ora per me di tornare a casa e riposare un po’… Grazie Philadelphia, grazie ai Sixers, questo è il modo di giocare che amo. Spero di poter tornare e giocare ancora indossando questa maglia”. Già dal lungo elenco di risposte si percepisce l’affetto dei tifosi, che come Marco sognano un suo ritorno in Pennsylvania. Al termine delle interviste di fine stagione, in cui il lungo carosello di giocatori e allenatori è stato attentamente passato al vaglio dai giornalisti, Belinelli è sceso dal podio predisposto per le interviste con la faccia un po’ corrucciata, guardando verso i cronisti di Philadelphia. Derek Bodner, giornalista di The Athletic, ha raccontato quel momento: “Ci vediamo la prossima stagione”, la frase dell’azzurro, seguita da una pausa. “Forse”.
Un super finale di stagione ai Sixers (playoff inclusi)
Marco Belinelli ha concluso la sua stagione restando seduto per tutto il secondo tempo di gara-5, incitando dalla panchina quei compagni che in un’altalena di emozioni hanno perso l’ultima partita dell’anno, dimostrando ancora una volta tutti i limiti dati dall’inesperienza di un gruppo alla prima avventura in post-season. Questi Sixers infatti danno la sensazione di aver ancora bisogno di doversi sporcare le mani, prima di poter spiccare definitivamente il volo. I presupposti però ci sono tutti, compreso il contributo di un Belinelli rinato negli ultimi tre mesi scarsi a Philadelphia; rilanciatosi dopo le non fortunate esperienze con Sacramento, Charlotte e Atlanta. Se si fa una ricerca via Twitter per vedere chi più di recente ha scritto “Marco Belinelli” (andavo a caccia di dichiarazioni e parole che ancora nessuno ha raccolto), troverete un lungo elenco di tifosi Sixers che ringraziano lui e i suoi compagni per quanto fatto; il modo migliore per raccontare il passo in avanti fatto da una squadra che ha ritrovato gioia, canestri e soprattutto vittorie. Con Belinelli poi è stato amore a prima vista reciproco, visto che l’azzurro ci ha messo letteralmente poche ore a trovare il suo spazio in squadra (esordio da sogno con 17 punti contro Miami), cresciuto di pari passo con la sua condizione e convinzione. A 32 anni non era scontato riuscire a vivere una seconda (o forse terza) giovinezza, in un momento così delicato della sua carriera NBA, a cavallo di una scadenza che potrebbe segnare l’inizio della fine della sua avventura nella lega. Belinelli infatti gioca da 11 anni in NBA, prima tenuto sul fondo della panchina agli inizi da Warriors e Raptors, poi titolare a New Orleans e uomo chiave a gara in corso da Chicago e San Antonio. Dopo il titolo NBA e quello nella gara del tiro da tre punti, conquistati facendo sacrifici non solo in palestra, ma anche a livello salariale, Belinelli ha firmato un triennale con i Kings a cui non poteva rinunciare. Adesso però, con la scadenza fissata al 30 giugno, l’azzurro spera di poter passare di nuovo all’incasso e di non dover accontentarsi di un contratto da veterano. Philadelphia sarebbe la scelta più naturale, ma l’estate che si prospetta davanti ai Sixers è tutt’altro che scontata.
Perché un giocatore come Belinelli serve ai Sixers?
Per l’esperienza, sarebbe la risposta più banale e forse la più vera, ma non terrebbe conto delle garanzie date dallo stile di gioco di Belinelli. Il n°18 dei Sixers da specialista qual è nel tiro da tre punti apre il campo alle penetrazioni di Simmons e al gioco in post di Embiid, impegna di continuo la difesa sul lato debole ed è abile a rubare canestri con tagli e movimenti, frutto della profonda conoscenza del sistema di coach Brown. Belinelli ha dimostrato all’occorrenza di poter togliere le castagne dal fuoco (il suo allenatore ha più volte sottolineato: “Non ho mai allenato un giocatore bravo come lui nel segnare canestri fuori equilibrio”), freddo anche ai playoff (se il suo tiro in gara-3 contro Boston fosse arrivato qualche centimetro in meno…) e continuo nella resa. Il suo ruolo iniziale era quello di naturale sostituto di JJ Redick, ma con il tempo la convivenza dei due sul parquet è risultata funzionale nonostante la taglia ridotta in difesa: nelle dieci gare playoff il Net Rating con i due sul parquet è stato +10.1, frutto dei 119.3 punti raccolti su 100 possessi in attacco. Quando Belinelli ha calcato il campo, i Sixers si sono spesso e volentieri trasformati in una macchina da canestri: è suo il miglior rating offensivo tra i giocatori più utilizzati ai playoff (109.9), che scende a 102 quando va a sedersi in panchina. Alla funzionalità in attacco e complementarietà con Redick, si aggiunge anche un’altra variante non da poco: la questione contratto. Redick infatti la scorsa estate ha firmato un annuale da 23 milioni di dollari e dovrà discutere la sua posizione nelle prossime settimane; proprio come Belinelli. La differenza però potrebbe stare proprio nell’entità della richiesta, che farebbe pendere a quel punto la scelta in favore dell’azzurro (certamente meno costoso del giocatore ex Clippers). Philadelphia ha comunque ampio margine di manovra (soltanto 70 milioni di dollari in contratti garantiti, con le team option da 1.6 milioni di McConnell e Holmes). Una disponibilità che lascia spazio anche a sogni legati a colpi durante la free agency.
Perché rischia di non poter restare a Philadelphia?
La certezza è che Belinelli sarà costretto ad aspettare più di molti colleghi, consapevoli che diverse tessere dovranno trovare la loro collocazione prima che le squadre NBA guardino a lui. Con giocatori del calibro di LeBron James, Paul George, DeMarcus Cousins e tanti altri a caccia di un nuovo contratto multimilionario, gli equilibri nella lega potrebbero cambiare per l’ennesima volta in pochi mesi. Dopo l’eventuale terremoto, Belinelli dovrà poi trovare la sua collocazione migliore, consapevole che la stessa Philadelphia resta una delle possibili destinazioni future del n°23 dei Cavaliers. Dovesse arrivare James, i Sixers sarebbero disposti a sacrificare non solo Belinelli, ma anche qualche pezzo del quintetto come Robert Covington o Dario Saric pur di garantirsi la presenza in squadra di LeBron e quello scenario costringerebbe l’azzurro a cercare una nuova destinazione. Se invece non arrivassero scossoni di questa entità, le recriminazioni tecniche dei Sixers potrebbero essere eventualmente quelle legate alla resa difensiva di Belinelli. Nella serie contro Boston il suo impatto è andato via via scemando anche perché coach Stevens, sapiente artefice di questo capolavoro chiamato Celtics, ha messo a nudo le sue difficoltà a protezione del ferro, costringendolo a giocare in difesa contro Marcus Smart che spalle a canestro ha spazzato via sia Belinelli che Redick. In attacco invece Boston ha tolto tutte le ricezioni e i canestri facili, riducendo materialmente le possibilità di Belinelli di tentare (prima ancora che di segnare) dei tiri. Limiti che conoscono ormai tutti in NBA, ma che difficilmente faranno da deterrente. L'unico vero intoppo potrebbe dunque essere la disponibilità salariale dei Sixers, che qualora dovessero sparare troppo basso potrebbero mettere Marco di fronte all'ennesimo bivio della sua carriera: rinunciare a qualcosa a livello economico per restare in un ambiente disegnato alla perfezione per lui, oppure cambiare aria e monetizzare per l'ultima volta con un ricco contratto NBA. Interrogativi pieni zeppi di periodi ipotetici, che soltanto il trascorrere dei prossimi due mesi potranno rendere certezze.