A margine della stretta di mano che ha sorpreso il mondo è spuntato (come spesso accade quando si parla di Corea del Nord) anche Dennis Rodman, amico di Kim e una delle personalità più impegnate nel portare a termine questo lungo processo di disgelo con gli USA
Tutti gli occhi nella notte erano puntati sull’Air Force One di Donald Trump, in arrivo dopo un lungo tour e pronto al primo storico incontro con Kim Jong Un, il presidente nordcoreano con cui il disgelo e la fine di una crisi diplomatica durata decenni sembra ormai a un passo. Trump era atteso a Singapore, ma poche ore prima del suo arrivo nel sud-est asiatico ci aveva già pensato un altro personaggio noto negli USA a fare gli onori di casa. Dennis Rodman infatti è spuntato fuori dalla zona della raccolta bagagli dell’aeroporto di Changi attorno alla mezzanotte ora locale, con l’incontro fissato tra i due presidente alle nove del mattino seguente. Circondato subito dai reporter (anche loro appena sbarcati), ha raccontato di non essere sicuro di riuscire a incrociare Kim durante la sua visita a Singapore. L’ex stella dei Bulls è ormai da anni il cittadino americano più vicino al leader nordcoreano e più volte si è detto disposto a fare tutto il necessario per riavvicinare “i suoi due amici Trump e Kim”. Parole a cui poi sono seguite quelle commosse dopo l’incontro storico delle ultime ore, in cui Rodman ha ricordato che già cinque anni fa durante le sue visite in Corea del Nord aveva constatato l’apertura per una riappacificazione: “Io ho cercato di dirlo a Obama, ma lui non mi ha ascoltato. Ero andato da lui a chiedergli un parere, a portare un messaggio, ma lui mi ha cacciato via. Ma questo non mi ha fermato, sono tornato lì più volte, perché avevo fiducia in Kim e sapevo che quella porta prima o poi si sarebbe aperta”. Una commozione reale, con tanto di pianto in diretta sulla CNN con la confessione delle minacce di morte ricevute negli ultimi anni da parte di tutti quelli che erano contro questa trattativa e questo nuovo fronte diplomatico: “Quando sono tornato a casa mi sono dovuto nascondere per 30 giorni, ma poi sono riuscito a tornate a casa mia. Ho tenuto la testa alta, sapevo che le cose sarebbero cambiate ed ero solo contro tutti mentre lo sostenevo. Nessuno voleva darmi retta, ma alla fine ho avuto ragione io”. Proprio come accadeva sul parquet 20 anni fa: in pochi gli avrebbero dato credito, ma spesso alla fine a vincere era lui.