Smaltita la sorpresa per la scelta di DeMarcus Cousins, è tempo di analisi e considerazioni: ecco perché il nuovo centro dei Golden State Warriors si è ritrovato con poche opzioni sul tavolo e perché per la squadra rappresenta una necessaria iniezione di pepe all'interno dello spogliatoio
Con una mossa che ha preso di sorpresa tutta la NBA, DeMarcus Cousins è ora un giocatore dei Golden State Warriors. Sembra incredibile anche solo a leggerlo, ma è la realtà: “Boogie” ha deciso che l’opzione migliore per la sua carriera fosse unirsi per un anno con i campioni in carica, recuperare con calma dall’infortunio che ha messo fine alla sua ultima stagione a New Orleans e riacquistare valore agli occhi delle altre 29 squadre NBA, magari vincendo anche un titolo nel frattempo. Alla base della scelta di Cousins ci sono una lunga serie di congiunzioni molto particolari: la prima, e più importante, è la rottura del tendine d’Achille subita alla fine dello scorso gennaio, un infortunio dal quale pochi giocatori hanno recuperato al 100% – e nessuno di questi era un centro della stazza di “Boogie”. Già solo questo ha raffreddato moltissimo il mercato delle squadre a lui interessate, preoccupate delle sue condizioni fisiche e per questo poco inclini a concedergli un accordo più lungo di un solo anno, indipendentemente dalla cifra offerta. Bisogna poi aggiungere la particolarità di questo mercato dei free agent, in cui lo spazio salariale è poco e le squadre che lo hanno sono tutte poco interessate – vuoi perché stanno ricostruendo, perché hanno altri obiettivi o perché lo hanno già avuto (come i Sacramento Kings). Infine, anche la sua stessa squadra non aveva particolare interesse a impegnarsi a lungo, dato che i Pelicans sono riusciti a vincere una serie di playoff senza di lui con la coppia Anthony Davis-Nikola Mirotic – e sono riusciti a mettere le mani su un giocatore come Julius Randle a prezzi tutto sommato contenuti, rendendo improbabile l’ipotesi di una sign & trade con Jusuf Nurkic come circolato nelle ultime ore. Mettendo tutti i pezzi assieme, si capisce perché Cousins ha deciso di risolvere questo nodo di Gordio tirando un colpo di spada alla NBA e unendosi ai Golden State Warriors per soli 5.3 milioni di dollari, con quella che lui stesso ha definito come “il mio scacco matto alla lega”. Adesso la vera domanda diventa: come si inserisce Cousins all’interno dei campioni in carica?
Un centro tutto nuovo (e un carattere fumantino)
Da quando i Golden State Warriors sono diventati la squadra che conosciamo, non hanno mai avuto nella posizione di centro un giocatore ingombrante a livello di mole, di personalità e di possessi come Cousins. Anzi, gli Warriors sono proprio la squadra che andando nella direzione tecnica opposta ha reso i centri di stazza sempre meno rilevanti in NBA, poiché incapaci di reggere il passo con la velocità di movimento e di esecuzione dei Dubs. Da Andrew Bogut a Zaza Pachulia passando per i vari David West, JaVale McGee e Jordan Bell, gli Warriors hanno utilizzato varie tipologie di lunghi per completare il proprio quintetto base, ma tutti avevano in comune la caratteristica di non richiedere palloni per loro stessi, accontentandosi di fare il “lavoro sporco” per le stelle perimetrali portando blocchi, andando forte a rimbalzo, muovendo il pallone o chiudendo le azioni al ferro. Inserire uno come Cousins non sarà semplice, perché a livello fisico non è un giocatore abituato a giocare a quei ritmi (per quanto abbia giocato per Alvin Gentry nell’ultima stagione) e perché a livello mentale non è esattamente conosciuto come un lavoratore straordinario, costeggiando larghi tratti di partita se non coinvolto emotivamente nella gara o uscendone con le sue famose intemperanze nei confronti di arbitri, avversari o tifosi. Il tutto senza considerare i problemi caratteriali che uno come Cousins porta in uno spogliatoio in cui tutto manca tranne gli ego: come funzionerà la convivenza con i caratteri fumantini di Draymond Green e Kevin Durant quando Cousins sbaglierà una rotazione, salterà un allenamento o si comporterà in maniera “non Warriorsiana”?
La necessità di tenere alta la tensione in campo e fuori
Quella di Golden State è una scommessa calcolata sulla propria cultura di squadra, puntando sulla convinzione che il proprio spogliatoio sia in grado di ammansire qualsiasi carattere difficile e rendere produttivo qualsiasi giocatore (d’altronde, sono gli stessi che hanno fatto vincere più titoli NBA a JaVale McGee e Nick Young). Anzi, per certi versi probabilmente i Dubs hanno bisogno di mettere un po’ di “pepe” in squadra per tenere alta la tensione: dopo la vittoria del titolo, coach Steve Kerr aveva sottolineato come uno degli obiettivi per questa stagione fosse aggiungere giocatori che non avevano ancora vinto nulla per aumentare la fame e la concentrazione, senza prendere la regular season come una vacanza come ogni tanto è successo lo scorso anno. L’inserimento tecnico di Cousins, poi, aggiunge quelle novità tecnico-tattiche in grado di rendere più interessanti le partite alla ricerca della giusta chimica, e grazie alla sua combinazione di doti di passaggio, di tiro dalla lunga distanza e di presenza in post basso, c’è da scommettere che ci saranno momenti di grande pallacanestro con quei cinque All-Star tutti in campo.
Cousins ricoprirebbe un po’ il ruolo di un “David West supercharged”, piazzandosi ai gomiti o in post basso per smistare in favore dei compagni che si muovono attorno a lui. Oppure Cousins potrebbe fungere da partner di Steph Curry o di Kevin Durant nei pick and roll e punendo qualsiasi tentativo di cambio sistematico sui blocchi – visto che sono ben pochi i giocatori in grado di sostenerne la potenza e l’agilità in area già tra i lunghi, figuriamoci tra gli esterni. In difesa, poi, quando accende il cervello e si sente coinvolto “Boogie” è in grado di essere un grande difensore, utilizzando le mani velocissime per provocare recuperi difensivi per azionare il contropiede e fagocitando qualsiasi rimbalzo a disposizione (uno dei punti deboli degli Warriors il prossimo anno). Non sarà un centro in grado di cambiare sui piccoli data la mole che deve spostare, e dopo la lesione al tendine d’Achille andrà anche peggio da quel punto di vista, ma se in posizione sotto canestro è un blocco inamovibile per chiunque, rendendo difficile tirare contro di lui. Per quanti dubbi si possano avere, Cousins rimane comunque uno dei primi centri di tutta la NBA, nonché uno con più skills che si siano mai visti nella lega.
Il coltello dalla parte del manico e la competitività della lega
Se le cose dovessero andare male, in ogni caso, gli Warriors tengono il coltello dalla parte del manico nei confronti di Cousins: Golden State non ha bisogno di lui per poter vincere un altro titolo e non ha investito su di lui una quantità di denaro enorme né ora né in futuro, rendendo l’eventuale taglio sostanzialmente ininfluente. Il lungo, al contrario, ha tutto da perdere se dovesse essere tagliato per motivi caratteriali, aumentando ancora di più i dubbi che il resto della lega ha dimostrato di avere su di lui lasciandolo praticamente senza offerte in questo mercato. Una cosa è certa: gli Warriors hanno avuto bisogno di una lunga serie di congiunzioni particolari per arrivare a Cousins, ma non hanno fatto nulla contro le regole della NBA. E se Boogie è ora un loro giocatore è per la cultura di squadra vincente che sono riusciti a creare nel corso di questi anni, rendendosi attraenti per tutti i giocatori – sia per i propri (visto che Cousins è arrivato grazie allo sconto concesso da Kevin Durant) che per quelli fuori (disposti a sacrificare milioni di dollari pur di giocare nella Baia). Le altre 29 squadre NBA – e le rispettive tifoserie – non possono però lamentarsi se Cousins ha firmato per gli Warriors, visto che praticamente tutti avrebbero potuto offrire condizioni contrattuali migliori rispetto ai 5.3 milioni a disposizione dei Dubs con la Mid-Level Exception per le squadre in luxury tax (e tutti potranno offrire di più, visto che il prossimo anno Golden State potrà dargli al massimo 6.4 milioni). Non fidarsi delle sue condizioni fisiche o del suo carattere è perfettamente legittimo, ma come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso: la competitività della NBA non è in bilico perché Cousins ha scelto di andare a Golden State, ma perché Golden State nel rispetto di tutte le regole è stata di gran lunga migliore rispetto a tutte le sue avversarie. Sta alle altre 29 il compito di raggiungerla.