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Hall of Fame 2018: Ray Allen fa pace con i Celtics, Steve Nash e molto altro

NBA

Premi, commozione e discorsi che hanno lasciato il segno: non è mancato nulla nella serata in cui sono stati introdotti nella Hall of Fame campioni del calibro di Jason Kidd, Grant Hill e Steve Nash. L'occasione migliore, come nel caso di Ray Allen, per chiudere polemiche che vanno avanti da anni

IL TALENTO CRISTALLINO E IMPOSSIBILE DI GRANT HILL

C’è chi ha pianto prima di salire su quel palco, chi ha fatto di tutto per mettere di buon umore la platea e chi ha ricacciato indietro l’evidente commozione. L’ingresso nella Hall Of Fame del basket in fondo, non è roba di tutti i giorni, neanche per campioni del livello di Jason Kidd, Steve Nash, Grant Hill e Ray Allen. Sono loro i nomi da copertina, i volti noti di una cerimonia che ha coinvolto – secondo la definizione che gli stessi partecipanti hanno dato – delle leggende che hanno distrutto negli anni “record e barriere allo stesso modo”. Rick Welts, ad esempio. L’attuale presidente degli Warriors che nel 2011 fu il primo GM a dichiarare la propria omosessualità, è stato protagonista di uno dei momenti più toccanti della serata, quando ha scelto di leggere una lettera rivolta al bambino di dieci anni che era stato tanto tempo fa. Un passaggio toccante in cui ha sottolineato come quel ragazzo avrebbe raggiunto qualche decade dopo il lavoro dei suoi sogni. Una conquista enorme, anche se la cosa più importante della sua vita resta l’essere stato in grado di raccontare a tutti (e prima di ogni altro) la propria omosessualità. “È un onore salire su questo palco insieme a voi”, commenta Steve Nash, guardando con rispetto e commozione Jason Kidd e Maurice Cheeks; generazioni di point guard a confronto che hanno cambiato la concezione del Gioco. Eccellenze nel loro ruolo sul parquet: “Non avrei mai immaginato di potermi ritrovare un giorno su questo palco”, racconta il canadese. “Non è necessario essere il prescelto: se si ha pazienza, le asperità possono diventare dei trampolini”. Wayne Gretzky, stella dell’hockey e uno degli sportivi simbolo del Canada, ha introdotto l’ex giocatore dei Phoenix Suns raccontato quanto la sua capacità di imporsi nel mondo NBA abbia inciso sulla percezione di un’intera nazione: “Da Vancouver a Newfoundland, ha dato a tutti la possibilità di credere che chiunque potesse un giorno mettere piede su un parquet NBA”. Traguardi prestigiosi tanto quanto i due titoli da MVP.

Ray Allen e le parole al miele sui Celtics: "Aspetto Pierce e Garnett nella HoF"

Discorso a parte invece va fatto per Ray Allen; vincitore di due titoli NBA e miglior tiratore da tre punti nella storia della Lega (in attesa che Steph Curry raggiunga e superi i suoi numeri da record). Nella settimana in cui sono nuovamente emerse tutte le tensioni con i suoi ex compagni ai Celtics – che mai gli hanno perdonato la scelta nel 2012 di accasarsi con gli acerrimi rivali di Miami, con cui ha bissato il successo conquistato in biancoverde – Allen ha deciso di tenersi al di fuori della mischia, ringraziando Danny Ainge di aver scelto di assemblare i Big Three nel 2008 e sottolineando come lui sia solo l’apripista per gli ingressi nella Hall of Fame di Kevin Garnett e Paul Pierce. “Al 12esimo anno della mia carriera, mi sono ritrovato al fianco di due Hall of Famer come Kevin e Paul, una cosa che non avrei mai immaginato potesse diventare realtà. Non credo nel talento: se sono qui è perché ho lavorato duro in tutta la mia vita. Senza tutto quello sforzo, nessuno in questa stanza avrebbe imparato a conoscermi – eccetto la mia famiglia. Per questo dico a tutti i ragazzi che ci stanno guardando in tutto il mondo e che magari sognano di essere qui un giorno, di partire dal duro lavoro: quella è la base da cui partire per godersi la magica cavalcata che la vita riserva a ognuno di noi”. Parole che hanno lasciato il segno, anche nelle repliche dei suoi ex compagni, solitamente molto duri nei giudizi contro l'ex compagno: “Non ho nessun problema con Ray – commenta Pierce -, tutto ciò che sta ottenendo lo ha meritato grazie a una fantastica carriera. Gli faccio le mie congratulazioni: il suo nome resterà per sempre nella HoF e gli faccio i miei auguri”. Garnett invece ha citato le parole di Doc Rivers sul suo profilo Twitter, inserendo nelle foto celebrative anche Allen (spesso cancellato dalle celebrazioni biancoverdi). "Ubuntu", un urlo di battaglia che mai come questa volta sembra poter riunire quell'incredibile gruppo di campioni.

Doris Burke ringrazia LeBron e Kerr

Non solo giocatori, allenatori e dirigenti, ma anche giornalisti e fotografi tra le personalità premiate a Springfield. Nomi di spicco come quello di Doris Burke, volto noto di ESPN e prima donna a ricoprire il ruolo di analyst NBA in un mondo fatto esclusivamente da uomini. Onorata di aver dato un significativo contributo al gioco del basket, la giornalista ha sottolineato: “Ringrazio giocatori e allenatori della Lega – Rick Carlisle, LeBron James, Steve Kerr, Chris Paul e tanti altri. Le vostre parole pronunciate in privato, le dichiarazioni pubbliche per supportare il mio lavoro sono state fonte di ispirazione e di forza, oltre che il motivo per cui sono riuscita a portare avanti la mia collaborazione con ESPN. Oltre a lei anche Andy Bernstein, storico fotografo NBA da oltre 30 anni, con base a Los Angeles ma diventato con gli anni riferimento nel racconto delle stagioni non solo di Lakers e Clippers. Una carriera al seguito anche della nazionale USA, di cui ha fotografato i trionfi del Dream Team del 1992, bissati poi alle Olimpiadi sia nel 1996 che nel 2000; alcune delle selezioni più forti di tutti i tempi. Soprattutto la prima, quella di Barcellona guidata da Michael Jordan, citato anche dallo storico GM dei Bulls Thorn che salito sul palco ha detto: "Grazie Michael, soprattutto per la tua amicizia. So benissimo che non avrei mai avuto una pagina Wikipedia dedicata a me, se tu non fossi esistito". Come dargli torto.