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NBA, Ghemon: “Vi racconto le mie finali a Cleveland e quell'incontro con Spike Lee”

NBA

Mauro Bevacqua

Il musicista reduce dai successi di "Mezzanotte" ha scoperto la NBA negli anni '90: "Wow, era l'America alla porta di casa". Da allora è nata una vera e propria "malattia": oltre 100 canotte collezionate, 500 paia di scarpe e le idee ben chiare sulla stagione che va a iniziare

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ALESSANDRO DEL PIERO RACCONTA LA SUA PASSIONE NBA

Nel vederlo arrivare negli studi di Sky Sport per girare uno degli spot di lancio della nuova stagione NBA si capisce immediatamente che Ghemon ha preso le cose seriamente. Molto seriamente. L'artista che si è fatto conoscere con i succcessi di "Orchidee" prima (2014) e "Mezzanotte" poi (2017) porta infatti con sé una borsa da palestra, “con dentro una decina di maglie — racconta — perché quando son venuto via da casa non sapevo decidermi”. La sua collezione ne conta un centinaio — totale di molto inferiore a quello delle sneaker, che invece sono più di 500… — ma all’ultimissimo taglio ne sono sopravvissute appunto una decina soltanto. Alla fine vince la n°7 dei Suns di Kevin Johnson (in quella Phoenix capace di arrivare in finale NBA nel 1993) ma anche tra quelle non scelte si contano vere chicche da intenditore: “Ne ho portata una dei Bulls n°33 di Pippen, una versione commemorativa con bordi dorati; la nera n°1 di Penny Hardaway agli Orlando Magic; la prima maglia di Vince Carter ai Toronto Raptors; e poi una city edition di Kyrie Irving dei Celtics, grigia con una trama che richiama il parquet del TD Garden. Ma sono stato tentato fino all’ultimo di mettere in borsa anche la canotta n°4 di Chris Webber ai Kings, bellissima”. Basterebbe questa introduzione per capire che Gianluca Picariello, in arte Ghemon — fresco di un successo pazzesco per l’album “Mezzanotte” che lo ha portato in tour in tutta Italia e anche sul palco di Sanremo — è un tifoso vero, un appassionato abituato a fare le ore piccole per gustarsi gli appuntamenti NBA su Sky Sport rigorosamente live (“Da Natale in poi inizio a fare sul serio, e le notti in bianco aumentano: ai playoff smetto di avere una vita sociale”, confessa). Una passione nata negli anni ’90, ancora oggi, ai suoi occhi, un’epoca davvero speciale per il basket americano: “Sarà che guardando indietro a quel periodo, di un me adolescente, tendo a vedere le cose magari più belle, quasi romantiche”, spiega. “Il gioco lo amo ancora oggi quanto lo amavo in quei giorni lo stesso ma allora per me la NBA è stata l’America che mi si presentava a casa, tramite la tv, per la prima volta. C’era un fascino davvero speciale, ricordo un impatto fortissimo: ‘Wow, che roba è questa?’”.

"Regalerei un anello a Stockton&Malone"

I giocatori a cui ancora oggi Ghemon si sente più legato sono quelli di quell’epoca: “Penny Hardaway è stato forse il primo ad avermi fatto davvero innamorare del gioco, insieme a Shaq. Anche Michael Jordan ovviamente — non ha neppure senso dirlo — ma io avevo e ho una passione particolare per tutti quei giocatori che MJ non ha fatto vincere, da Charles Barkley a Stockton&Malone, ma anche per chi magari non è neppure mai arrivato a giocarsi il titolo da protagonista — i vari Jerry Stackhouse, i Grant Hill, etc.”. Tra tutti questi nomi leggendari, se avesse una bacchetta magica in mano e la possibilità di regalare un titolo NBA a uno di loro, lo farebbe recapitare nello Utah: “Faccio il nome di una coppia, perché davvero non si può nominare uno senza nominare l’altro: darei un titolo NBA a John Stockton e Karl Malone, anche perché hanno dovuto subire ‘The Shot’ — una pagina di storia della pallacanestro che loro purtroppo hanno dovuto vivere dalla parte sbagliata”. Un posto speciale nel cuore dell’artista avellinese, però, ce l’ha anche Allen Iverson, e non potrebbe essere altrimenti: “Iverson per me è speciale perché puro — spiega — e perché, terminata l’era di Jordan, è stata la prima cosa grande dopo MJ. Un eroe come il n°23 dei Bulls, ma meno facile da accettare perché imperfetto. Allo stesso modo però uno capace in campo di spostare gli equilibri in campo come nessuno. Ecco, di sicuro anche lui si sarebbe meritato un anello — anche se alla fine viene trattato e riverito come se ne avesse vinto uno”.

"Quando Spike Lee mi porta a comprare un cappellino dei Knicks"

Per un’artista come lui, la passione per il gioco e per la NBA vissuta sul campo è inseparabile da tutto quanto ci gira attorno, dalla musica alla moda: “Sneaker addict? Beh, sì — non posso negarlo. A casa ho una collezione di circa 500 paia di scarpe da basket (mentre sono un centinaio le canotte). In un mio viaggio negli Stati Uniti ho avuto la fortuna di incontrare e sentire parlare Walt Frazier: è stato lui il primo — con le sue Puma — a dare il via al binomio giocatore-scarpe. Con ‘Clyde’ inizia quel desiderio di qualsiasi ragazzo di assomigliare a un giocatore NBA, non solo in campo ma anche fuori. Il campione diventa un modello, proprio come sono un modello i rapper, e Iverson è l’esponente della sua generazione che meglio unisce la coolness di questi due mondi, basket e hip-hop”. Nel suo armadio trovano spazio maglie, canotte ma anche cappellini — e uno in particolare ha dietro una storia davvero speciale: “Sono a New York, sto girando per strade e decido di entrare a mangiare qualcosa in una sorta di fast food di quelli sani. Ci trovo Spike Lee. Mi ricordo che ero al telefono con l’Italia, ho tranciato la conversazione — ‘Scusa, ma c’è Spike Lee devo mettere giù’ — e sono andato a salutarlo. Lui, che spesso ha la reputazione del burbero, è stato gentilissimo: ha iniziato a chiedermi perché fossi a New York, cosa facevo nella vita e quando ha saputo che ero un musicista si è interessato ancora di più. E poi ha un certo punto vede il mio cappellino dei Nets e mi dice: ‘Questa però è la squadra sbagliata, dobbiamo comprarne uno dei Knicks: conosco un posto qui dietro, andiamo’. Ed è così che sono entrato a comprarmi un cappellino blu-arancio scortato da Spike Lee”.

"La finale 2019? Boston-Golden State, ma di cuore vorrei i Sixers"

A New York ma non solo, Ghemon è uno che in America ci va spesso e volentieri, e ogni volta cerca di approfittarne per vedere dal vivo una partita NBA. “I ricordi più belli sono quelli di gara-3 e gara-4 delle finali NBA del 2016, a Cleveland. In quei giorni — con Golden State sopra 3-1 dopo la quarta sfida — nessuno si aspettava la rimonta dei Cavs, cosa invece avvenuta. Un’emozione pazzesca poter vedere il basket NBA giocato al suo massimo livello, ma non dimentico neppure le mie prime volte, nel giro di pochi giorni tra New York e Brooklyn per due gare di preseason: che emozione entrare al Madison Square Garden, e quanto è bello il Barclays Center! Poi — se vogliamo contare anche le partite viste fuori dagli Stati Uniti — sono stato a Londra per gustarmi gli ultimi due Global Games”. Quest’anno l’appuntamento è con New York e Washington, ma né Knicks né Wizards sono nella lista delle sue favorite stagionali: “Mi chiedete delle previsioni? Sono più incuriosito dalla Eastern che dalla Western Conference — per capire se è l’anno di Boston con i ritorni di Irving e Hayward, o se invece realtà come Philadelphia e Milwaukee, con Antetokounmpo finalmente superstar assoluta, possono fare quell’ultimo passo in avanti per diventare delle vere contender. A Ovest invece non vedo ancora nessuno in grado di battere Golden State: a me piace OKC, che forse senza Carmelo Anthony è più ordinata e ci guadagna, anche se allo stesso tempo sono davvero curioso di capire cosa può fare ‘Melo a Houston. Golden State però a mio avviso rimane la squadra più forte, ancora più degli scorsi anni: con Cousins sono indecenti!”. E l’effetto LeBron James ai Lakers? “Intanto mi voglio la sua 23 gialloviola, che ancora mi manca. Poi mi rimane tantissima curiosità di vedere dove può arrivare con quegli avanzi di galera arrivati a L.A. in estate”, risponde ridendo. “Il mix con i giovani dei Lakers può essere interessante, ma non vedo L.A. oltre il quarto/quinto posto a Ovest, dietro a Warriors, Rockets, Thunder e direi anche Spurs”. Un’idea per la finale NBA 2019 Ghemon ce l’ha in testa — anzi, due: “Una più ragionevole, razionale — Boston contro Golden State — ma un’altra più di cuore: e allora al posto dei Celtics mi piacerebbe vedere i Sixers”.