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NBA, esplode Jimmy Butler: torna ad allenarsi e ne ha per tutti, compagni e dirigenza

NBA

Prima scende in campo in allenamento e fa trash talk contro tutti, poi ai microfoni di ESPN si lascia andare: "Towns è il giocatore più forte, Wiggins quello con più talento naturale, ma sono io quello che lavoro più duro di tutti, mentre qui per molti la priorità non è vincere. Ecco dove nasce la frattura"

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I Timberwolves desideravano tanto il ritorno di Jimmy Butler in campo. Lo hanno avuto: ma non nel modo che si sarebbero augurati. La superstar scontenta di Minnesota — la cui richiesta di essere ceduto è stata fin qui ignorata dalla franchigia — ha fatto un roboante ritorno in palestra prendendo parte a due partitelle di allenamento nel corso delle quali ha cercato il continuo scontro verbale con compagni, allenatore e dirigenza per ribadire platealmente la sua posizione. “Ci sono, ma muovetevi — avrebbe detto entrando in palestra Butler ai suoi compagni — perché resto qui solo un’ora”. Il tempo per prendere parte a due sfide di sei minuti l’una in cui l’All-Star dei T’Wolves ha scelto come compagni giocatori della panchina o alla ricerca di un posto in squadra (da Loul Deng a Jared Terrell) per poter affrontare da avversari le altre star della squadra, da Karl-Anthony Towns a Andrew Wiggins, coi quali i rapporti è opinione comune siano alla base della sua richiesta di cessione. Dodici minuti super intensi, con Butler protagonista di un continuo trash talk verso avversari e dirigenti (“Hai bisogno di me, Scott — avrebbe detto al gm della squadra Scott Layden — senza di me non puoi vincere”), coronato dal punto esclamativo finale dopo la vittoria ottenuta nell’ultima partitella disputata: “Qui dentro sono io il padrone”, le parole pronunciate prima di uscire dal campo. A rendere ancora più surreale la sua apparizione, è arrivata anche la partecipazione di Butler a un’intervista televisiva già programmata con ESPN, andata in scena nei momenti immediatamente successivi all’allenamento. Nel corso dell’intervista, infatti, dalla bocca dell’ex superstar dei Bulls sono uscite altre parole di fuoco: “Sono duro con Karl-Anthony Towns? Certo che lo sono, sono fatto così. Non sono io il giocatore con più talento in questa squadra, il più forte in assoluto: è lui. Non sono io quello a cui Dio ha regalato più capacità: è Wigs (Andrew Wiggins). Ma io sono quello che lavora più duro di tutti. Io ogni giorno, che sia allenamento o partita, sacrifico il mio corpo, perché ho dentro una passione vera. Ognuno guida un gruppo a suo modo, questo è il modo in cui lo faccio io”.

"Qui ai Timberwolves la priorità non è vincere"

Ai microfoni di Rachel Nichols, Butler ha cercato in qualche modo di giustificare il suo comportamento, arrivando a considerarlo magari non giusto ma necessario: “Le mie emozioni sono venute fuori tutte in un momento: era la cosa giusta da fare? No, ma non posso controllarle. Quando sono in campo amo competere, fa parte del mio amore per il gioco, è la mia parte più grezza, pura, autentica — e anche la mia parte migliore. Quando entro in campo, è questo quello che ci si deve aspettare da me”. Alla base di questo sfogo — così come della sua volontà di andare a giocare altrove — la convinzione che a Minneapolis non tutti i suoi compagni vogliano far di tutto per arrivare davvero a vincere. “Non farò nomi, non voglio farli, ma voglio essere onesto: se la tua priorità n°1 non è vincere, la gente se ne accorge. Il punto è quello. I problemi nascono da qui: è qui che si crea la frattura che porta al distacco. E non è per nulla sanata, occorre essere onesti e dirlo”. “Potrebbe sanarsi in futuro?”, gli è stato chiesto. “Potrebbe, certo. Ma mi chiedete se penso che accada? No”. Anche perché i rapporti con le altre due stelle della squadra — titolari di contratti lunghi e onerosi — non sembrano essere certo dei migliori: “Quando gioco io vedo rosso e a un certo punto KAT mi ha detto qualcosa, in campo. Gli ho fatto notare che ogni volta che cambiavo difensivamente e finivo a marcarlo, lui scaricava il pallone su un suo compagno. Io amo la competizione: attaccami, segnami in faccia. Se lo fai sono il primo a darti una pacca sul sedere e dirti ‘bravo’. Ma devi essere capace di farlo ogni singolo possesso”. Perché quello che manca ai Timberwolves, secondo Butler, “non è la difesa o il potenziale offensivo, ma la passione, quel cuore che io metto in campo a ogni possesso. Voglio essere apprezzato, per questo, e voglio essere apprezzato davvero, non solo a parole, ma con i fatti”. Forse anche con un ritocchino verso l’alto al suo contratto che il n°23 di Minnesota non nega: “Vero, l’ho chiesto, ma non è una questione di soldi. Voglio che mi dicano di aver bisogno di me, che mi vogliono qui, che non possono arrivare a vincere senza di me. Un conto è dirlo, un conto poi è dimostrarlo”.

"Conosco bene coach Thibodeau: se la sta ridendo"

Quasi a voler ulteriormente spiegare il suo comportamento, nell’intervista post-allenamento Butler ha continuato a insistere su alcuni punti: “Non voglio fare lo str**zo, ma se mi metti un pallone in mano e mi mandi in campo, io gioco e mi comporto così, perché è così che sono realmente. In allenamento non ho fatto altro che essere onesto. In maniera brutale? Sì, ma è proprio qui che credo stia il problema: sono tutti preoccupati di essere onesti gli uni con gli altri. Se a qualcuno non è piaciuto come mi sono comportato in allenamento è liberissimo di venirmelo a dire. Basta dire qualcosa, non la prendo certo come un’offesa, non è mica personale”. E l’argomento sincerità ritorna anche nel desiderio, espresso dal giocatore anche a coach Thibodeau, di affrontare personalmente alcuni compagni come Karl-Anthony Towns, per spingerlo a rivelare i suoi pensieri e per capire anche il significato un po’ sospetto dell’estensione del suo contratto — a lungo rimandata e poi arrivata nei giorni immediatamente successivi alla richiesta di cessione resa pubblica da Butler. A proposito, Thibodeau: è opinione comune che l’allenatore dei Timberwolves sia l’unica vera persona all’angolo di Butler in questo scontro con l’intera organizzazione: “Conosco bene Thibs — le parole del giocatore per il suo storico allenatore, a Chicago prima e poi nel Minnesota — ed è da qualche parte, da solo, dietro una porta chiusa a chiave, che se la sta ridendo”. Anche perché Jimmy Butler ha promesso di tornare in campo anche per l’allenamento odierno. A Minnesota non sanno più cosa aspettarsi.