Il rookie dei Knicks è stato a lungo una promessa del basket americano, prima di perdere quota a causa degli infortuni e di squalifiche che hanno minato il suo percorso in NCAA. All'ultimo Draft nessuno ha fatto il suo nome, ma in molti potrebbero pentirsene
TOTTI ALLA CONQUISTA DI NEW YORK E DEL MADISON SQUARE GARDEN
Madison Square Garden, New York. Uno dei più famosi palcoscenici sportivi del mondo. Knicks-Hawks, prima gara della stagione, fine terzo quarto: Tim Hardaway Jr. scarica fuori sull’arco il pallone per Allonzo Trier che batte con il primo palleggio Trae Young e punta dritto al ferro. Il rookie dei Knicks, entrato in NBA dopo che nessuno lo ha scelto all’ultimo Draft, esplode verso il canestro e inchioda una schiacciata che lascia tutti di stucco. Anche Kevin Durant, elettrizzato davanti la tv: “Siamo impazziti tutti non appena abbiamo visto quella schiacciata. Sono molto contento per ‘Zo, l’ho visto crescere negli anni che ho passato a Seattle. Noi dei Sonics di quel tempo abbiamo messo un po’ lo zampino nella sua crescita. Per questo sono felice che stia iniziando ad avere successo. È un giocatore di talento”. Trier infatti non è mai stato un ragazzino come tutti gli altri, diventato una star già quando aveva dieci anni e finito a 13 sulla copertina del New York Time Magazine nel 2009 - ritenuto da molti uno dei prospetti più promettenti degli Stati Uniti. “Non guardavo questa foto da tantissimo tempo – ricorda a Kelly Whiteside del New York Times, che ha raccontato la sua storia - questo è il mondo dal quale arrivo. È pazzesco rivederla oggi”. Trier dopo un mese di regular season è una delle sorprese positive dei Knicks e dell’intera lega: in uscita da Arizona e finito rapidamente nel dimenticatoio a causa di una carriera che negli ultimi anni non ha mai voluto saperne di andare nella direzione giusta. E pensare che all’high school era uno dei talenti più ambiti, tanto da iniziare un lungo valzer che lo ha portato in giro prima a Oklahoma City – proprio come la franchigia della sua città d’origine – e poi Tulsa, Rockville nel Maryland e Las Vegas; “la quintessenza del free agent nel mondo delle high school di primo livello d’America”. Uno dei giocatori più seguiti e in lizza per il premio di High School Player of the Year: il college e il futuro in quel momento sembrano pronti a spalancargli le porte.
Il college ad Arizona, gli infortuni e il processo
Da lì in poi la fortuna ha iniziato a voltargli le spalle. L’intenzione di Trier era quella di godersi un anno di college e imparare il giusto prima di entrare in NBA dalla porta principale. Un infortunio all’osso della mano con la quale tira però ha scombussolato i suoi piani, rimandando di 12 mesi il suo progetto. Alla vigilia della seconda stagione al college, quando ormai la luna era diventata chiaramente storta, un altro brutto colpo (in tutti i sensi): Trier rimane coinvolto in un incidente stradale che gli causa un bel po’ di problemi e dolori alla schiena. Per curarsi gli viene somministrato un farmaco che contiene steroidi vietati per un atleta professionista. Dagli esami viene fuori che i suoi valori sono alterati e scatta la sospensione che lo costringe a due stagioni fatte di alti e bassi, costellate di difficoltà di ogni tipo. L’ultima sospensione arriva nel febbraio 2018, nonostante secondo molti il suo essere risultato nuovamente positivo era dovuto ai residui dei farmaci utilizzati un anno prima. A quel punto, fuori dalla NCAA, Trier decide di rendersi eleggibile al Draft, facendo i workout con 18 squadre NBA e lasciando tuttavia in molti il dubbio che la sua condotta (anche a causa della questione sostanze illecite) possa essere molto discutibile. Il tutto unito a una mancata predisposizione a condividere il pallone con gli altri. Un dubbio che i Knicks si portano dietro fino alla notte del Draft, quando volevano chiamarlo al secondo giro, ma giunti alla 36esima chiamata avevano ancora a disposizione Mitchell Robinson. Il lungo che faceva al caso loro, uno su cui dover puntare per forza, con buona pace di Trier; scivolato fuori dai primi 60 prospetti. “È stato devastante – racconta la madre del rookie dei Knicks – è stata una delusione enorme e non sapevo se avrebbe avuto la forza di affrontare pure questa. Alle volte per fortuna il dolore può trasformarsi in qualcosa di stimolante”. Trier e la sua famiglia infatti hanno seguito il Draft nell’ufficio del suo agente a Los Angeles e assieme a loro c’era anche Joe Dumars, indimenticato giocatore NBA: “Non dimenticarlo mai: usa questa rabbia”, furono le sue uniche parole.
Alla conquista di New York (e di un contratto)
New York a quel punto è tornata a bussare alla sua porta, offrendogli un two-way contract con cui poter scendere in campo sia con i Knicks che in G-League. Un’opportunità che non ha placato la sua rabbia: “Potevo percepire distintamente il nervosismo nella sua voce”, racconta Scott Perry, il GM della squadra di New York. “Non c’erano certo 60 giocatori migliori di me”, è stata la sua replica al telefono, prima di andare a caccia di una palestra dove iniziare ad allenarsi. “Ha l’ambizione di diventare un grande giocatore: la sua etica del lavoro, raddoppiata dal fatto che è stato sempre indicato come un bambino prodigio, lo sta portando a usare le sue energie in maniera molto positiva”. Un accordo quello con i Knicks che a breve lo metterà di fronte all’ennesimo bivio della sua carriera: il two-way contract infatti prevede che un giocatore possa essere utilizzato per 45 giorni dalla franchigia, prima che la squadra sia costretta a rinegoziare l’accordo, offrirgli un vero contratto e liberare un posto nel roster. I Knicks non rinunceranno di certo a lui, il primo rookie con la maglia di New York a segnare almeno 15 punti nelle prime due partite al Madison Square Garden dai tempi di Willis Reed. Fizdale stravede per Trier, tanto da affidargli la palla in mano anche in situazioni delicate di partita, come successo contro i Bulls al termine di due overtime. “Abbiamo chiamato quelle giocate “Iso Zo”, lo lascerò essere sé stesso. Ha la competizione nel sangue, non ha paura di nulla”. Anche in quell’occasione, uscito dal campo con una sconfitta incassata anche a causa del suo errore, si è ritrovato con i cronisti a chiedergli conto dei due tiri sbagliati: “Non hai pensato che quel momento e quelle responsabilità fossero troppo grandi per te?”. “Chi, io? Naahhh. Ho vissuto ben di peggio”. Difficile dargli torto.