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NBA, Carmelo Anthony: l'addio a Houston ora è ufficiale. E spunta l'ipotesi Portorico

NBA

Il gm dei texani Daryl Morey annuncia quanto ormai era evidente da giorni: Carmelo Anthony non farà più parte degli Houston Rockets. Ecco perché si è giunti a questa conclusione e quali sono i possibili (anche se magari fantasiosi) scenari futuri

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ANTHONY: TAGLIO SEMPRE PIU' VICINO. QUALE SARA' LA PROSSIMA DESTINAZIONE?

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Due mesi. Dieci partite. L’esperienza di Caremlo Anthony come membro degli Houston Rockets si esaurisce così. Sempre meglio di quanto successo ad Atlanta, 5 giorni (dal 25 al 30 luglio) e nessuna partita disputata. Ma gli Hawks sono stati una semplice tappa di trasferimento in uscita da Oklahoma City, mentre in Texas sull’ex campione NCAA con Syracuse hanno provato a puntarci sul serio. Risultato? Un fallimento. Totale. In tanti ora possono dire di averlo pronosticato. Ma Daryl Morey (prima ancora di Mike D’Antoni) in estate hanno scelto di prendersi un rischio – calcolato – nella speranza potesse funzionare. Non è successo. E così è arrivato l’addio, ora ufficiale: “Dopo una lunga discussione interna stiamo lavorando assieme per risolvere il contratto”, ha fatto sapere il gm dei Rockets. “Carmelo ha mantenuto un approccio sempre ottimo, accettando ogni ruolo propostogli da coach D’Antoni, ma le soluzioni che speravamo potessero concretizzarsi con lui in campo semplicemente non si sono mai materializzate, per cui riteniamo che la cosa migliore rispetto a ogni altra soluzione sia andare avanti ognuno per la propria strada”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’allenatore che già lo aveva avuto ai suoi ordini a New York. “In estate abbiamo tentato il colpaccio. Non ha funzionato. Lui ci ha provato, è stato fantastico per tutto il tempo. Ma qualsiasi sia il motivo, alla fine le cose non sono andate come volevamo. Lo ringrazio perché si è dimostrato un grande professionista, ci ha davvero provato in ogni modo, pronto a fare tutti i sacrifici necessari. Ma non è neppure giusto obbligare un futuro Hall of Famer a recitare un ruolo che non può essere suo. Sia lui che noi ci abbiamo provato, ma non ha funzionato. Meglio guardare al futuro”. Che per Anthony – che da contratto non può essere scambiato ancora per un mese (fino alla data dal 15 dicembre) – con ogni probabilità vorrà dire venire tagliato dai Rockets, ma non nell’immediato. Houston potrebbe infatti mantenere sotto contratto il giocatore fino a quando i suoi rappresentanti non avranno individuato la migliore destinazione possibile: solo allora il suo contratto da 2.4 milioni di dollari sarà annullato dai Rockets.

La nazionale portoricana ha la maglia n°15 pronta per lui

Se appare chiaro il futuro immediato del giocatore, lontano dal Texas, non ci sono per il momento concrete indicazioni di quali potrebbe essere la prossima tappa nella carriera NBA di Anthony. Incassati gli attestati di stima degli amici (da LeBron James a Dwyane Wade) e anche quelli, forse più inaspettati, di qualche collega come ad esempio Wilson Chandler (“Sto con ‘Melo. I media ci rifilano false narrazioni 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Perché questa non dovrebbe essere la regola anche tra i media sportivi? Più della metà della gente che odia ‘Melo non sa perché lo odia. Io sì, ed è perché i media li hanno convinti a odiarlo”, ha fatto sapere via Twitter), per il momento l’interesse di altre squadre è apparso piuttosto tiepido. A farsi avanti in maniera decisa invece arriva il presidente della federazione basket del Portorico, Yum Ramos, a cui piacerebbe sfruttare le origini (da parte del padre) dell’ex superstar di Denver e New York per mettere a segno un colpo a effetto, e mettere addosso a ‘Melo una maglia della sua nazionale: “Sono sempre stato un suo grande tifoso, non solo come giocatore di pallacanestro ma, cosa ancora più importante, come eroe portoricano. Attraverso la sua fondazione, Carmelo ha fatto tantissimo per Portorico e insieme a J.J. Barea ha avuto un impatto enorme per risollevare lo spirito di un intero paese” (anche recentemente sconvolto dal passaggio dell’uragano Maria). Ovviamente Anthony ha un passato – e pure eccellente – con i colori di Team USA, di cui è il miglior marcatore di tutti i tempi (336 punti) e con cui ha vinto tre medaglie d’oro olimpiche e un bronzo. Avendo però già annunciato il suo ritiro dalle competizioni internazionali con la maglia USA, però, a Anthony basterebbe che la federazione statunitense rinunciasse ufficialmente alle sue prestazioni per permettergli di essere eleggibile a giocare per Portorico. Evenienza che, per il momento, Anthony non ha comunque preso in considerazione. “Se volesse mai farlo, saremmo felicissimi”, ha fatto sapere J.J. Barea. “Ci ho provato a lungo a convincerlo, in passato, ma non potevo certo biasimare la sua scelta di competere con Team USA. I nostri tifosi lo accoglierebbero a braccia aperte”.

Cosa non ha funzionato a Houston

Spiegazione breve: tutto. Ma serve una spiegazione più articolata. Innanzitutto il ruolo: Anthony è stato titolare per tutta la sua carriera (e a OKC la sola idea di farlo uscire dalla panchina aveva innescato i primi malumori). A Houston l’opzione per D’Antoni non era praticabile: solo 2 partenze in quintetto per ‘Melo ai Rockets e 8 gare dalla panchina. Da sempre un grandissimo realizzatore, per tre volte ha toccato quota 20 ma in 6 delle 10 gare non è andato in doppia cifra. La sua media punti (13.4) è stata la peggiore in carriera, dato confermato anche se parametrato sui 100 possessi – quindi non segna meno perché gioca meno, ma segna meno e basta, tirando con cattive percentuali (il 40.5% dal campo, meno del 32% da tre). L’idea estiva invece era che il suo tiro da fuori potesse assicurare quanto dato ai Rockets in passato da Ryan Anderson. L’idea di vederlo coinvolto nei giochi a due – in particolare nei pick and pop, aprendosi lontano da canestro, per il tiro da fuori – con Chris Paul sembrava invitante. Invece no: 13/40 al tiro in queste situazioni, appena sopra il 32% (Anderson assicurava il 38% nello stesso contesto tattico). Un’altra opzione era tenerlo sul lato forte a sfruttare i passaggi di Paul e Harden, ma anche qui le percentuali realizzative hanno tradito Anthony, che ha firmato un deludente 13/36 (36%) nelle conclusioni in ricezione-e-tiro (39% il dato analogo di Anderson). L’ex Knicks e Nuggets ha fatto meglio in post, segnando 15 delle 19 conclusioni prese vicino a canestro. Ma la pallacanestro di D’Antoni non prevede molte soluzioni del genere, e anzi vuole sfruttare il post per attirare raddoppi e riaprire il pallone sul perimetro per i tiratori da tre. A New York Anthony aveva provato a giocare così (più di 3 assist a sera per lui) ma a Houston non ci è riuscito (5 assist totali in 10 partite), precludendosi così un maggior utilizzo da parte del suo allenatore. Difensivamente, poi, sono stati confermati tutti i limiti del giocatore, resi oggi ancora più evidenti da un normale declino fisico/atletico (Anthony ha 34 anni ed è alla 16^ stagione NBA). In un’organizzazione difensiva come quella dei Rockets, che impone di cambiare su qualsiasi attaccante avversario, ‘Melo finisce spesso e volentieri accoppiato anche sui lunghi avversari, che però sfruttano il mismatch per portarlo vicino al ferro dove il n°15 di Houston ha concesso quest’anno il 70.6% al tiro agli avversari (dato che riguarda 4 possessi difensivi su 10 di Anthony, perché gli attacchi avversari vogliono ovviamente approfittarne). A fronte di queste cifre e di quanto fin qui detto, non sorprende allora che si sia scritta così in fretta la parola fine al capitolo della carriera di 'Melo intitolato "Houston Rockets". Cosa ci sarà una volta voltato la pagina, ancora non si sa.