Please select your default edition
Your default site has been set

NBA: Joel Embiid attacca gli arbitri, ma il suo vero problema è Al Horford

NBA

Il n°21 dei Sixers offende i direttori di gara in conferenza stampa, manifestando una frustrazione figlia del risultato più che dei fischi mancati. Il suo incubo nelle sfide contro i Celtics è il n°42 biancoverde, in grado di contenerlo come pochi altri lunghi

CRISI LAKERS, SUPER LEBRON NON BASTA: PLAYOFF A RISCHIO

Al termine della solita conferenza stampa passata a commentare l’ennesima sconfitta dei suoi Sixers contro i Celtics, Joel Embiid si è liberato (nel modo più sbagliato possibile) di un sassolino che evidentemente non valeva saperne di uscire dalla sua scarpa. Sciolta la seduta, sospeso a metà tra l’andare via e il voler aggiungere un ultimo pensiero, il n°21 di Philadelphia ha commentato in modo colorito: “Gli arbitri fanno schifo (sottolineato con parole di maggiore impatto e volgarità, ndr)”. Dopo quel commento ha preso la direzione dell’uscita del Wells Fargo Center, lasciando dietro di sé un mare di polemiche. Un colpo di testa – che certamente gli costerà molto caro – al termine di una serata positiva dal punto di vista personale per il lungo camerunense, autore di 23 punti, 14 rimbalzi, tre assist e due stoppate in 37 minuti. Il vero tarlo nella sua testa però resta sempre quello: alla fine vincono sempre i Celtics. Dall’inizio della passata stagione infatti il conto totale (playoff inclusi) dice 10-2 in favore di Boston, un record che comprende anche il doloroso 4-1 incassato lo scorso maggio, seguito poi da un secco 3-0 in questa regular season. Nonostante l’aggiunta di un quarto potenziale All-Star, la rotta non è cambiata contro i biancoverdi. E quello che fa più riflettere è che cinque delle ultime sette sconfitte sono arrivate con Kyrie Irving seduto a bordocampo a guardare i suoi compagni travolgere la difesa dei Sixers. Il record in classifica a Est al momento è lo stesso (36-21), ma l’inerzia è tutta dalla parte di Boston, con il match del 20 marzo rimasto ormai l’unica occasione di redenzione per Philadelphia. “No, sono sicuro che non ci sia nessun condizionamento psicologico nei miei ragazzi. Abbiamo una squadra rivoluzionata da cima a fondo negli ultimi mesi. Nessuno in spogliatoio ha fatto alcun tipo di riferimento a questo, io sono il primo a essere stimolato ogni volta che posso affrontare avversari del genere”.

La battaglia Embiid-Horford è sempre la stessa, così come il vincitore

Una delle pochissime costanti rimaste invariate negli ultimi 16 mesi è la sfida sotto canestro tra Embiid e Horford, che ancora una volta ha visto il veterano dei Celtics uscire vincitore dallo scontro. Non tanto e non solo a livello di statistiche - il n°42 di Boston ha messo a referto 23 punti, otto rimbalzi, cinque assist e quattro recuperi – quanto nel condizionamento difensivo che riesce ad avere contro un avversario solitamente devastante contro i lunghi che provano a fermarlo. “Non ha fatto nulla di particolare, tutta colpa mia. Sembravo uno zombie per tre quarti, sono stato io a non metterlo in difficoltà. Non è merito degli altri”, sottolinea Embiid, nonostante i numeri raccontino una storia ben diversa. Negli ultimi otto incroci tra le due squadre, il n°21 dei Sixers ha tirato 25/70 complessivo (36%) contro Horford, compreso il 5/16 dell’ultima sfida. Contro tutti gli altri difensori dei Celtics la percentuale sale a 52% (48/92 complessivo), dimostrando di sentirsi molto più a suo agio. Difficoltà ben raccontate anche dal fatto che 12 delle 16 triple totali tentate contro i Celtics sono arrivate quando in marcatura su di lui c’era Horford; un modo per evitare lo scontro, diventando meno aggressivo, sintomo spesso di frustrazione e non di una scelta utile all’attacco. Un tarlo che continua a condizionarti, quel ronzio nella testa che ti porta a meno di tre secondi dal termine e sotto di tre punti a segnare un lay-up, al posto di riaprire e cercare la tripla del pareggio: “Sono un idiota, avrei dovuto scaricare quel pallone o portarlo fuori dall’arco per cercare una conclusione. Non ho pensato al punteggio, né al fatto che non avevamo più timeout. Credevo che ne avessimo ancora uno, ma nel momento stesso in cui ho tirato ho pensato: “Sono uno stupido”. Ma ripeto, è tutta colpa mia. Devo imparare a fare un lavoro migliore”. Soprattutto contro Al Horford.