Alla prima da avversario in casa dei Raptors, il n°10 degli Spurs spera in un'accoglienza calorosa e non nasconde il dispiacere per un divorzio inatteso: "Ho imparato a fare i conti con scelte fatte da altri, ma a San Antonio ho trovato una famiglia pronta ad accogliermi"
Lo scorso 12 febbraio, con l’All-Star Game ormai alle porte e uno spogliatoio da svuotare a Memphis, molti dei giocatori degli Spurs guardavano lo smartphone calcolando tempi e coincidenze per scappare in aeroporto e non perdere l’aereo che li avrebbe portati in vacanza per qualche giorno. DeMar DeRozan, reduce da un periodo complicato, aveva già scelto da tempo la sua Los Angeles come destinazione per trascorrere una settimana di relax, di “decompressione” come dicono gli esperti, prima di tornare a pensare al parquet e alla complicata sfida che lo attendeva una volta indossata di nuovo la divisa nero-argento. Dieci lunghi giorni per pianificare il suo primo ritorno da avversario a Toronto, con la felice distrazione di “recitare il ruolo del padre” a tempo pieno per qualche giorno con Diar e Mari; le sue due bambine che già lo aspettavano in California. Poi il volo per il Canada e un ritorno nella sua casa cestistica difficile da immaginare: “Non so onestamente come reagirò una volta messo piede in campo, non riesco a prevedere cosa faranno i tifosi. Ho visto decine di volte degli ex essere accolti con video e standing ovation: quello per me è uno dei riconoscimenti più belli del mondo, il massimo a cui un atleta può puntare. Fino a oggi non ne ho mai ricevuta una e se il pubblico canadese deciderà di concedermi un’accoglienza del genere sarò onorato. Sono certo che saranno emozioni uniche, a prescindere da quello che succederà. Penso di averne viste tante in dieci anni di NBA, ma la partita contro Toronto aggiornerà la lista delle mie esperienze sul parquet”. Per uno che ha deciso di tatuarsi la parola "loyalty" sulla mano sinistra, il modo migliore per lasciarsi alle spalle quello che continua a vivere a otto mesi di distanza come un tradimento. Coach Nurse, che lo ha seguito come assistente per cinque anni, non ha dubbi: “Ho sentito decine di persone definire DeMar come il miglior ragazzo del mondo: tutti saranno felici di poterlo salutare e rivedere”. Di amici in Canada DeRozan in effetti ne ha lasciati un bel po’.
L’amico-nemico Lowry e la ricerca della felicità con gli Spurs
Il primo e il più importante di tutti è Kyle Lowry, con il quale il n°10 degli Spurs racconta che ingaggerà da subito uno scontro verbale “provando con il trash talking a trasformarlo in un nemico”, anche se non sarà semplice. In una stagione piena di nuove sfide, questa è soltanto l’ultima della lista: “Per me è una sensazione nuova, qualcosa con cui sto facendo i conti già da qualche mese e che sto imparando a digerire. Sto affrontando delle difficoltà nuove, non una novità nella mia vita in cui le cose spesso hanno preso la piega più complicata. Alla fine ne sono sempre uscito come una persona migliore, facendo i conti con delle debolezze di cui non eri neanche a conoscenza. Cambiare il contesto e mettersi alla prova è il modo migliore per fare i conti con sé stessi”. Il suo scenario per nove anni in NBA è rimasto sempre lo stesso, protagonista con i Raptors che per sua stessa ammissione non avrebbe voluto lasciare la scorsa estate. Ma in una Lega così particolare spesso il destino non dipende dalle scelte dei suoi giocatori. E a chi gli chiede “sei felice?”, tocca ascoltare una risposta complessa, figlia di una personalità dalle mille sfaccettature: “È ovvio che al momento non mi sento abbattuto o frustrato come sono stato in estate. Per me, come ho già raccontato più volte, è un continuo sali-scendi e so bene che ci saranno momenti buoni e altri in cui stringere i denti. Dopo tutto il tempo che ho trascorso a Toronto sapevo che ci sarebbe stata una fase di assestamento, ma nonostante lo scambio posso ritenermi fortunato. Ho visto spesso dei giocatori che dopo una trade si sono ritrovati in balia degli eventi e senza una collocazione precisa. Io invece sono arrivato a San Antonio dove mi è subito stato dato un ruolo, circondato da un’organizzazione e una città che ha a cuore i miei interessi e che mi ha accolto a braccia aperte. Un atteggiamento che ha reso molto più semplice la mia fase di transizione”.
Il precedente a San Antonio e le difficoltà nell’anno nuovo
Lo scorso 3 gennaio, nonostante le parole di circostanza, DeRozan si è tolto un bel sassolino dalla scarpa, guidando gli Spurs al successo e raccogliendo la prima tripla doppia della sua carriera contro l’unica squadra che non aveva mai incrociato da avversario sul parquet: 21 punti, 11 assist e 14 rimbalzi, realizzati contro chi gli aveva fatto credere di non essere all’altezza per andare oltre i già notevoli risultati raggiunti da Toronto negli ultimi anni. Il preludio a un gennaio complicato però, di gran lunga il suo peggior mese della stagione: 40.9% al tiro dal campo, condito con tanti palloni persi e una pessima incidenza sulla squadra. Il tutto senza tener conto dei problemi alla caviglia e al ginocchio; acciacchi con cui in Canada non era mai stato costretto a convivere: “Per la prima volta in carriera devo vedermela anche con gli infortuni: nulla di nuovo per chi fa questo mestiere, ma sono consapevole di essere stato fortunato finora a non aver avuto dolori di questo tipo. Questo è stato uno dei tanti step che sto affrontando in questa stagione: non puoi pensare di essere sempre in grande forma ogni singola gara, ma ho capito che sono quelli i momenti in cui devi spingere il più possibile”. Un giocatore che resta condizionante sul parquet: DeRozan è primo in NBA per tentativi dal midrange, dieci tentativi ogni 100 possessi che combinati con quelli di LaMarcus Aldridge portano gli Spurs a essere la squadra che di gran lunga prende il maggior numero di conclusioni da quella distanza, avendo considerevolmente aumentato la percentuale di tentativi da quando il n°10 è arrivato a San Antonio. I playoff restano alla portata, sintomo che nonostante il cambio di tendenza le cose stanno in qualche modo funzionando. La sua speranza è che la tendenza continui e gli permetta di essere incisivo anche a Toronto, come spesso ha dimostrato di poter fare indossando una maglia diversa da quella di oggi.