Il n°3 degli Heat racconta della sua stagione d'addio, del nuovo ruolo in uscita dalla panchina e del fisico che sta rispondendo al meglio, nonostante i tanti problemi del passato: "So di avere nelle gambe altre due o tre annate, ma preferisco lasciare così"
In questo ultimo anno da giocatore NBA, Dwyane Wade difficilmente avrebbe potuto sperare che le cose andassero meglio. Un lungo tour degli USA costellato da abbracci, affetto, scambi di maglie e regali. Riconoscenza dovuta a una leggenda del Gioco, che tuttavia in questa regular season è riuscita a ritagliarsi un ruolo ideale nel roster. Non soltanto un campione del passato che gli Heat sono costretti a esibire, ma un innesto cruciale da sfruttare a gara in corso. Giocatore ideale in uscita dalla panchina per capacità di massimizzare lo sforzo in pochi minuti, con il fisico e in particolare le ginocchia che continua a rispondere al meglio alle sollecitazioni. “Non stavo così bene da un bel po’ di tempo”, racconta Wade nell’intervista rilasciata a The Athletic, più volte protagonista sul parquet e spesso decisivo nella rincorsa ai playoff dei suoi Heat. “So che il mio fisico ora come ora mi permetterebbe di giocare un altro paio di stagioni, soprattutto nel ruolo che sto interpretando negli ultimi mesi. Altri due o tre anni riuscirei a farli. Le persone che mi stanno attorno mi consigliano di andare avanti, di continuare a giocare, ma io ho preso una decisione irreversibile. Ho annunciato che questa sarebbe stata la mia ultima stagione e che volevo salutare la NBA nel modo in cui lo sto facendo. Per questo non ho alcun tipo di rimpianto”. Una stagione che ha rappresentato l’ennesima sfida di una carriera lunga più di 20 anni, di cui 16 trascorsi al massimo livello: “É stata una sfida cercare di capire quanto posso fare da solo e quando invece devo lasciare spazio agli altri. Voglio far parte del processo di crescita dei giovani che mi stanno attorno e non rappresentare un freno al loro sviluppo. In alcune fasi di partita sento di poter fare tutto da solo, di caricarmi addosso un bel po’ di responsabilità. Di incidere come riuscivo un tempo. È tutto l’anno che combatto con questa tendenza: alle volte mi riesce, altre no, ma sono felice di trasmettere alle nuove generazioni tutto ciò che riesco”.
I problemi fisici e il ritiro più volte (fortunatamente) rimandato
Complicato cambiare il proprio stile di gioco dopo tanti anni trascorsi dominando senza preoccuparsi troppo dei compagni: “É un equilibrio difficile da trovare. So bene che non posso fare quello che mi veniva concesso fino a qualche anno fa. Ci sono momenti in cui vorrei essere coinvolto, ma il mio numero non può essere chiamato, quindi preferisco levarmi di torno. Lo spirito di competizione mi consiglia di andare a prendermi quel pallone, ma tu devi capire in che situazione ti ritrovi: ci sono altri ragazzi che devono iniziare a giocare quel tipo di possessi e coach Spoelstra deve essere certo che toccherà a loro provarci. Sto cercando di godermi questo processo di crescita. In fondo sto combattendo per conquistare un posto ai playoff, nonostante sia così in avanti con gli anni. È fantastico già così”. Considerando poi tutte le difficoltà fisiche attraversate qualche stagione fa, un vero privilegio essere così in forma a 37 anni: “Avevo già pensato al ritiro tempo fa, quando i problemi alle ginocchia non mi davano tregua. Nell’estate 2015 mi sono detto che quello sarebbe stato il mio ultimo anno. Ho cambiato totalmente il mio approccio e le persone con cui lavorare. Non che quelle di prima non fossero in gamba, ma avevo bisogno di ripartire da zero. Ho iniziato a mangiare in modo diverso, a dedicarmi in maniera nuova alla cura del mio corpo. Un cambio che ha funzionato, tanto che alla fine di quell’anno siamo arrivati a una gara dalle finali di Conference [con Miami trascinata in semifinale contro Toronto, persa in gara-7, dai 24 punti e sei rimbalzi di media di Wade, ndr]. Due anni prima nessuno avrebbe mai immaginato che sarei tornato su un parquet NBA”.
Il dispiacere per l’amico LeBron e il futuro al fianco di Zaire
E mentre Wade spera di ritrovarsi di nuovo ai playoff, LeBron dopo ben 13 anni sarà costretto a rinunciare alla post-season: “Non è abituato a perdere e non fare i playoff. Ovviamente pesano non poco le 18 partite saltate per infortunio. In realtà non si può neanche parlare di un LeBron che non riesce a conquistare i playoff, proprio a causa della sua assenza. I Lakers erano al quarto posto a Ovest prima che fosse costretto a fermarsi. È sfortuna. In molti lo stanno attaccando facendo riferimento alla sua età: non è un segreto che sta invecchiando. Ogni anno diventa più anziano. E non ci sono dubbi sul fatto che sia un giocatore diverso dal passato, ma resta comunque fenomenale. Se questa è una cattiva stagione per uno come lui… davvero è una pessima annata? I giocatori che vincono il premio di MVP mettono assieme cifre del genere. Ha performato al livello dei migliori della classe. Lui comprende molto bene il continuo studio e l’attenzione che viene riposta su di lui, dettata dal fatto di essere LeBron James. È chiaramente guidato da una forza diversa rispetto agli altri: quella è la ragione della sua grandezza. La sua sola presenza aiuta le TV ad aumentare gli ascolti, LeBron lo sa e per questo non si ferma mai. Il suo approccio alla gara non cambia mai. Nella Western Conference non puoi permetterti passaggi a vuoto e i Lakers ne hanno avuti troppi quando lui è rimasto fuori. La speranza è che non abbia problemi di questo genere in futuro”. Dal prossimo ottobre, quando Wade inizierà la sua nuova vita: “Voglio stare vicino a mio figlio Zaire, dargli tutti i consigli che servono per diventare un giocatore NBA. Il talento ce l’ha e la sua intenzione è quella: voglio far parte del suo percorso di crescita e vedere come andranno le cose”.