Il miglior allenatore degli ultimi 20 anni è spesso stato anche colui che ha formato tanti altri coach poi diventati vincenti su altre panchine. Nel caso di Malone invece, il merito di Popovich è stato un altro: quello di essersi fidato del suo intuito e di avergli trovato il primo lavoro
Avversari sì, ma non troppo. Complicato dimenticare infatti il passato che lega a doppio filo la carriera del coach di Denver all’amicizia consolidata negli anni con Gregg Popovich; mentore, estimatore e navigator (per dirla con termini moderni) di Malone quando nessuno ne aveva mai messo in evidenza il talento. Il fiuto dell’allenatore texano è ormai uno dei ritornelli più ripetuti e celebrati nelle ultime tre decadi nella Lega, ma il segreto per portare avanti da oltre 20 anni ad alto livello un progetto sempre vincente e in grado di competere, non lo ha ancora scoperto nessuno. “Beh, un piano per vincere questa partita c’era eccome – sottolinea Popovich, pronto nuovamente a vestire i panni dello stratega in vista di gara-7 – qualche volta le cose funzionano, altre volte no, ma non sono certo venuto qui a discutere le mie strategie con te. Con tutto il rispetto, eh. Anche perché non c’è nulla di segreto o di mai visto prima: le cose hanno funzionato come previsto, per fortuna”. Nessuno infatti meglio di lui riesce a immaginare mosse e adattamenti che puntualmente risultano vincenti: il “Bobby Fisher della NBA”, così lo aveva definito in conferenza stampa coach Malone, riferendosi a uno dei più grandi giocatori di scacchi della storia americana – protagonista dell’incontro del secolo contro Boris Spasskij, poi vinto dallo statunitense. Proprio come accade spesso contro coach Popovich – un uomo a cui dire grazie per Malone, prima ancora che un avversario da temere in vista di gara-7. Denver non vince una sfida da dentro o fuori da 25 anni (dai tempi di Dikembe Mutombo che esulta contro i Seattle Supersonics al termine di una lunga battaglia): un’astinenza che sperano giunga al termine tra 48 ore.
L’incontro in Argentina e la telefonata di Popovich ai Cavs
L’allenatore di Denver infatti ha più volte ricordato come la sua carriera in NBA sia iniziata grazie al collega degli Spurs. La storia era già venuta fuori qualche anno fa, nel 2014, prima di una sfida di regular season tra Spurs e Kings – la squadra all’epoca allenata da Malone. L’attuale coach dei Nuggets disse che non sarebbe mai riuscito a entrare nella Lega senza l’aiuto di Popovich, nonostante non fosse mai stato seduto al suo fianco in panchina prima di quel fortunato incontro nel 2005. Malone infatti non ha mai lavorato a San Antonio – fucina di assistenti allenatori di primissimo livello, da Mike Budenholzer a Brett Brown, giusto per fare qualche esempio tra gli ultimi a essersi affermati ad alto livello. Ma nonostante quello Popovich decise di dare una mano a Malone, incontrato durante un viaggio estivo di una settimana in Argentina al seguito dell’iniziativa “Basketball without Borders”, promossa da anni dalla NBA. Serate passate a discutere di storia della Russia e a bere buon vino: “Non ho provato a leccargli il c**o”, raccontò all’epoca Malone. “Sapeva che non stavo provando a mettermi in mostra o a far vedere quanto conoscessi la pallacanestro. Ho bevuto un bel po’ di vino quella settimana e non sono uno che lo fa molto spesso”. Bottiglie e storie che hanno pagato i loro dividendi: “Al termine di quel viaggio, Popovich mi disse: ‘Non ho la più pallida idea riguardo le tue conoscenze del Gioco, ma se avessi mai bisogno di un lavoro fammi sapere’. Un invito che non è caduto nel vuoto”. Dopo neanche sette giorni infatti, Malone ha subito preso il telefono per contattare l’allenatore dei texani e, prima di quanto potesse immaginare, fu contattato dai Cleveland Cavaliers di Mike Brown – un altro di quelli passati da San Antonio prima di spiccare il volo nella Lega. Popovich lo aveva convinto a prendere Malone. “È uno che ci sa fare con le persone, un uomo che i giocatori rispettano”. Una scommessa vinta, l’ennesima intuizione che spera possa non costargli cara in gara-7.