I Blazers vanno a caccia della vittoria che cambiarebbe l'inerzia della serie, costretti a rivedere il piano partita dopo che le scelte dei Nuggets hanno funzionato contro Lillard e compagni. Nessuna distrazione dunque in casa Portland, neanche l'alibi delle decisioni arbitrali
L’imperativo per Portland in gara-2 è uno solo: “Non fare come Houston”, con tutto il rispetto per un avversario che i Blazers sono riusciti in volata a lasciarsi alle spalle al termine della regular season; mandando i Rockets dalla parte sbagliata del tabellone a Ovest. Portland ha vinto la prima serie di questi playoff perché è rimasta concentrata sul gioco, su quello che è accaduto sul parquet, senza lasciarsi distrarre da questioni arbitrali e polemiche che porterebbero soltanto a un ulteriore dispendio energetico. Anche Damian Lillard è rimasto invischiato in questa situazione, apparso più nervoso di quanto non fosse mai successo in tutta la serie contro Oklahoma City: penetrazioni non sanzionate dagli arbitri che hanno scatenato la sua protesta e le lamentele del n°0 di Portland, così come quando Nikola Jokic ha visto sempre riconosciuto dagli arbitri ogni minimo contatto (e il 12/12 a cronometro fermo del lungo serbo ha pesato non poco sul match). “È stata una partita più nervosa del previsto, di certo con molta più tensione rispetto a quelle con i Thunder – ammette Lillard – ma nessuno è andato realmente sopra le righe. Non ci sono stati falli tecnici, né parole di disprezzo pronunciate nei confronti dei tre arbitri. Quando c’è in gioco il lavoro svolto in un’intera stagione, non ti fermi lì a pensare a cosa fanno i direttori di gara, ma resti concentrato per andare alla ricerca di quello che può garantirti la miglior posizione per cogliere un successo”. Un lungo giro di parole per raccontare come, in casa Blazers, interessa di più arginare il gioco in post di Jokic e le sue visioni dal palleggio, che andare a caccia di tiri liberi aggiuntivi per mettere pressione sugli arbitri. A tornare a galla nella testa di Lillard in realtà è la stoppata di Gary Harris, che ha rispedito al mittente il tentativo dall’arco del n°0 dei Blazers proprio quando tutti avevano iniziato a immaginare un nuovo “Dame Time”, per coronare una prestazione maiuscola da 39 punti – ormai dati quasi per scontati.
Le palle perse, il problema dei Blazers in gara-1
La tattica dei Nuggets in marcatura sul talento di Portland è rimasta sempre la stessa per tutti e 48 i minuti: raddoppio, e in casi eccezionali anche l’aiuto del terzo uomo, contro Lillard in qualsiasi zona del campo, sia con che senza il pallone tra le mani. “Tutti, ma non lui”, il messaggio lanciato da Denver, che ha tolto spesso e volentieri il possesso dalle sue mani. “Il loro approccio è stato molto simile a quello utilizzato dai Thunder contro di me, dobbiamo creare delle alternative per metterli alle corde”. Evitando magari di perdere tanti palloni come successo nel primo episodio della serie (18 possessi sprecati di squadra, sei dei quali per responsabilità del n°0): “Quello è stato uno dei fattori principali che hanno pesato sulla sconfitta. Il fatto che il pallone venga affidato a me deve responsabilizzarmi, so bene quale sia il valore di ogni possesso. Soprattutto in trasferta, contro una squadra abile a correre in contropiede, che trova energia e ritmo ogni volta che mette a segno tiri da tre punti e canestri in transizione. Non avrei dovuto lasciarli tutte quelle opportunità per farlo: 23 punti segnati dalle nostre palle perse, un macigno che sapevamo sarebbe pesato”.