A descriverlo così è Steve Kerr, l'allenatore degli Warriors che vedono nella superstar dei Raptors il pericolo pubblico n°1: "Uno dei migliori difensori della sua generazione", per Thompson; "Migliorato come tiratore", aggiunge Curry
TORONTO — Si presenta alle finali NBA 2019 con oltre 31 punti di media nei playoff, il tiro simbolo di questa postseason (quello di gara-7 alla sirena contro Philadelphia) e una collezione di schiacciate (mancine) con cui ha mandato a casa anche “The Greek Freak”, Giannis Antetokounmpo, forse il più credibile candidato MVP della stagione. Kawhi Leonard è l’uomo sulla bocca di tutti a Toronto, la scommessa estiva del presidente Masai Ujiri (che oggi tutti danno per vinta, chissà dalla mezzanotte del 30 giugno in poi…), la superstar assoluta dei Raptors che inseguono il sogno del primo titolo NBA della loro storia. Di tutto questo entusiasmo, di tutte queste attenzioni, lui — il n°2 dei canadesi — sembra al solito neppure accorgersene. “Avevo 20 anni quando ho giocato le mie prime Finals — ricorda — e al tempo non sapevo cosa aspettarmi, ero ansioso, non vedevo l’ora che arrivasse il giorno della partita per scendere in campo e giocare. Già l’anno dopo, di nuovo in finale, ancora contro lo stesso avversario [i Miami Heat, ndr], era già diverso, sapevo quello che sarebbe successo. E ho capito che in fondo rimane una partita di pallacanestro, cinque contro cinque, su due canestri. Certo, c’è più stampa, più domande, ma alla fine la chiave è concentrarsi su quello che succede tra le linee del campo: abbiamo uno schema, concentriamoci su quello e lasciamo perdere tutto il resto. Dentro il nostro spogliatoio sappiamo cosa dobbiamo fare: inutile ascoltare qualsiasi voce che arriva da fuori”. La ricetta di Leonard — e il consiglio ai suoi compagni che in finale non ci sono mai stati — è questa: semplice, quasi scontata, tutt’altro che roboante. In tono con il personaggio, a cui alla vigilia di gara-1 fanno notare “di non essere famoso o popolare come i vari LeBron James o Steph Curry: “Non è questa la ragione per cui gioco. Gioco solo per divertirmi e cercare di essere il miglior giocatore possibile. Sono felice di chi sono e di quello che ho conquistato fin qui nella mia carriera — e da questo punto di partenza voglio continuare a far bene. Non mi interessa essere famoso, o più popolare di altri giocatori. Mi interessa solo giocare a basket e divertirmi a farlo”.
Kerr: "Oggi è pù completo"; Curry: "Migliorato come tiratore"
Lui si diverte, meno i suoi avversari. Steve Kerr non ha dubbi: “Stiamo parlando di un giocatore premiato MVP delle finali NBA già nel 2014. E oggi è sicuramente più vecchio ma probabilmente anche più saggio, più maturo — anzi, sicuramente più vecchio, ma credo anche più maturo — per cui le ha viste tutte, ogni tipo di marcatura, ogni maniera in cui la difesa cerca di fermarlo. Questo ne fa oggi un giocatore probabilmente più completo, più consapevole di come le squadre avversarie cercano di giocare contro di lui. Comunque la si voglia mettere, è stato una superstar, uno dei pochi top player di questa lega, per gli ultimi cinque-sei anni ormai”. “Un giocatore speciale — conviene anche DeMarcus Cousins — uno contro cui dovremo mettere in campo i nostri schemi difensivi per cercare di contenerlo: vediamo se ce la faremo”. Un’analisi ancora più acuta la offre Steph Curry: “Gioca sempre al suo ritmo, non subisce mai la pressione del suo avversario, non forza mai. Ha talento e forza fisica, per cui se vuole andare a giocare nelle sue zone di campo preferite lo fa, ed è diventato un ottimo tiratore, soprattutto dal palleggio, dalle zone che preferisce, in elevazione. In più è bravo a reagire se gli neghi le prime opzioni: cambia direzione, prende un piccolo vantaggio, ti porta sotto canestro. Usa bene tutto il campo, ogni metro quadrato: fortunatamente noi abbiamo degli ottimi difensori che possono provare ad accettare la sfida di marcarlo anche uno-contro-uno ma come dico spesso quando giochiamo al massimo la nostra difesa funziona se ci muoviamo tutti assieme, dal primo al quinto. Dobbiamo cercare di rendergli la vita il più difficile possibile ma allo stesso tempo stare attenti che troppe attenzioni su di lui non lascino spazi eccessivi ai suoi compagni, soprattutto da tre. Sarà importante anche farlo lavorare tanto in difesa”. Dove un grande difensore come Klay Thompson non esita a riconoscere la grandezza dell’avversario, nel paragone (neppure troppo a distanza) con Draymond Green: “Possono entrambi marcare ruoli diversi, sono molto versatili: sanno proteggere il ferro ma posano occuparsi di qualsiasi attaccante, dall’1 al 5 — e farlo alla grande. Saranno ricordati tra i più forti difensori della loro generazione”. Un’analisi che calza a pennello con l’auto-descrizione affidata alle parole dello stesso Leonard: “Posso cambiare su tutti, porto in campo tanta energia, voglio difendere forte, fermare il giocatore che mi ritrovo davanti. Tutto qua”. Come se fosse poco.