La rinuncia dopo meno di 24 mesi a Josh Jackson è soltanto l’ultima delle scommesse perse dal front-office di Phoenix, che da anni raccoglie sconfitte in regular season e scelte senza riuscire mai a invertire definitivamente la rotta
L’arresto per resistenza a pubblico ufficiale durante un festival musicale in Florida, seguito dalle assenze a eventi promozionali organizzati per lui e concluso con l’accusa di aver fumato marijuana di fronte alla sua bambina di quattro mesi, hanno assegnato in maniera definitiva un’etichetta a Josh Jackson. Quella di cattivo ragazzo, la più complicata da togliersi di dosso. A preoccupare la scelta n°4 al Draft 2017 però non è soltanto l’idea che le franchigie NBA si sono fatte di lui dopo le prime due stagioni nella lega, ma la decisione di Phoenix di liberarsi di un talento che in 24 mesi è diventato un problema da gestire sia in campo che fuori. Questo il senso della trade con Memphis, in cui i Suns hanno rinunciato a lui, a DeAnthony Melton e a due scelte al secondo giro (“non riusciamo a beccarne uno giusto con quelle in Top-10, figurarsi dopo la 30esima…”, avranno pensato), ricevendo in cambio Kyle Korver – già pronto al taglio – e Jevon Carter. Insomma, una vera e propria operazione compiuta con uno scopo soltanto: liberarsi di lui. Il segnale peggiore per un giocatore su cui Phoenix aveva deciso di investire la quarta chiamata assoluta in un Draft in cui sono stati selezionati tra gli altri DeAaron Fox, Lauri Markkanen e Donovan Mitchell (solo per dirne alcuni). Passare dal raggiungere potenzialmente talenti del genere al ritrovarsi con un pugno di mosche in mano è un downgrade non da poco in una lega che non ammette errori, anche se a Phoenix non è la prima volta che accade nelle ultime stagioni. La ripartenza in Arizona è spesso naufragata contro pessime scelte, che in pochi anni hanno rivelato la loro mediocre lungimiranza. E nonostante nel 2015 sia fortunatamente arrivato Devin Booker con la scelta n°13, a Phoenix non sono ancora riusciti a costruire attorno a lui un contesto credibile per immaginare di mettere insieme una squadra vincente.
Da Alex Len a Dragan Bender, passando per Marquese Chriss
L’elenco dei fallimenti infatti sta diventando discretamente lungo, senza essere costretti a tornare troppo indietro nel tempo (e facendo riferimento soltanto all’era da GM di Ryan McDonough). Nel 2013, con la quinta scelta assoluta, Phoenix decise di puntare su Alex Len sotto canestro – rimasto in Arizona per cinque anni, senza mostrare mai la reale consistenza che in molti immaginavano potesse avere. Una decisione definitivamente accantonata lo scorso anno, quando con la scelta n°1 i Suns hanno deciso di puntare su Deandre Ayton, chiudendo definitivamente l’esperienza con il centro ucraino. Altri due grandi abbagli invece sono stati quelli del 2016, in cui Phoenix aveva l’opportunità di chiamare sia alla 4 che alla 8, cercando di ottenere il giusto mix di talento su entrambi i lati del campo e ritrovando nuovamente a tre anni di distanza con un nulla di fatto. La scelta più in alto è servita per investire su Dragan Bender: un giocatore intelligente, ottimo passatore e prospetto molto solido in difesa. Un talento da cui aspettarsi magari pochi lampi, ma al tempo stesso una scommessa certa che in realtà non ha portato i suoi frutti: meno di cinque punti di media raccolti da Bender, finito in breve fuori dalla rotazione a Phoenix proprio come Marquese Chriss – selezionato grazie alla n°8 ottenuta in cambio della 13, la 28 e i diritti per Bogdan Bogdanovic. Un investimento importante insomma, che non ha pagato: Chriss ha litigato con chiunque a Phoenix, raccolto 22 tecnici in meno due anni, è stato scaricato a Houston e lentamente finito fuori da ogni rotazione. Adesso è un free agent che fatica a trovare una squadra disposta a offrirgli un contratto: una parabola discendente come tanti altri amori sbagliati al Draft dei Phoenix Suns.