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NBA, Boston Celtics e la lite in spogliatoio, Marcus Smart: “Nelle famiglie funziona così”

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©Getty

Il n°36 dei Celtics ha raccontato in un’intervista a The Athletic cosa è accaduto in spogliatoio dopo il ko in gara-2 con Miami e le ragioni che lo hanno spinto ad alzare la voce: “Era una giornata particolare per me, l’anniversario della morte di mia madre. Non è una scusa, ma un modo per spiegare le cose. I miei compagni mi hanno capito”

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Perdere malamente una partita playoff è sempre complicato da accettare, farlo dopo essere arrivati in vantaggio in doppia cifra lo è ancora di più. Nella testa di Marcus Smart in realtà dopo il ko in gara-2 con Miami c’era anche altro, questioni che vanno ben oltre un  match sprecato malamente da Boston o alcuni rivedibili passaggi a vuoto in difesa. A rimbalzare tra i pensieri del n°36 dei biancoverdi infatti c’era il secondo anniversario della scomparsa di sua madre - uno dei passaggi più dolorosi della sua vita. “Nella mia testa è qualcosa che ha fatto la differenze: non voglio certo usare questo come scusa, ma non posso negare che in quel momento il mio stato d’animo fosse alterato a causa di quello”. Sam Amick, autore dell’intervista, sottolinea che l’obiettivo è quello di capire e non cercare alibi: cosa è successo nello spogliatoio di Boston dopo la seconda sconfitta nella serie? “Esatto - prosegue il diretto interessato - solo chi sta sempre al tuo fianco può capire quali difficoltà devi affrontare. Per me è stata una giornata dalle emozioni contrastanti, in parte destabilizzante. Ero già scombussolato e la sconfitta non ha fatto altro che aggiungere il colpo aggiuntivo. La seconda rimonta subita in quel modo mi ha spinto oltre il limite, sono esploso ed è venuta fuori la mia rabbia. Il mio era solo dispiacere per due partite che avremmo potuto vincere, nessuno è felice di questa situazione”.

Un disappunto provato ed esternato anche dai chi sedeva attorno a lui in spogliatoio: “Quando sei circondato da fratelli che hanno il tuo stesso obiettivo, è normale che le emozioni spingano la voce a salire, a urlare, a confrontarsi. Ci sono dei momenti in cui bisogna far sentire la voce, poi uscire dalla stanza e lasciare che le cose vadano avanti”. In realtà il chiarimento con coach Stevens e i compagni è arrivato nel giro di poche ore: “Ci siamo incontrati per assicurarci del fatto che fossimo tutti sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Ci siamo anche detti che ci vogliamo bene. Eravamo io, Brown, Tatum, Walker e coach Stevens. Volevo sottolineare che quando accaduto in spogliatoio sarebbe rimasto lì. È stato un caso che le cose si siano sapute, che la notizia sia arrivata ai giornalisti. Succede, ma nella nostra esperienza di famiglia questi sono episodi che fanno crescere il gruppo. Le famiglie combattono insieme. Non c’era malizia, né violenza, né brutte intenzioni in quello che è successo. Sappiamo tutti di avere un obiettivo comune ben più alto da dover raggiungere. Non sono pentito di ciò che è successo, né rammarico per quello che hanno fatto i miei compagni. Abbiamo gestito la situazione nel migliore dei modi: se non puoi parlare liberamente, urlare e dire ciò che pensi, come puoi dire di fidarti delle persone che fanno parte della tua squadra? Noi siamo fatti così, crediamo uno nell’altro fino al punto da poter gridare il nostro disappunto. Non portiamo rancore, ma lottiamo per il nostro compagno”.

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