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Arene chiuse in NBA, la lega pensa a spettatori virtuali dal divano

l'idea

Un visore, una connessione a internet e la possibilità di far entrare (letteralmente) la NBA dentro casa propria: questa una delle idee a cui si sta guardando per sopperire alla mancanza di pubblico. Un’esperienza particolare, in attesa di poter tornare tutti insieme sugli spalti

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Salvata una stagione, ora bisogna pensare alla prossima. I circa 180 milioni di dollari spesi dalla NBA per creare la “bolla” di Orlando si sono rivelati il miglior investimento possibile per cercare di limitare le perdite causate dalla pandemia globale. Un danno potenziale quantificabile in circa un miliardo e mezzo di dollari.

Il commissioner Adam Silver auspica il ritorno degli spettatori nelle arene, ma la situazione in questo momento non lascia molto spazio all’ottimismo. Il desiderio di rivedere le tribune piene si scontra con il numero dei casi - quasi nove milioni - e dei decessi – 226mila - causati dal Covid-19 negli Stati Uniti. L’emergenza sanitaria è quasi dappertutto anche emergenza economica e la NBA non rappresenta un’isola felice. Circa il 40% delle entrate è rappresentato dal denaro che ad ogni partita i tifosi spendono nelle arene. Biglietti, bibite, cappellini, etc. Niente tifosi, niente soldi. Ecco perché la Lega ha deciso di puntare sulla tecnologia. Il ragionamento probabilmente è stato questo: se gli appassionati non possono affollare le tribune, facciamo in modo che perlomeno affollino il divano di casa. Come? Grazie ad una “virtual fan experience” ancora più marcata: tifosi virtuali al posto dei tifosi reali, in attesa di tempi migliori. 

Il Deputy Commissioner Mark Tatum ha illustrato il progetto nel corso di una intervista concessa a CNBC. Si tratta – questa l’idea della NBA - di rendere “immersiva” l’esperienza della visione di una partita aumentando – per esempio – gli effetti generati dalla cosiddetta rail-cam (strumento che offre la possibilità – scaricando l’apposita applicazione - di godere di un punto di vista unico). Di fatto permette di “correre” insieme ai giocatori su e giù per il campo grazie alle riprese effettuate da una telecamera in continuo movimento sulla linea laterale o portando – per mezzo delle holograms interviews - i giocatori direttamente nel salotto di casa per le interviste post-partita. Cambia il modo di vedere e vivere la partita e cambia anche l’aspetto economico ad essa correlato. Lo stretto rapporto che lega le giovani generazioni ai social media rappresenta lo snodo fondamentale anche dal punto di vista commerciale, per cercare di non dover fronteggiare la perdita di quel famoso 40% di introiti. Spettatori virtuali e non reali, dunque. Il rischio è che lo diventino anche i giocatori. "Se la stagione cominciasse il 22 dicembre – ha dichiarato Danny Green a The Ringer NBA Show – “non sarei stupito se LeBron James decidesse di saltare il primo mese di regular season. E penso – ha aggiunto il tre volte campione NBA – che non si tratterebbe di un caso isolato”. La stagione dei Lakers si è conclusa lo scorso 11 ottobre. Una normale offseason (il periodo di tempo che intercorre tra la fine di una stagione e l’inizio della successiva) di solito dura circa 140 giorni, quella della due finaliste ammonterebbe ad appena 73 giorni. Di tempo per recuperare le forze ce ne sarebbe davvero poco. C’è un solo dettaglio, impossibile da trascurare: questa non è una normale offseason.

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