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Nicolò Melli in esclusiva a Sky: "L’Italia di Mancini ci insegna che tutto è possibile"

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Stefano Salerno

Il capitano dell’Italbasket ci ha raccontato la sua gioia per il successo dell’Italia di Mancini (“Ho festeggiato a casa per evitare il contagio: non voglio saltare le Olimpiadi”), oltre ad aggiungere che da un’esperienza del genere “si impara che, nonostante le difficoltà, si può raggiungere ogni tipo di risultato”. Sulle NBA Finals tra Bucks e Suns invece non ha dubbi: “Sapevo che Holiday sarebbe tornato a incidere in attacco”

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Nicolò Melli è sorridente così come tutti gli italiani che da ore continuano a celebrare il trionfo della nazionale azzurra: il capitano della squadra di pallacanestro che contro la Serbia ha conquistato una storica qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo non vede l’ora di partire con i compagni per il Giappone, di godersi un’avventura che spera possa essere trionfale tanto quanto quella degli Azzurri guidati da Roberto Mancini. Un’irripetibile parentesi estiva prima di iniziare la sua nuova avventura con l’Olimpia Milano, senza dimenticare quanto imparato e vissuto in questi due anni in NBA e con un occhio particolare rivolto alle Finals, in cui si divide tra il tifo per un amico come Riccardo Fois e la consapevolezza che Jrue Holiday - uno dei migliori compagni con cui abbia mai giocato - ha ritrovato ritmo in attacco, aggiungendo canestri alla miriade di cose che è in grado di fare in campo.

 

Ciao Nicolò, dove hai visto la partita dell’Italia di Mancini, hai festeggiato?

“Ieri sera l’ho guardata da solo a casa, sul divano, mangiando una pizza d’asporto perché stiamo per partire per le Olimpiadi e quindi ho il terrore di risultare positivo al COVID. Per questo mi sono chiuso in casa - ovviamente ho festeggiato, perché quello che hanno raggiunto è stato un risultato clamoroso - però ho preferito farlo in solitaria per non rischiare in nessun modo di essere contagiato”.

 

Hai postato sui social l’abbraccio tra Vialli e Mancini: perché hai scelto quell’immagine?

“Perché è una bella storia, considerando anche quello che hanno vissuto quando erano giocatori. Hanno perso una finale di Champions League proprio a Wembley e poi soprattutto per quello che ha dovuto affrontare Gianluca Vialli nell’ultimo periodo: vederlo lì con la Nazionale a rappresentare un Paese e raggiungere un traguardo così prestigioso, abbracciarsi con quello che credo sia uno dei suoi migliori amici - l’allenatore di questa squadra che ha ottenuto un risultato clamoroso - beh… è una bella storia all’interno di una bella storia. Arricchisce e dà ancora più valore a questa vittoria”.

 

Un leader come te, guida di una nazionale che si prepara alle Olimpiadi, che insegnamento può trarre dalla vittoria dell’Italia di Mancini?

“Prima di tutto ci tengo a precisare che non sono “il leader” della Nazionale: secondo me la forza dell’Italbasket sta nel gruppo, ognuno porta il proprio mattoncino. Io al massimo sono uno dei più esperti, ecco. La lezione è che tutto è possibile: l’Italia di Mancini ha avuto un percorso complicato per riuscire a vincere l’Europeo. Nel mezzo della competizione il miglior giocatore della Nazionale - Leonardo Spinazzola - si è infortunato, però sono stati bravissimi a sostituirlo, a tenere alta la concentrazione. Ieri onestamente c’è stata solo una squadra in campo: basta guardare soltanto al possesso palla per capire che il dominio è stato clamoroso. Perdere sarebbe stato un peccato, una beffa. Ripeto: insegnano che tutto è possibile: hanno affrontato tante avversità e sono riusciti lo stesso a vincere. Questa è la lezione”.

Adesso che è ufficiale il tuo ritorno a Milano, quali insegnamenti ti porti dietro dall’esperienza negli Stati Uniti?

“Non so se posso definirli insegnamenti: ancora una volta ho imparato ad apprezzare ogni momenti che si ha la fortuna di vivere. La mia avventura in NBA, tra i suoi alti e bassi - una stagione in cui ho giocato di più, una seconda in cui ho trovato meno spazio - resta comunque un’esperienza fantastica che mi ha arricchito sia umanamente che come giocatore. Anche se non ho trovato spazio in campo, in allenamento c’ero sempre e ho ricevuto grande attenzione e partecipazione da parte dello staff. Mi porto in dote in Europa una bellissima esperienza che non tutti hanno la fortuna di poter dire di aver fatto. Spero di essere un giocatore migliore di quello che due anni fa decise di lasciare l’Europa per andare in NBA”.

 

Il più grande rimpianto di queste due stagioni in NBA?

“Nessun rimpianto: ci sono delle situazioni in cui hai il controllo e altre meno. È andata così: è ovvio che avrei voluto giocare di più, avrei voluto fare meglio, avrei voluto… rimpianti no perché ho sempre dato il massimo, ho messo la pallacanestro al primo posto. Il risultato non è quello che speravo. C’è sicuramente un concorso di colpe, perché non è mai solo colpa dell’allenatore che non mi ha fatto giocare, ma anche mia che quando sono stato chiamato in casa non ho dato il contributo che avrei voluto e che forse avrei dovuto portare in campo".

 

Quello dalla NBA ha il sapore di essere un addio, a differenza della tua partenza dall’Europa di un paio d’anni fa…

“Ho 30 anni, ho firmato un contratto per tre stagioni con una squadra ambiziosa che ha grandi obiettivi davanti a sé: direi che alla fine di questo accordo sarò un bel po’ avanti con l’età. Non si può mai sapere, mai dire mai, però credo che sia inverosimile immaginare che io possa tornare negli Stati Uniti a giocare. Anche per una semplice questione anagrafica. E poi sono davvero contento di essere qui a Milano: il modo in cui mi ha parlato coach Messina mi ha reso molto orgoglioso e mi ha stimolato. Sono concentrato sulla nuova esperienza all’Olimpia e speriamo di toglierci un bel po’ di soddisfazioni”.

Stai seguendo le finali NBA? Settimana scorsa hai raccontato a Sky Sport che non sei uno di quelli che resta sveglio la notte…

“Sì sì, sto seguendo con grande attenzione, anche perché da una parte c’è uno dei migliori compagni di squadra che io abbia mai avuto che è Jrue Holiday, mentre dall’altra c’è un gruppo che dall’anno scorso - dall’avventura nella bolla di Orlando - ha sempre trasmesso qualcosa al di là della pallacanestro. Phoenix è una squadra che ha un’aura particolare. Poi hanno Riccardo Fois in panchina che è un mio amico: tifo perché lui possa coronare questo sogno. Non guardo in diretta le partite, ma seguo tutto: guardo gli highlights, le giocate, leggo cosa è successo”.

 

Hai citato Jrue Holiday, che in gara-3 ha ritrovato ritmo in attacco: te lo aspettavi? Tu che lo hai conosciuto, che tipo di giocatore è?

“Jrue è un giocatore straordinario per tanti motivi, ma una delle sue doti migliori è quella di saper fare così tante cose sul parquet che, anche quando non fa canestro da fuori, riesce a essere determinante per la sua squadra. È uno dei migliori difensori della lega, un giocatore altruista. Certo, in una lega come la NBA è fondamentale trovare il fondo della retina, e il fatto che ci sia riuscito si è visto anche dal risultato di squadra in gara-3. Conoscendo tutto il lavoro che svolge in palestra, avendo visto il dietro le quinte, sono convinto che lui può passare 2-3 partite un po’ negative, ma prima o poi salta fuori perché oltre alle qualità tecniche, ha anche notevoli qualità umane.