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Venti anni dall’11 settembre: come quel giorno toccò i giocatori NBA

STORIE
©Getty
30 Oct 2001:  Michael Jordan #23 of the Washington Wizards during the national anthem before their game against the New York Knicks at Madison Square Garden in New York, NY.  The Knicks won 93-91.  Mandatory Credit: Ezra Shaw/Getty Images Digital Image NOTE TO USER: User expressly acknowledges and agrees that, by downloading and/or using this Photograph, User is consenting to the terms and conditions of the Getty Images License Agreement.

Sono passati 20 anni dal giorno in cui caddero le Torri Gemelle: tanti giocatori NBA hanno un ricordo personale di quella tragedia, dal padre di Kyrie Irving che era presente al World Trade Center quel giorno a Michael Jordan che aveva previsto la conferenza stampa del suo ritorno proprio quel giorno, fino a Scottie Pippen che si trovava a Milano durante gli eventi, tanti giocatori NBA hanno raccontato la loro storia

L’11 settembre è stato un evento entrato nei libri di storia dalla porta principale, rappresentando un prima e un dopo nella storia del mondo. Un evento del genere ha avuto un grosso impatto anche sui giocatori NBA, che in quel periodo si trovavano in off-season (o alcuni dei protagonisti di oggi nemmeno avevano l’età per essere nella lega) ma osservarono con orrore quanto accaduto al World Trade Center di New York e in altri luoghi della costa Est degli Stati Uniti. In molti in questi anni hanno raccontato come l’11 settembre li abbia toccati da vicino: ripercorriamo alcune esperienze particolarmente significative nel giorno del ventennale della tragedia.

Il padre di Kyrie Irving, impiegato al World Trade Center

L’11 settembre 2001 Kyrie Irving aveva appena 9 anni, aveva già perso la madre che era morta quando era piccolo e viveva insieme alla sorella Asia, cresciuto da papà Drederick rimasto vedovo. E l’11 settembre avrebbe potuto perdere anche suo padre: Drederick infatti era un broker finanziario della Cantor Fitzgerald, azienda che occupava il 105° piano del WTC, ma quando cambiò lavoro passando alla Garvan Securities — rimanendo sempre all’interno delle Torri Gemelle — sentì una strana sensazione, quasi presagendo un disastro imminente. Per questo appena tre settimane prima dell’11 settembre lasciò quel posto di lavoro, trovandone uno da Thomson Reuters a Financial Square. Quella mattina era comunque presente al WTC, che attraversava a piedi per recarsi a lavoro uscendo dalla stazione, ed era lì quando le pareti hanno cominciato a crollare e la gente a scappare.

 

"Il boato è stato assordante, c’erano vetri ovunque, il vento ti spostava. L’unica cosa a cui pensavo era 'Devo tornare dai miei figli'" ha raccontato successivamente. Drederick Irving è poi riuscito a fuggire, sfruttando anche le sue doti da ex atleta, senza però riuscire a mettersi in contatto con i suoi ex colleghi all’interno delle Torri Gemelle, anche perché le linee telefoniche erano cadute così come la zona era rimasta completamente paralizzata. Gli ci vollero 9 ore per tornare a casa nel New Jersey, camminando per 9 miglia da Wall Street al Bronx, dove un suo amico riuscì poi a portarlo a casa — dove Kyrie e Asia lo aspettavano con la babysitter, dopo aver visto tutti i loro compagni di scuola essere portati via da genitori in lacrime. Kyrie era a conoscenza che papà aveva cambiato lavoro e non lavorava più nelle Torri Gemelle, ma sapeva anche che il suo percorso verso il lavoro passava di lìperciò visse quelle ore in angoscia davanti al televisore, trovando sollievo solo quando vide suo padre rientrare a casa.

MINNEAPOLIS, UNITED STATES:  Minnesota Timberwolves' Kevin Garnett ralleys the crowd in the final seconds of of the fourth quarter as the Wolves came back to tie the Seattle SuperSonics and go into overtime, 04 March, 2001, at Target Center, in Minneapolis, Minnesota. The Timberwolves won 119-111 in overtime.   (FILM)    AFP   PHOTO/Craig LASSIG (Photo credit should read CRAIG LASSIG/AFP via Getty Images)

approfondimento

Quando l’11 settembre fece saltare KG a Pesaro

SECAUCUS, NJ - MAY 17:  Kyrie Irving, a 2011 NBA Draft prospect,  poses for a picture with his father Drederick prior to the 2011 NBA Draft Lottery at the Studios at NBA Entertainment on May 17, 2011 in Secaucus, New Jersey.  NOTE TO USER: User expressly acknowledges and agrees that, by downloading and/or using this Photograph, user is consenting to the terms and conditions of the Getty Images License Agreement. Mandatory Copyright Notice: Copyright 2011 NBAE (Photo by Jesse D. Garrabrant/NBAE via Getty Images)
114292433 - ©Getty

L'impatto dell'11 settembre sul secondo ritorno di Michael Jordan

La mattina dell’11 settembre il mondo della NBA si stava preparando a un altro evento: il secondo ritorno di Michael Jordan nella pallacanestro. Dopo l’addio del 1998, Jordan aveva trovato un accordo per rientrare nella lega agli Washington Wizards, e la conferenza stampa del suo ritorno si doveva tenere proprio nella mattinata dell'11 settembre, pronta a diventare la notizia principale di tutti i notiziari, anche quelli non sportivi. Cambiò tutto alle 8:46 ora di New York, quando l’American Airlines Flight 11 si schiantò sulla torre nord del WTC, cambiando il mondo per sempre. Jordan ovviamente decise di cancellare la conferenza stampa e di annunciare il suo ritorno con un comunicato stampa due settimane dopo, comunicando anche che il suo compenso dagli Wizards sarebbe stato devoluto interamente alle vittime del terrorismo.

 

E per uno strano scherzo del destino la sua prima partita con Washington fu proprio a New York, nel suo amato Madison Square Garden, il 30 ottobre di quell’anno — dopo aver visitato Ground Zero e aver suonato la tradizionale campanella alla Borsa di New York al termine del primo giorno di contrattazioni dopo l’attacco. In campo non andò benissimo, visto che Jordan sbagliò per due volte il tiro della vittoria chiudendo con 19 punti e 7/21 al tiro, ben lontano dai 55 con cui si ripresentò nel 1995, alla sua quinta partita dopo il primo ritorno alla pallacanestro. Jordan quell’anno incontrò moltissimi pompieri, forze dell’ordine e parenti delle vittime prima e dopo le partite lontano dalle telecamere, come ha raccontato anche il giornalista NBA Shaun Powell, che perse suo fratello minore Scott, una delle vittime dell’attentato. I figli di Scott chiesero allo zio la possibilità di incontrare Michael Jordan e Powell riuscì a organizzare un incontro a Washington attraverso la NBA, come ha raccontato recentemente sul sito ufficiale della lega.

WASHINGTON - APRIL 14:  Michael Jordan #23 of the Washington Wizards listens to the National Anthem as he holds a flag that was presented to him by U.S. Secretary of Defense Donald Rumsfeld, the flag flew over the Pentagon on September 11, 2001, during pregame ceremonies on Michael Jordan's final home game, as the Washington Wizards host the New York Knicks at MCI Center on April 14, 2003 in Washington, DC.  The Knicks won 93-79.  NOTE TO USER:  User expressly acknowledges and agrees that by downloading and/ or using this photograph, user is consenting to the terms and conditions of the Getty Images license agreement. (Photo by Doug Pensinger/Getty Images)
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Scottie Pippen e il viaggio di ritorno da Milano dopo l’11 settembre

C’è anche chi quel giorno non si trovava nemmeno negli Stati Uniti, anzi era decisamente più vicino a noi. Stiamo parlando di Scottie Pippen, che quel giorno — quando da noi era già primo pomeriggio — era in giro per le vie del centro di Milano insieme alla moglie Larsa e al figlio neonato Scotty Jr., godendosi qualche ora di shopping durante un tour promozionale con il suo marchio di abbigliamento. Pippen, come ha raccontato successivamente al sito ufficiale dei Chicago Bulls, venne a sapere dell’attacco guardando gli schermi nella vetrina di un negozio di televisori in centro, senza capire bene però cosa stesse succedendo visto che le trasmissioni erano ovviamente in italiano. Per questo pensò che si trattasse solo di un incidente, continuando la sua giornata come nulla fosse. Fu solo al ritorno in albergo che la sua security lo allertò di quanto accaduto, decidendo di spostarlo immediatamente sul lago di Como dato che il loro hotel ospitava numerosi cittadini statunitensi, e si temeva che potessero essere bersaglio di qualche attentato.

 

Una volta rintanati a Como, chiesero di tornare il prima possibile negli USA ("Anche se gli Stati Uniti sembravano il posto più pericoloso del mondo, non volevamo nient’altro che tornare a casa" ha detto Larsa Pippen) ma per diversi giorni videro cancellati tutti i loro tentativi di acquistare un biglietto. Solo cinque giorni dopo la tragedia riuscirono a salire su un volo commerciale e tornare a Chicago, pur viaggiando tutt’altro che rilassati. "Eravamo paranoici, tutti ci sembravano sospetti ed eravamo tutti in guardia" ha continuato Larsa. "Non ci sentivamo al sicuro a salire per 14 o 15 ore su un aereo, non potevamo fare altro che chiederci cosa sarebbe successo e se saremmo riusciti a rientrare a casa". Anche lui, al momento della sua visita a New York con i suoi Portland Trail Blazers, venne invitato a suonare la campanella alla Borsa di New York e a visitare Ground Zero, incontrando i pompieri e le famiglie delle vittime dell’11 settembre.

Il ricordo di Kevin Durant su mamma Wanda

C’è chi invece ha affidato a un tweet il suo ricordo di quel giorno, a partire da Kevin Durant. Nativo dello stato di Washington, lui non ha vissuto l’attentato a New York ma quello al Pentagono, dove peraltro lavorava la madre Wanda. Come ha scritto in occasione del 12° anniversario dell’attentato, si ricorda solo “il fumo che sovrastava la Suitland Parkway proveniente dal Pentagono, pregando che mamma stesse bene a lavoro”.