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NBA, intervista a Tamika Tremaglio: "Io e Adam Silver condividiamo gli stessi obiettivi"

INTERVISTA

Dario Vismara

In occasione dell’iniziativa One Court Milano della NBPA, abbiamo avuto l’occasione di intervistare il nuovo capo dell’associazione giocatori Tamika Tremaglio, che ha preso il posto di Michele Roberts a inizio gennaio. Con lei abbiamo parlato del programma organizzato a Milano, di quali sono i programmi futuri della NBPA, del suo rapporto con Adam Silver e con CJ McCollum, e della possibilità di aggiungere un torneo a metà stagione nel calendario

Quelli che seguono la NBA da meno di un decennio avranno ormai dato per assodato questo periodo di pace. Ma per chi seguiva la lega nel 2011, anno horribilis del lockout tra la NBA e l’associazione giocatori, sa che questa pace non è da dare per scontata. Dopo l’ultima negoziazione conflittuale del contratto collettivo tra la lega guidata dall’allora commissioner David Stern e l’allora capo della NBPA Billy Hunter che portò a uno stop del campionato di diversi mesi, oggi i rapporti tra le due parti sono nettamente migliorati — tanto che non c’è stato più bisogno di uscire dal contratto per nessuna delle due parti, portando avanti per tempo le negoziazioni tra i due "poli" che gestiscono e condividono i destini della NBA. Molto è cambiato grazie soprattutto al commissioner Adam Silver e chi ha succeduto Hunter, vale a dire Michele Roberts, i cui rapporti personali hanno fatto in modo che la lega inaugurasse questo periodo di pace e di prosperità economica, superando di slancio anche le difficoltà legate al Covid.

 

Dall’inizio del nuovo anno il posto lasciato libero da Roberts, andata in pensione, è stato preso da Tamika Tremaglio, il nuovo direttore esecutivo della National Basketball Association chiamata a portare avanti l’eredità lasciata da Roberts innovandone alcuni tratti, in particolare quelli legati al business. Cinquantenne, nativa del Maryland, laureata in legge con una MBA all’università di Baltimora, e soprattutto con 26 anni di carriera alle spalle in Deloitte dalla quale si è ritirata con successo per diventare a partire dallo scorso 10 gennaio il nuovo capo della NBPA, con la quale collaborava già da un decennio abbondante. L’abbiamo incontrata in esclusiva per l’Italia a Milano, nella sede della SDA Bocconi School of Management, in occasione dell’iniziativa One Court Milan, tre giorni di incontri ed esperienze per dodici giocatori NBA (tra cui Danilo Gallinari, Jusuf Nurkic, De’Andre Hunter e Jonas Valanciunas) con i fondatori, CEO e dirigenti delle più prestigiose marche del fashion e del lusso italiano. Un ambiente nel quale Tremaglio si trova perfettamente a suo agio, visto che è impossibile trovare anche solo un dettaglio fuori posto nel suo outfit e nella sua cordialità e affabilità, evidente sin dal primo incontro a microfoni spenti. E se il cognome vi suona familiare è perché ha un fortissimo legame con il nostro paese: "Il mio cognome viene da mio marito Gregory, con cui sono sposata da 32 anni e che è di origini italiane. Ho sempre amato l’Italia, i miei due figli si sentono italiani. Per me è come una seconda casa: sono stata spesso negli uffici di Deloitte qui a Milano perciò torno sempre volentieri, ogni volta è un’emozione diversa". Ma quando comincia a parlare, è evidente che la sua determinazione e la chiarezza degli obiettivi che ha in mente è ciò che la ha portata ad avere un ruoli di estremo rilievo per il futuro della NBA.

Tamika Tremaglio, NBPA

Qual è l’obiettivo della NBPA nell’organizzare un programma come quello di One Court a Milano?

"Per noi è incredibilmente importante essere qui. Uno degli aspetti che abbiamo chiaramente individuato da subito è che tutto sta diventando globale. Fin dal primo momento abbiamo deciso che gli obiettivi più importanti sarebbero state le opportunità di business, e possiamo riuscirci espandendoci il più possibile in giro per il mondo. Al mio team ho detto che i tre capisaldi di cui parliamo sempre a Wall Street sono performance, immagine ed esposizione: i giocatori NBA sono performer eccezionali quando sono in campo, ma con il corso qui a Milano possono imparare quanto sia importante l’immagine, il branding, l’esposizione. Poter parlare con i CEO delle migliori aziende di fashion del mondo dei loro errori e delle loro potenzialità. È un’esperienza straordinaria per noi e per i nostri giocatori, perché parte del nostro lavoro è prepararli per quello che li attende dopo la fine delle loro carriere, aiutandoli a capire cosa realmente li appassiona o permettergli di trovare qualcosa che li coinvolga esattamente come fa la pallacanestro. Qui hanno l’opportunità di farlo".

 

Da gennaio ha preso il posto di Michele Roberts, così come CJ McCollum ha preso quello di Chris Paul: che eredità dovete raccogliere e cosa pensate di fare di diverso?

"Michele e Chris sono stati incredibili e hanno lasciato un’eredità gigantesca nella NBPA. Sono stati loro a creare tutta la parte commerciale che abbiamo adesso, è grazie a loro che adesso possiamo utilizzare lo slogan ‘Think 450’ [in riferimento al numero di giocatori che fanno parte ogni anno delle squadre NBA, ndr] per tutte le nostre opportunità di sponsor e di licensing per i nostri giocatori. E ci hanno messo in una posizione perfetta per le negoziazioni che faremo nel prossimo futuro, perciò siamo enormemente grati a entrambi. Quello su cui noi ora ci concentreremo sono le opportunità di business, trovare nuovi occasioni là fuori per espandere il brand in giro per il mondo. Tutto questo ci permetterà di espandere la ‘torta’ da spartire per i nostri giocatori, che dal punto di vista dei ricavi è fondamentale. Sappiamo che la tecnologia avrà un ruolo cruciale nel futuro della pallacanestro, come gli NFT o i wearables, tutte cose che servono per coinvolgere i nostri tifosi. Altrettanto importante è la ‘social equity’ — con i nostri giocatori che usano la loro piattaforma per creare un cambiamento, una cosa che che solo dieci anni fa non avremmo neanche immaginato. Un altro ruolo chiave lo avrà la protezione della salute dei nostri giocatori, non solo dal punto di vista fisico ma anche mentale, perché è quello che permette loro di essere al loro meglio una volta in campo".

 

Qual è l'obiettivo a lungo termine sia della NBA che della NBPA?

"Sia dal punto di vista degli Stati Uniti che pensando globalmente, l’obiettivo numero uno è cercare di espandere la ‘torta’ dei ricavi. Come possiamo riuscire ad avere entrate ancora maggiori? Come possiamo coinvolgere di più i tifosi? Sia noi che la NBA abbiamo in comune questo obiettivo. Apprezziamo la possibilità di trovarci in un momento storico di grande innovazione, nel quale possiamo reinventarci le cose che possiamo fare. E lo stesso vale per la NBA: vogliamo immaginarci quello che verrà per il gioco della pallacanestro".

Presto si dovranno tenere le negoziazioni per il nuovo contratto collettivo: che rapporto ha con il commissioner Adam Silver?

"Sono una grande sostenitrice della gentilezza e della costruzione di relazioni personali anche in questioni di business. E penso che io e Adam abbiamo un grande rapporto: abbiamo gli stessi obiettivi in testa, traguardi che vogliamo raggiungere, ci trattiamo con rispetto e dignità, che è la cosa più importante. Ma soprattutto cerchiamo di capire il modo in cui questo rapporto possa fare la differenza: ne siamo tutti molto entusiasti".

 

Allo stesso modo, come descriverebbe il suo rapporto con CJ McCollum?

"È davvero straordinario, adoro lavorare con lui. Ho avuto il privilegio di lavorare con Chris Paul nel mio periodo come consulente della NBPA negli ultimi 10 anni e anche lui è un individuo incredibile, ma quello che sto trovando in CJ è la sua multidimensionalità, sa fare mille cose diverse contemporaneamente. Ora fa il commentatore in televisione, ma è anche un neo-papà, un marito, possiede una vigna, è un imprenditore. Tutte queste cose sono importanti perché lui capisce e sa quello che serve per avere successo. Una delle prime domande che mi ha fatto durante il colloquio è come anche io riuscissi a fare tante cose diverse insieme. Amo il suo aspetto umano e quanto voglia migliorare per essere sempre al massimo. Chiaramente è fenomenale in campo, ma è stato altrettanto bello scoprire quanto lo sia anche fuori dal campo".

 

Spesso questo periodo storico viene definito come la "player empowerment era", non sempre in modo positivo: lei come percepisce questa definizione?

"Io la adoro! Perché questa è l’era dell’empowerment dei nostri giocatori. Sono loro ad avere potere, non solo per quello che fanno in campo ma soprattutto fuori, utilizzando la loro piattaforma per fare la differenza. Quello che hanno fatto per il sociale è eccezionale: sono riusciti a portare la gente a votare, hanno fatto sentire la loro voce sulle riforme della criminalità e della polizia. Perciò sono incredibilmente potenti. Questo li pone in una posizione eccellente per avanzare delle richieste, per vedere un cambiamento, non solo per loro ma per le generazioni future. La questione è come riuscire a far durare il tutto il più a lungo possibile".

 

Si sta parlando molto della possibilità di introdurre un torneo di metà stagione: qual è la posizione della NBPA a riguardo?

"Trovare nuovi modi di coinvolgere i tifosi è sempre una priorità per noi. Abbiamo già visto che il torneo play-in funziona molto bene, e per questo anche un torneo a metà stagione potrebbe funzionare allo stesso modo. Ma dipende dai nostri giocatori decidere se è una cosa che vogliono esplorare e farsi coinvolgere. Abbiamo già cominciato a parlarne con la NBA. Parte di quello di cui stiamo discutendo è anche sull’effetto che avrebbe il nuovo torneo sulla normale stagione da 82 partite. Perché farebbe un’enorme differenza".