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NBA, Bismack Biyombo a Sky: "Vincerò il titolo, la mia è una missione"

INTERVISTA

Dario Vismara

A margine dell’evento One Court organizzato a Milano dalla NBPA a metà giugno, Bismack Biyombo ha parlato con Sky Sport della sua decisione di devolvere il suo stipendio per la costruzione di un ospedale in Congo, di come si è conclusa la stagione dei Phoenix Suns e dei suoi obiettivi per il futuro, con un traguardo bene in testa: "Sono vicino a vincere un titolo NBA e ci riuscirò, la mia è una missione"

Poco meno di 12 mesi fa, la vita di Bismack Biyombo è cambiata per sempre. La scomparsa di suo padre Francois nell’estate del 2021 ha rappresentato un momento di svolta per la sua vita, facendogli perdere per un momento la passione per la pallacanestro e portandolo a chiedersi cosa avrebbe potuto fare per rimettere in piedi la sua carriera e il suo scopo su questo mondo. Un anno dopo è cambiato tutto: non solo in NBA ha trovato il suo posto nella rotazione dei Phoenix Suns, con i quali ha fatto talmente bene da meritarsi anche il rinnovo per la prossima stagione; ma il suo lavoro fuori dal campo ha attirato le attenzioni di tutti, portandolo persino a incontrare papa Francesco, raccontandogli del suo progetto di costruire un ospedale in Congo con i soldi guadagnati nell’ultimo anno in NBA. Solo pochi giorni prima abbiamo avuto l’occasione di parlare con Biyombo a margine dell’evento One Court a Milano, un corso organizzato dall’associazione giocatori NBA nella sede della SDA Bocconi School of Management per tre giorni di incontri ed esperienze per dodici giocatori NBA (tra cui Danilo Gallinari, Jusuf Nurkic, De’Andre Hunter e Jonas Valanciunas) con i fondatori, CEO e dirigenti delle più prestigiose marche del fashion e del lusso italiano. Biyombo si presenta a noi con un sorriso smagliante e tanta voglia di parlare, non solo dei suoi impegni al di fuori del campo o del modo rocambolesco con cui è finita la stagione dei Suns, ma anche del suo obiettivo per la prossima stagione: vincere il titolo NBA.

Qual è stata la motivazione principale per venire a Milano a seguire il corso One Court?

"Per me la motivazione principale è sempre quella di imparare e di accumulare il maggior numero di informazioni. Più ne hai e meglio è. E più ne hai che arrivano da persone diverse che hanno avuto successo nel loro business, cercando di capire come utilizzare quelle informazioni per quello che fai tu così da farlo migliorare. Se posso imparare una cosa da ogni persona che incontro, alla fine dell’anno o tra dieci anni avrò un libro  pieno di informazioni da usare per la mia vita o per il mio business. Questo evento è stato molto informativo: abbiamo incontrato brand e persone di enorme successo e ora sta a me capire come utilizzare quello che ho imparato. Devo dire grazie alla NBPA che ci permette di avere quesi incontri mentre stiamo ancora giocando: sono contento che qui ci siano tanti ragazzi giovani che possono arrivare a queste informazioni presto nelle loro carriere. Ed è un bene non solo per noi ma anche per le persone che ci stanno attorno".

Nell’ultimo anno ha fatto notizia la tua decisione di devolvere il tuo intero stipendio NBA per la costruzione di un ospedale in Congo. Da dove nasce questa scelta?

"Un anno fa ho perso mio padre e per me è diventato difficile giocare a pallacanestro. Perciò mi sono preso del tempo lontano dal basket per capire cosa avrebbe potuto definire la mia carriera e anche il mio futuro, perché sto assumendo delle nuove posizioni e delle nuove responsabilità. E sono arrivato alla conclusione che io sono quello che sono per come mi ha cresciuto mio padre, per il ruolo che ha avuto e per i soldi che ha sacrificato per permettermi di inseguire i miei sogni, che è una cosa molto difficile da fare per il tuo primogenito. Peraltro era un sogno che riguardava lo sport, non l’educazione, perciò sarebbe potuta andare benissimo o malissimo. Ma lui ha scommesso su di me e mi ha permesso di diventare la persona che sono oggi. Lui ha passato la gran parte della sua vita a servire le altre persone, il suo scopo era aiutare gli altri e migliorare l’ambiente in cui vivevano. Perciò quando mi sono ritrovato a dovermi riconnettere con il gioco avevo bisogno di qualcosa che mi ispirasse e mi ridesse nuova energia, e l’ho trovato nel sacrificare il mio stipendio in onore della sua vita: costruendo qualcosa che celebrasse quello che lui aveva fatto come lui lo avrebbe fatto, cioè continuando ovviamente a servire le persone e le generazioni future. Attraverso la fiducia che lui ha avuto in me possiamo salvare altre vite, ridare speranza a chi non ne aveva".

 

Arrivare fino a questo punto però non è stato semplice.

"Con la mia fondazione facevamo tantissimo lavoro nella comunità, ma non ero riuscito a capire bene quanto fossero profondi i problemi fino a quando non ci sono stato dentro. Mi ripeto sempre questa frase: se non cerchi di risolvere la sofferenza dell’ambiente in cui sei, finirai per soffrire tu stesso. Credo sempre che tutto accada per un motivo: non so cosa mi riserverà il futuro, ma fare questo sacrificio era molto importante per me, veniva dal profondo del mio cuore e mi ha fatto sentire bene. Dio mi ha benedetto regalandomi la possibilità di guadagnare tanti soldi: sacrificarne per salvare le vite degli altri è molto più importante di tutti i soldi che ho fatto e dei posti che ho visitato. Sono molto entusiasta di quello che andremo a fare, la costruzione dell’ospedale comincerà quest’estate e tante persone si sono già proposte per dare una mano. Se posso salvare anche solo una o due vite in più, posso dirmi felice".

Ora che sono passate un po' di settimane, che spiegazione ti sei dato per quella gara-7 che avete perso contro i Dallas Mavericks?

"Partite così brutte di solito di capitano una o due volte in regular season. Succede: arrivi in campo e non ti riesce niente, anche sottomani semplici che segni sempre poi ti escono. Ma da agonista è difficile trovare una spiegazione quando accadono. Per me però quella partita è diventata benzina. Subito dopo che abbiamo perso, ho fatto una promessa al mio trainer per una settimana: se accendo la tv e c’è una partita, dopo vado subito ad allenarmi. E ho visto tutte le partite dei playoff, prima e dopo la nostra eliminazione. Quella partita è la mia motivazione per migliorare ulteriormente: tutti sono alle prese con qualche problema, ma per prima cosa devi guardare a te stesso. Se fossi stato migliore in quel frangente, se mi fossi preparato in maniera diversa, le cose sarebbero potute andare in altra maniera. Il mio obiettivo era di vincere il titolo quest’anno, conquistare il mio primo anello nell’anno in cui ho perso mio padre: per questo ho scelto una delle migliori squadre della NBA così da essere in un ambiente vincente. E grazie a Dio ero lì a giocarmela: avevamo chiuso con il miglior record della lega, eravamo favoriti per il titolo. Poi non ci siamo riusciti: capita, è la vita. Non scappo dai problemi, lo dico sempre ai miei amici che non guardano le partite per paura del dolore che potrebbero provare: bisogna sempre affrontare le difficoltà così da poterle superare".

 

Quindi l'obiettivo per il resto della tua carriera è vincere l’anello?

"Ora è diventata una missione: io voglio competere per il titolo. Sono vicino a vincere il titolo e vincerò un titolo. È un impegno che mi sono preso. E devo vincere: come atleta ho giocato nella NBA per 11 anni, e non puoi continuare a giocare solo per rimanere nella lega. Altrimenti il gioco non ha più senso. Bisogna competere per qualcosa, e la mia motivazione è il titolo. Non vedo l’ora che cominci la stagione e la preparazione che mi attende in estate, che è la parte più importante prima di scendere in campo. E con le persone giuste dalla mia parte, ce la faremo".