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NBA, la lega propone un tetto massimo di spesa: ma l'idea non piace ai giocatori

NBA

Basta spese folli da parte delle squadre più ricche, sembra voler dire la NBA, a tutela di un maggior equilibrio competitivo. Ma l'idea di introdurre un salary cap rigido non piace ai giocatori, che vogliono veder tutelato il loro valore di mercato. Una impasse che potrebbe rallentare le trattative per il nuovo accordo collettivo tra NBA e associazione giocatori

Impedire spese folli alle squadre più ricche e preservare il tanto agognato equilibrio competitivo. Queste le motivazioni che starebbero dietro alla richiesta da parte della NBA (richiesta a dir la verità neppure così nuova) che nel prossimo contratto collettivo tra lega e associazione giocatori ci sia un "tetto massimo alle spese". Un limite che molti hanno subito equiparato a una sorta di "hard cap", ovvero un salary cap rigido ben diverso da quello in vigore attualmente che prevede diverse eccezioni salariali (e quindi una maggior elasticità). Con le parti già da mesi al tavolo delle trattative, quest'ultima richiesta avanzata da parte di Adam Silver - accolta con molta freddezza e un netto rifiuto dall'associazione giocatori - sembra aver immediatamente arrestato i progressi fin qui fatti che si pensava potessero portare a un nuovo accordo già entro Natale. A oggi, delle 30 squadre NBA sono 10 quelle esposte oltre il limite che prevede il pagamento della tassa di lusso (fissato attorno a 150 milioni di dollari di stipendi complessivi): il totale in tasse pagato da questa decina di franchigie è però di 697 milioni di dollari, e non è mai stato così alto nella storia della lega. 

La lega punta il dito contro Warriors, Clippers e Nets

Prendendo a esempo gli enormi monti salari - e relative tasse di lusso - esibiti da squadre come Golden State (190 milioni di dollari per gli stipendi, più 176 di tassa di lusso), Brooklyn (180 più altri 109) o Los Angeles, sponda Clippers (191 in salari, altri 145 in tassa), la NBA ha provato a sostenere la necessità di un salary cap più rigido per impedire che le squadre dei mercati più grandi (San Francisco, New York, Los Angeles) possano giocare da protagoniste a scapito delle altre. La mossa però è stata subito intesa come un tentativo di mettere un freno ai "legittimi" guadagni dei giocatori NBA, e quindi osteggiata dall'associazione, prontissima nel definirla una richiesta "che blocca sul nascere ogni genere di possibile accordo". Probabile che si tratti soltanto di schermaglie tattiche in vista di un nuovo accordo che da più parti si ritiene non solo possibile ma probabile, ma nel gioco delle parti tirare troppo la corda può sempre portare a conseguenze impreviste. 

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