L'anno scorso era il primo assistente di Ime Udoka a Boston - e oggi sarebbe sulla panchina dei Celtics se in estate non avesse accettato il compito di "ricostruire" i Jazz. Ma il 34enne allenatore di Utah non può certo lamentarsi, alla guida della squadra rivelazione di questo avvio di stagione. Senza dimenticare cinque anni alla bottega di coach Popovich agli Spurs: "Sono loro che mi hanno creato"
Dopo 11 partite di stagione regolare gli Utah Jazz (8-3) inseguono soltanto i Phoenix Suns (7-2) in vetta alla Western Conference. L'ultimo successo dei Jazz è arrivato a Los Angeles, in casa dei Clippers, e come ha fatto notare qualcuno nel quarto finale - vinto 26-17 dagli ospiti - nei momenti decisivi non c'era in campo Jordan Clarkson, il titolare (e top scorer per Utah con 23 punti) ma il suo cambio Collin Sexton (autore di 22 punti, 9 dei quali proprio nell'ultimo periodo). Dell'ex Cavs anche la schiacciata che ha chiuso i conti a 54 secondi dalla fine, festeggiata più di tutti... proprio da Clarkson. Un indizio in più che racconta come nello Utah si stia costruendo una chimica di squadra forse più importante ancora dei nomi (non certo altisonanti) che compongono il roster di coach Will Hardy. Dopo la cessione in estate di 4/5 del quintetto base (non solo Mitchell e Gobert, ma anche Bojan Bogdanovic e Royce O'Neale) tutti erano convinti che i Jazz - guidati in panchina da un allenatore giovane (34 anni) ed esordiente come Hardy - fossero destinati a un'annata di miseria, in nome del "rebuilding" della squadra. Invece ecco Utah ritrovarsi con il quarto miglior record di lega e forse per spiegare il fenomeno Jazz conviene iniziare proprio dal suo coach, alla prima esperienza da capo allenatore in NBA.
Una stagione che sarebbe potuta iniziare nel segno di un rammarico per Hardy, l'anno scorso primo assistente di coach Udoka sulla panchina dei Boston Celtics, che in estate ha scelto di lasciare i finalisti NBA per affrontare la sfida da capo allenatore nello Utah. Col senno di poi - e lo scondalo che ha travolto Udoka a Boston - sulla panchina dei Celtics oggi siederebbe lui, e non Joe Mazzulla.
Will Hardy: "Gli Spurs mi hanno creato: devo tutto a Pop"
Ma prima ancora dell'esperienza in Massachussetts, a formare la carriera di Hardy sono stati cinque anni da assistente allenatore a San Antonio, sotto la guida di Gregg Popovich. E proprio di quel periodo - e del ruolo del grande allenatore nero-argento - ha parlato recentemente Hardy in una chiacchierata con Adrian Wojnarowski, giornalista di ESPN: "Quando c'è stata la possibilità di lasciare San Antonio avere quel tipo di conversazione con Pop per me è stata molto dura. Perché mi sentivo in debito con lui e con l'organizzazione degli Spurs perché sono stati loro che mi hanno creato e hanno permesso il mio successo, continuando a darmi opportunità su opportunità", ha confessato Hardy. "Per cui sono andato da Pop e gli ho detto: 'Se tu non vuoi che io vado [a Boston], io non vado'. La risposta è stata un classico alla Popovich: ha elencato gli aspetti positivi, quelli potenzialmente negativi e poi mi ha detto: 'Secondo me dovresti andare'. Non ha mai, neppure per un secondo, provato a farmi sentire colpevole per il fatto di lasciare l'organizzazione che mi ha creato". E da Boston - dopo solo un anno - Hardy ha spiccato i volo verso la sua prima panchina da capo allenatore: e nello Utah sta dimostrando a tutti il suo valore.